“Infelicità senza desideri” – Peter Handke

Racconta Handke che alla notizia del suicidio di sua madre egli aveva dovuto reagire a due stati d’animo che rischiavano di imprigionarlo: uno era quello di rendere inoffensivo quell’evento, costringendolo nella sua indicibilità e subendone lo stordimento che esso gli procurava, l’altro, speculare ed opposto, era quello di viverne e provarne tutta la violenza che quell’evento portava con sé, subendone l’orrore e lo spaesamento, “…perché” – dice Handke – “si ha bisogno di sentire che ciò che si sta vivendo è incomprensibile e non si può comunicare: solo l’orrore risulta logico e reale. Ma a parlarne ricomincia subito la noia, e tutto torna di colpo inconsistente”. Continua a leggere

“Cemento” – Thomas Bernhard

“Chiusi le tende della mia stanza, scrive Rudolf, presi parecchi sonniferi e mi risvegliai solo ventisei ore più tardi nella massima angoscia”. Questo è l’ excipit di Cemento. E, “angoscia”, ne è l’ultima parola. Ma la parola angoscia intesa nel suo pieno significato di oppressione dello spirito, di tormento, di ansia insopprimibile, quale essa appare nel contesto di quella frase con cui si chiude “Cemento”, non appare mai all’interno del testo. Continua a leggere

“Un ermellino a Cernopol” – Gregor von Rezzori

Ci sono libri che ci parlano di luoghi, di persone e di fatti a noi del tutto estranei, la cui lontananza è tale che potrebbe risultarci incolmabile. Tanto più quando questi libri parlano di un mondo non solo distante ma che non esiste più. Anzi che non esisteva già più nel momento stesso in cui sono stati scritti. Eppure può accadere che, come per effetto di un misterioso incantesimo, quei libri luccichino, preziosi e smaglianti di fronte a noi, con un nitore che fa apparire quel mondo lontano, vicino, più di quanto sia quello in cui viviamo, che ce lo fa sentire vivo nonostante noi sappiamo che è scomparso per sempre. Continua a leggere

“La pianista” – Elfriede Jelinek

La prima sensazione suscitatami dalla lettura de “La pianista” è stata quella del labirinto. Non solo perché le vicende della “pianista” Erika Kohut (E.K.) non hanno, su un piano di realtà, alcun contenuto evolutivo, anzi si ritorceranno fino allo spasimo contro di lei ma, soprattutto, perché appaiono sistematicamente condannate all’impossibilità stessa di evolversi. Come, per l’appunto, ella si trovasse dentro un labirinto nel quale i movimenti sono rigorosamente dettati e limitati dalle pareti del labirinto che le vengono innalzate e frapposte da chi la circonda, fiaccando in tal modo e costantemente ogni sua manifestazione di volontà. Continua a leggere

“La parete” – Marlen Haushofer

“La parete” è un romanzo sul costringersi a non abbandonarsi alla follia, laddove tutto indurrebbe ad abbandonarsi ad essa. La follia è il limite estremo da non oltrepassare. Superarlo significa annientarsi, non superarlo proteggersi. La follia è prima di tutto in quella “parete”: “allungai una mano e toccai qualcosa di freddo e di liscio”. Continua a leggere

“Mendel dei libri” – Stefan Zweig

“Mendel dei libri” è un racconto brevissimo ma di squisita intensità in cui Stefan Zweig inventa un personaggio che chiunque ami i libri e la lettura vorrebbe esistesse ed amerebbe poter incontrare. Perché Jakob Mendel è un catalogo vivente. Egli infatti conosce pressoché tutti i libri che sono stati pubblicati e basta sottoporgli l’argomento a cui si è interessati ed egli sarà in grado di dirvi tutti i titoli esistenti su quell’ argomento e i relativi estremi di ciascun titolo. Continua a leggere

“Il trentesimo anno” – Ingeborg Bachmann

Vi è in tutta l’opera di Ingeborg Bachmann, e nei racconti che compongono “Il trentesimo anno” in modo palese, un’esplicita istanza utopica rivolta verso una vera e propria “rifondazione” del mondo: “La libertà che intendo io: il permesso…di rifondare il mondo ex novo e di dargli un nuovo ordine”. Continua a leggere

“Il caso Franza” – Ingeborg Bachmann

“Al primo tentativo di muoversi Franza si accorse che non ci riusciva, poiché non riusciva nemmeno a rispondergli, alla prima parola impercettibile la sabbia si sbriciolò entrandole nella bocca e negli occhi, e il fango la tenne inchiodata al suolo col peso di un quintale. Era murata viva. Lui la guardò spazientito, non capì che lei non poteva chiamare, non poteva spiegare nulla. Franza tentò di urlare. Lui continuò a non accorgersi di nulla. Il piombo le appesantiva la cuffia da bagno. Era sepolta viva.”  Vi è in questa scena l’evidenza di una condizione, quella dell’essere fagocitati, cioè dell’essere inglobati ancora vivi e distrutti. Continua a leggere

“Doppio sogno” – Arthur Schnitzler

“Doppio sogno” è un testo fortemente perturbante anzi, oserei dire, programmaticamente perturbante. E ciò non solo per quel che di tormentato e tormentante vi è nelle vicende del giovane medico Dottor Fridolin e di sua moglie Albertine, nel cui menage irromperà un universo di pulsioni e di desideri che ne destabilizzerà il profondo e li destabilizzerà nel profondo. Ma lo è, in particolare, per il concetto di perturbante che evoca il testo. Continua a leggere