Fulminante questa novella di Schnitzler, perché, nel suo magistrale svolgimento, Schnitzler riesce mirabilmente a coniugare la rapidità e l’essenzialità della narrazione con l’ analiticità e l’imprevedibilità dello sviluppo che riesce a dare alla tensione drammatica contenuta nella vicenda narrata.
Non a caso “Il sottotenente Gustl” occupa un posto di tutto rilievo nella produzione narrativa di Schnitzler sia per i suoi contenuti, sia per gli approdi tecnico-stilistici a cui qui Schnitzler perviene. Scritta nel 1900, “Il sottotenente Gustl” costituisce una sorta di spartiacque tra le novelle antecedenti, delle quali “Morire” del 1894 è considerata la più rappresentativa e quelle successive che culminano ne “La signorina Else” (1923) e “Doppio sogno” (1921-1925). In primo luogo perché ne “Il sottotenente Gustl” Schnitzler, per la prima volta, utilizza organicamente la tecnica del monologo interiore, basando sostanzialmente tutta la novella su un ininterrotto flusso di coscienza del protagonista, il sottotenente Gustl, che, in un tormentato quanto grottesco dialogo con se stesso, si inoltrerà verso la scioccante decisione di darsi la morte per porre riparo ad un torto da lui subito che ne ha offeso l’onore e il prestigio e da cui non vede via d’uscita se non quella del suicidio.
L’utilizzo di tale tecnica ne “Il sottotenente Gustl” fa quindi da capostipite rispetto alle applicazioni successive di cui l’altro più importante esempio sarà la novella “La signorina Else”. Ma, ancor più di questo, il valore di tale prima applicazione del monologo interiore da parte di Schnitzler è che rappresenta in assoluto “il primo esempio nella letteratura tedesca di opera narrativa condotta esclusivamente secondo questa tecnica” (G. Farese – “Introduzione”). Se quindi l’importanza de “Il sottotenente Gustl” ha una sua prima motivazione nelle sue caratteristiche stilistico-formali, non sono però assolutamente secondarie quelle narrative vere e proprie.
E a testimoniarne, seppure indirettamente, il loro valore – per lo scalpore e le reazioni che “Il sottotenente Gustl” suscitò – è, nel suo carattere aneddotico, il fatto che “il 14 giugno 1901 il comando supremo dell’Esercito Imperialregio priva Schnitzler del grado di tenente medico della riserva perché “il contenuto del Sottotenente Gustl ha danneggiato e menomato l’onore e il prestigio dell’esercito austroungarico””(G. Farese – “Arthur Schnitzler: la vita” in A. Schnitzler – “La signorina Else” – Oscar Mondadori – 2000 – p.VI ).
Vi è infatti ne “Il sottotenente Gustl” un’evidente ridicolizzazione di alcuni valori cardine della mentalità asburgica del tempo che Gustl ha introiettato a tal punto da diventarne vittima in modo spietato con se stesso. Gustl però non si erge come una sorta di eroe romantico, come vittima di un dramma vero, ma tutta la vicenda e il ragionare con se stesso di Gustl intorno ad essa, assumono ben presto più il carattere della farsa che della tragedia, del surreale più che del reale. Inizialmente Gustl, trovando irrimediabile quello che gli è successo, pensa di uccidersi per non subire l’onta di quello che gli altri direbbero di lui. Vi è quindi, come prima reazione, l’insorgere della vergogna di fronte al disonore per quanto accaduto.
Ma poi dettosi che di quei fatti in fondo potrebbe benissimo non venirne a conoscenza nessuno ciò nonostante però lui lo sa che cosa è successo e ciò lo obbliga per forza a spararsi, addossandosi in tal modo una sorta di senso di colpa in cui egli stesso si rinchiude con le sue stesse mani: “…ma non importa se ne è a conoscenza qualcun altro…io lo so, e questo è l’essenziale! Io sento di essere un altro rispetto a un’ora fa – Io so di non essere più in grado di dare soddisfazione, e perciò devo spararmi…”. Perché giusto per renderci conto di cosa stiamo parlando, l’immensa offesa subita da Gustl consiste nel fatto che nella calca presso il guardaroba di quel teatro, alla fine di quel concerto a cui Gustl ha assistito, Gustl ha un alterco con un altro spettatore, il fornaio Habetswallner che Gustl conosce: “Ma lo conosco! – Accidenti, è il fornaio che viene sempre al caffè…Che ci fa qui?”, sottolineandone in tal modo il rango inferiore, il quale – infastidito da Gustl che prima lo spinge da presso e poi gli si rivolge in malo modo, perché Habetswallner, massiccio com’è, gli ostruisce l’accesso al guardaroba – fa e dice quelle cose che impietriranno a tal punto Gustl da lasciarlo incapace di reagire.
Il fornaio infatti afferra l’elsa della sciabola di Gustl e mentre questi è quasi annichilito per quel gesto già gravissimo, come se non bastasse, gli si rivolge dicendogli: “Signor tenente, se fa il benché minimo scalpore, le tiro fuori la sciabola dal fodero, la faccio in due e mando i pezzi al comando del suo reggimento. Ha capito, ragazzaccio?”. E se ne va. A Gustl, ufficiale del realimpero asburgico, una cosa del genere appare inconcepibile perché il suo status e la sua posizione lo pongono, nella sua ideologia, al di sopra di tutti coloro che non appartengono alla casta militare e che quindi un qualsiasi fornaio si potesse permettere un gesto e delle parole del genere costituisce assai più di un’impudenza, ma un’onta a cui rispondere, nella mentalità di Gustl, con la vendetta.
Ma poiché Gustl non ha avuto la prontezza di agire immediatamente, così come il codice d’onore gli avrebbe consentito di fare, giacché la robustezza e la possanza di Habetswallner lo hanno li per lì intimorito e non essendo questi, per la sua condizione sociale, idoneo a poter essere chiamato a dare soddisfazione in un eventuale duello, per Gustl non vi è alternativa, non gli resta che uccidersi. Il problema per Gustl sarà che la sua concezione dell’onore contiene un’implicita arroganza e spocchia che gli fanno concepire il mondo e gli altri come fatto di suoi sottoposti, ma l’irriverente e inusitato comportamento del fornaio riveleranno tutta la fragilità dell’impalcatura mentale di Gustl, la sua debolezza psicologica, la sua impotenza di fronte ad una situazione che assume toni kafkiani e che evidenzia le crepe dell’emergente inattualità storica di tutto ciò.
Laddove appare evidente l’azione di derisione che Schnitzler qui fa di quel sistema di valori basato sull’onore e sul rango proprio della società e della cultura asburgica. E il povero sottotenente, nel corso di quel suo monologare che andrà dalla sera in cui avvengono i fatti descritti fino alla mattina successiva, non farà altro che dibattersi tra le più svariate ipotesi, tra cui quella di imbarcarsi e di trasferirsi di nascosto in America, per sfuggire a quel destino che vede come ormai irrevocabile. Tutte ipotesi da lui soppesate con estrema serietà ma che viste da fuori appaiono beffarde e irreali. In un progressivo svuotarsi della prosopopea iniziale Gustl tradisce, via via, tutta la sua fragilità e tutto il suo smarrimento di fronte alla prospettiva della morte, rivelando una sua rassegnata umanità, che sono forse gli unici momenti in cui vediamo in Gustl un fondo di reale autenticità.
Perché per il resto più che esprimere un qualche valore positivo, una sua altezza morale, un suo coraggio e una sua dignità, Gustl sembra schiacciato da regole e norme, dal dovere più che dalla coscienza. E quando Schnitzler con un escamotage metterà Gustl di fronte ad un’imprevista e inattesa via di fuga, allorché Gustl scoprirà in quel caffè frequentato anche dal fornaio Haberswallner, dove si reca prima di togliersi la vita per concedersi un ultima consolatoria colazione che il fornaio rincasando quella stessa notte, dopo il teatro, è all’improvviso deceduto Gustl si sentirà come miracolato da quella fortuna inattesa che, come un colpo di spugna, risolve ai suoi occhi tutti i problemi: “Credo di non essere mai stato così contento in vita mia…E’ morto – è morto! Nessuno sa nulla, e nulla è accaduto! – E che gran fortuna che sia andato al caffè…altrimenti mi sarei ucciso per niente – è proprio come una disposizione del destino”.
Laddove prima che ciò accadesse, durante il suo vagabondare notturno, egli si era detto, con riferimento al fornaio: “E se anche stanotte gli piglia un colpo, io lo so comunque…Dunque devo farlo e basta”. Quindi con un penoso e anche un po’ mediocre scarto fra i principi e il richiamo all’integrità prima decantato e poi il misero se anche umanissimo sotterfugio del nascondere alla sua coscienza quanto avvenuto, giacché il fornaio è morto. Gustl potrà di nuovo rimettersi i panni dell’inappuntabile ufficiale e riprendere il suo modello idealizzato, fatto di apparenze e forme, laddove il suo istinto di sopravvivenza gliene aveva fatto percepire le costrizioni e l’ingabbiamento che comportavano.
Ma Gustl resterà alla fine comunque prigioniero di se stesso e del suo ruolo, non acquisirà alcuna nuova e diversa consapevolezza del valore della vita. Ed è questo contrasto tra l’umana paura di morire e la disumanità implicita in quel codice militaresco a suo modo ottusamente inossidabile che Schnitzler ci descrive. Una inossidabilità di cui Schnitzler percepisce già allora l’inesorabile declino a cui stava per andare incontro ma di cui nessuno allora sembrava ancora rendersene conto e di cui le reazioni scomposte delle autorità militari nei suoi confronti, descritte precedentemente, ne sono evidente testimonianza.
L’anno scorso, nel mio andare in ordine alfabetico, ho letto ben quattro novelle di Schnitzler. Documentandomi per recensirle, mi balzò agli occhi l’importanza del Sottotenente Gustl, che però non avevo e su internet risultò non disponibile. Ma un giorno, in una piccola libreria di Castelfranco Veneto l’ho trovato nell’edizione BUR 2010, e così adesso è in attesa di lettura.
Schnitzler è un autore a cui sono molto affezionato, uno dei miei primi amori letterari: secondo me ha costruito una sorta di mosaico di un’epoca di passaggio fatto di tantissime tessere (le sue novelle) ciascuna delle quali è bellissima in sé, ma che fatte incastrare nel modo giusto ci restituiscono il senso del suo (e del nostro) tempo come alcuni dei grandi romanzi di quel periodo.
Questa recensione la tengo comunque lì per quando leggerò le vicende del buon Gustl.
V.
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