La prima sensazione suscitatami dalla lettura de “La pianista” è stata quella del labirinto. Non solo perché le vicende della “pianista” Erika Kohut (E.K.) non hanno, su un piano di realtà, alcun contenuto evolutivo, anzi si ritorceranno fino allo spasimo contro di lei ma, soprattutto, perché appaiono sistematicamente condannate all’impossibilità stessa di evolversi. Come, per l’appunto, ella si trovasse dentro un labirinto nel quale i movimenti sono rigorosamente dettati e limitati dalle pareti del labirinto che le vengono innalzate e frapposte da chi la circonda, fiaccando in tal modo e costantemente ogni sua manifestazione di volontà. Continua a leggere