“La lingua salvata” (L.l.s.), il cui sottotitolo è “Storia di una giovinezza” è il primo dei tre testi autobiografici scritti da Elias Canetti e copre il periodo che va dalla sua nascita: 1905 alla sua adolescenza:1921. A “L.l.s.” seguiranno: “Il frutto del fuoco – Storia di una vita (1921 – 1931)” e “Il gioco degli occhi – Storia di una vita (1931 – 1937)”. Questa così vasta produzione autobiografica dice da sola della ricchezza e dell’ampiezza della vita di Canetti, segnata, sin dall’inizio, da una tale varietà e multiformità di esperienze e di acquisizioni da renderla un vero e proprio “viaggio” degno di essere raccontato.
D’altro canto è lo stesso Canetti a identificarsi già a 10 anni nella figura, per antonomasia, archetipica del “viaggio” e cioè in Ulisse, al punto da farne il suo primo modello che poi, come egli stesso dirà, sarà anche il più duraturo. “ Così Ulisse…divenne un singolare modello, il primo ch’io sia riuscito a comprendere con chiarezza, il primo di cui appresi più cose di quante ne avessi mai apprese di un essere umano, un modello compiuto e composito, che si presentava in molte metamorfosi, ciascuna delle quali aveva il suo significato e la sua collocazione. La figura di Ulisse l’ho incorporata in me in tutti i particolari, e non c’è nulla di lui che, col tempo, non abbia acquistato per me un ben preciso significato…Alla fine, senza che nessuno se ne accorgesse, egli finì in Die Blendung [Auto da fè] che altro non è se non una testimonianza della mia profonda dipendenza interiore da Ulisse. Una dipendenza assolutamente completa e che oggi mi sarebbe facilissimo rintracciare in tutti i particolari; infatti so ancora perfettamente in che modo Ulisse stabilì la sua influenza sul ragazzino decenne, che cosa lo colpì immediatamente e lo colmò di inquietudine….tutte [le] metamorfosi attraverso le quali Ulisse fa di tutto per diminuirsi, mentre l’episodio delle sirene testimonia la sua incoercibile curiosità”. E poi successivamente aggiunge:”Da allora, da quando avevo dieci anni, è per me una sorta di articolo di fede credere che sono fatto di molte persone, della cui presenza in me non mi rendo assolutamente conto. Credo che siano loro a decidere ciò che mi attira o mi respinge negli uomini e nelle donne che mi capita di incontrare”.
L’idea della vita, così come poi sarà anche la sua vita reale, si configura quindi in Canetti sotto un duplice segno. Uno è quello della multiformità di un io che si sottrae ad ogni imposizione e coercizione e, al tempo stesso, espande i suoi confini in costante divenire, sperimentando e sperimentandosi in quella multiformità, tanto che la stessa infanzia di Canetti la si può definire un’esperienza odisseica. L’altro è quello della sete di sapere e di conoscenza, quella curiosità instancabile che già ragazzino lo muoverà verso i libri e la lettura, lo studio e il sapere. “L.l.s.” lo si può quindi considerare e leggere, in primo luogo, come un romanzo di formazione che racconta l’evoluzione della personalità individuale salvo che qui il protagonista del romanzo è l’autore e ne è oggetto la sua vita. Un racconto che si costruisce in virtù di una straordinaria e sfuggente forza centripeta, la quale risucchia a sé e cementa, come una misteriosa calamita, tutti gli eventi e i particolari della propria esistenza.
E del romanzo “L.l.s.” ne ha la forma artistica del movimento e del tempo, non solo perché scansionato come esso è in una sua ben precisa cronologia coincidente con la pluralità dei luoghi dell’infanzia di Canetti, tappe di quel viaggio, non solo simbolicamente, odisseico: Rustschuk 1905 – 1911; Manchester 1911 – 1913; Vienna 1913 – 1916; Zurigo-Scheuchzerstrasse 1916 – 1919; Zurigo-Tiefenbrunnen 1919 – 1921; ma perché, al suo interno, pulsa e si manifesta in tutta la sua pienezza la molteplicità della vita.
La molteplicità è l’imprinting che segna da subito l’esistenza di Canetti e che preesiste alla consapevolezza che egli ne ha: “Essendo un bambino non avevo una chiara visione di questa molteplicità ma ne vivevo continuamente gli effetti”. Ed è l’origine, il luogo natio, la natia Rustschuk che segna indelebilmente Canetti rendendolo da subito plurimo ed esposto alle contaminazioni che derivano dalla diversità: “Rustschuk, sul basso Danubio, dove sono venuto al mondo, era per un bambino una città meravigliosa, e quando dico che si trova in Bulgaria ne do un’immagine insufficiente, perché nella stessa Rustschuk vivevano persone di origine diversissima, in un solo giorno si potevano sentire sette o otto lingue”.
La molteplicità si configurerà quindi, sin dall’inizio, per Canetti, come un valore, un dato di fatto che implica il differenziato, il composito, il complesso e si oppone all’unico, all’uniforme, al semplice. E di questa molteplicità la lingua o se si vuole le lingue ne saranno la prima , concreta e, al tempo stesso, simbolica rappresentazione. Canetti si troverà infatti a convivere con un patrimonio linguistico amplissimo derivante dall’ambiente familiare e culturale, nonché dai luoghi in cui crebbe.
E di questa sorta di babele linguistica ne era, a suo modo, espressione il nonno Elias che si vantava di conoscere 17 lingue che elencava puntualmente. E la salvezza di queste lingue cioè il loro essere affermate e custodite sta proprio nel concepirne e riconoscerne la loro pari legittimità in virtù del valore della molteplicità. “La lingua salvata” diventa tale proprio in quanto sottratta alla sua perdita, venendo mantenuta e protetta. E non vi sarà mai una lingua vissuta e considerata superiore o inferiore alle altre, magari più usata o meno usata ma mai gerarchizzata. Le lingue parlate diventano quindi come un’unica lingua in quanto composizione della totalità della vita e delle sue plurime esperienze ed esistenze.
Salvare la lingua significa perciò preservarla dalla morte e ciò diventa metafora del valore della vita umana e di quell’umanità di cui Canetti si fa portavoce: “l’orgoglio che provo per essa [l’umanità] è ancora così grande che solo una cosa io odio veramente: il suo nemico, la morte”. La struttura de “L.l.s.” è estremamente frammentaria, basato come esso è su più di 50 capitoletti che raccolgono un’aneddotica vastissima accompagnata da continue riflessioni su di sé. Eppure il tutto si mantiene unitario, coerente e coeso senza esporsi a fenomeni di dispersione o di atomizzazione, componendosi come un vero e proprio mosaico E’ infatti il mosaico la forma di questo libro dove un io multiforme e plurimo si realizza proprio nella capacità di tenere unite le tessere del mosaico pur nell’aggiungersi e nell’accumularsi di nuove tessere.
Nulla infatti è banale o è banalizzato nel racconto che fa Canetti di sé e della sua vita. Ogni minimo particolare acquista senso e significato in quanto rapportato a un mondo più ampio e in quanto evocazione di un sentire e di un vissuto sempre acuti intellettivamente e sensibili emotivamente. In questo senso tutta “L.l.s.” è attraversato da un che di poetico e da un sommesso incanto con cui Canetti riesce a narrare anche le tragedie ma senza tragicità, così che non ne siamo mai colpiti e assistiamo al loro svolgersi come se anch’esse facessero parte di quella grande favola che Canetti intesse sulla sua vita e intorno alla sua vita in cui i traumi e i dolori che pure ci sono, non si avvertono mai come tali.