“La Piazzetta” – Massimo Cecconi

Massimo Cecconi per me è, prima di tutto, un amico. A lui devo la collaborazione, ormai pluriennale, che ho con la rivista on-line “z3xmi”, il cui slogan: “Milano informata e attiva” ne indica finalità e contesto; rivista di cui Cecconi è stato uno dei fondatori e di cui dirige la pagina culturale, sulla quale pubblico, dal 2013, cicli di recensioni a tema all’interno della rubrica di libri: “Andar per libri”.

Continua a leggere

“Tre anni” – Anton Čechov – Seconda parte

Aleksiej Fjodorovic Laptiev conosciuta Giulia Sierghejevna – figlia del medico che ha in cura la sorella di Aleksiej, in quella piccola città di provincia dove ella vive e presso cui egli è in visita – era rimasto attratto dalla bellezza e dalla giovinezza di lei e, divenuto preda di quell’attrazione, se ne innamora, nonostante che quel suo amore sia, a suo modo, impossibile. Perché Aleksiej “…sapeva di non essere bello…Era piccolo di statura, magro, aveva le guance rosse e presto sarebbe rimasto calvo…In compagnia delle donne spesso appariva goffo, era troppo ciarliero e lezioso” Ma, soprattutto, egli vive quella sua scarsa attrattività in modo sofferto e negativo, investendo di quella negatività tutto se stesso, fino al punto di disprezzarsi come persona, non accettandosi così come è. Di fondo Aleksiej Fjodorovic Laptiev aveva sempre avuto una invincibile timidezza e non era certo un uomo forte, laddove l’essere buono, intelligente e serio, quale egli era, non compensava l’ apparire un debole, prima di tutto a se stesso e, di conseguenza, anche agli altri: “…se si tratta di agire, dimostrarsi uomo di carattere, affrontare un insolente ed uno sfacciato, egli si confonde e si perde d’animo…Gli individui come il vostro Aljoscia, sono delle persone eccellenti, non nego, ma sono incapaci di lottare e, in genere, buoni a nulla.” Così infatti, e cioè con spietata sincerità, dirà un giorno a Giulia uno degli stessi amici di Aleksiej.

Continua a leggere

“Tre anni” – Anton Čechov – Prima parte

È noto che l’opera narrativa di Anton Čechov si basa su quella straordinaria messe di racconti che la compongono che, nel loro insieme, ammontano a diverse centinaia. Fu tuttavia Čechov stesso che, in occasione della prima pubblicazione delle sue opere complete, avvenuta nel 1899, scelse quali racconti includere e ne selezionò “solo” 240, venendo a costituire tale corpus – fatta salva l’ aggiunta di pochi altri racconti scritti successivamente – quello fondamentale e rappresentativo di quella sua “monumentale” produzione. Čechov aveva iniziato a scrivere racconti già a partire dal 1879 quando aveva appena diciannove anni e frequentava l’università di medicina a Mosca dove si laureò nel 1884. Tuttavia gran parte di quella prima produzione fu considerata dallo stesso Čechov a dir poco “minore”, tanto che egli ripudiò tutti i racconti da lui scritti fra il 1879 e il 1882 – quando selezionò quelli da inserire nelle sue opere complete – escludendoli e inserendo solo quelli scritti a partire dal 1883. Si trattava quasi sempre di brevi o brevissimi racconti buffi, satire di costume legate all’ attualità, destinate a giornaletti umoristici di bassa lega, tanto che egli stesso in una lettera a un redattore di uno di quei giornaletti scriverà: “Vi manderò domani i miei escrementi letterari”.

Continua a leggere

“L’isola riflessa” – Fabrizia Ramondino

Fabrizia Ramondino – a fronte di una notorietà, presso il grande pubblico dei lettori, tutt’ora relativa – è in realtà, da tempo, ampiamente riconosciuta come una delle massime scrittrici del nostro Novecento, avendo ricevuto, da critici autorevoli ma anche da chi si è avvicinato come lettore alla sua opera, una considerazione tale da collocarla a livello di autrici come Elsa Morante e Anna Maria Ortese che, a loro volta, furono lettrici partecipi della Ramondino oltre che sue sostenitrici ed ispiratrici. Come afferma infatti Franco Sepe nella sua monografia su Fabrizia Ramondino, “…le sue ascendenze letterarie [sono] rintracciabili, per parte italiana, nell’opera di Elsa Morante e Anna Maria Ortese.” (F. Sepe – “Fabrizia Ramondino. Rimemorazione e viaggio” – Liguori – 2010 – p. 24). E, con riferimento in particolare ai rapporti tra la Morante e la Ramondino, sempre Sepe afferma come sia “…risaputo che la scrittrice romana era stata per la Ramondino un’importante amica e uno dei suoi numi tutelari.” (F. Sepe, cit. p.27), mentre, con riferimento alla Ortese, rileva come: “Il tipo di sguardo della Ramondino sulla realtà in generale (e, segnatamente, su quella polimorfa napoletana) è affine a quello della Ortese – altro suo nume tutelare…” (F. Sepe, cit. p.64).

Continua a leggere

“Verso la foce” – Gianni Celati

Se è vero che narrare è viaggiare, Celati, in Verso la foce, ci dà anche l’altra possibilità insita in questa affermazione e cioè fare del viaggiare un narrare. Un narrare che si forma e prende vita dentro lo sguardo che Celati posa sulle cose che egli, nel suo viaggio, vede ed incontra. Il viaggio fisico che si svolge in Verso la foce e che egli ci narra diventa così un viaggio visivo attraverso il quale Celati ci racconta le evocazioni che quelle cose gli destano, il senso o non senso che gli suscitano, le emozioni che gli provocano. Le descrizioni e riflessioni che ne derivano, e che si alternano di continuo, diventano perciò l’esito del procedere di Celati verso quella meta: la foce del Po, che egli raggiungerà, attraverso tappe distinte e distanti, seguendo il corso del fiume. Sarà quello di Celati un errare che lo porterà ad attraversare, per lo più a piedi, luoghi, spazi, ambienti di quella “valle padana” nella quale ad una natura sottomessa dall’uomo fa da corollario una presenza umana sempre più dissociata che a Celati si rivelerà come “…l’attraversamento d’ una specie di deserto di solitudine, che però è anche la vita normale di tutti i giorni”. Segnale di una deriva già incubata in quella realtà, che le “apparenze” materiali camuffano e riempiono. Epifanie di futuro che Celati già avverte ed anticipa.

Continua a leggere

“Poesie politiche” – Bertolt Brecht

Bertolt Brecht – “Poesie politiche” – Traduzioni di Paola Barbon, Emilio Castellani, Olga Cerrato, Giorgio Cusatelli, Roberto Fertonani, Franco Fortini, Enrico Ganni, Claudio Groff, Ruth Leiser – “Introduzione” di Alberto Asor Rosa – Einaudi Poesia – 2014

…La mia tesi è che anche le poesie di Brecht,in particolar modo quelle politiche, possono definirsi teatrali. Ossia: esse presuppongono, – sempre, – l’esistenza di un pubblico. Non è quel che capita a ogni poeta e a ogni poesia? Si, ma molto, molto più, secondo me, indirettamente. Certo, anche Leopardi, anche Montale, spiegano le loro vele allo scopo che, alla fine, siano da qualcuno avvistate. Ma quando, e come, questo si verificherà, non dipende da loro, e, a dire la verità, neanche molto gliene importa. In Brecht, no, in Brecht, nell’invenzione del testo e nella sua stesura, un interlocutore, individuo o massa che sia, è sempre presente.

Continua a leggere

“Rivolta dei pescatori di S. Barbara” – Anna Seghers

Anna Seghers – il cui vero nome era Netty Reiling – nel 1928, con il conferimento del rinomato premio Kleist, assegnatole per il suo romanzo Rivolta dei pescatori di S. Barbara edito quell’anno – che fu il suo primo romanzo nonché quello che la rivelò – entrò a pieno titolo tra i grandi letterati della Repubblica di Weimar. Quel premio era stato infatti conferito in quegli anni ad autori del calibro di Hans Henny Jahnn, Bertolt Brecht e Robert Musil solo per citare alcuni tra gli scrittori più famosi e rilevanti che lo ricevettero. Nello stesso anno la Seghers entra a far parte della “Lega degli scrittori proletario-rivoluzionari” e si iscrive al Partito Comunista. Quell’anno la Seghers compirà “appena” ventotto anni, essendo nata il 19 novembre del 1900 a Magonza da genitori di religione ebraica.

Continua a leggere

“Un giorno di fuoco” – Beppe Fenoglio

I nuclei narrativi su cui si fonda e si sviluppa l’opera di Fenoglio hanno riscontri e legami profondi con i vissuti esperenziali ed esistenziali che Fenoglio stesso si trovò a condividere e di cui fu partecipe, senza per questo dare mai luogo ad un esplicito autobiografismo. Il più noto di tali vissuti resta sicuramente quello della lotta partigiana a cui Fenoglio aderì e prese parte e che trovò ne Il partigiano Johnny una sua trasposizione nella quale la presenza della Storia è molto forte rimanendo come “incollata” alla vicenda del partigiano Johnny il quale la attraverserà facendoci assistere costantemente ai “fatti” come mosso da una volontà, prima di tutto “morale”, di testimonianza e di documentazione, sebbene, sia chiaro, che la cronaca della guerra partigiana si fonde ne Il partigiano Johnny con tutta una serie di significati che vanno ben al di là di quelli storici.

Continua a leggere

“Casa d’altri” – Silvio D’Arzo

All’improvviso dal sentiero dei pascoli, ma ancora molto lontano, arrivò l’abbaiare di un cane.

Tutti alzammo la testa.

E poi di due o di tre cani. E poi il rumore dei campanacci di bronzo.

Chini attorno al saccone di foglie, al lume della candela, c’eravamo io, due o tre donne di casa, e più in là qualche vecchia del borgo. Mai assistito a una lezione di anatomia? Bene. La stessa cosa per noi in certo senso. Dentro il cerchio rossastro del moccolo, tutto quel che si poteva vedere erano le nostre sei facce, attaccate una all’altra come davanti a un presepio, e quel saccone di foglie nel mezzo, e un pezzo di muro annerito dal fumo e una trave annerita anche più.

Tutto il resto era buio.”

Continua a leggere

“Alibi” – Elsa Morante

Elsa Morante – “Alibi” – Prefazione di Cesare Garboli – Garzanti. Collana Gli elefanti Poesia – 1990

Insensibile al linguaggio poetico del Novecento, Alibi risale a una tradizione che non ha né tempo né luogo precisi ma si confonde con l’idea, costituita e trasmessa nei secoli, che il parlare poetico sia un linguaggio nobile, raro, elevato, prezioso, il vestito, per così dire, cosparso di gioielli e “spettacoloso”, col quale i pensieri tragici e i concetti sublimi vanno in giro per il mondo e si mostrano al pubblico. Si può anche dire così: ciò che la tradizione regala a Alibi è solo l’intonazione, l’eco del parlare poetico sentito come uno strumento adatto alla sincerità ma anche alla finzione, inventato e fatto apposta per dirsi e dire la verità ma anche per camuffarla, declamarla, ingannarla – strumento ambiguo sul quale si possono sempre accordare, truccandole, delle confessioni da quaderno segreto troppo roventi per non cifrarle (alibi), e troppo cifrate per non chiedere aiuto a un codice. Questo aspetto del linguaggio poetico è in Alibi esasperato, spinto fino ai confini dell’ artificio e della teatralità solitaria, a luci spente: da una parte, la poesia è la veste, l’indumento di scena che la Morante afferra in un angolo della stanza per coprire la nudità delle sue espressioni; dall’altra è la formula magica , il sortilegio con cui si fanno i vaticinii e si chiedono le risposte al futuro” (dalla Prefazione di Cesare Garboli)

Continua a leggere