“Da quando sono nato” – Maurizio Salabelle – Prima parte

Quando lo scorso mese di ottobre Marisa Salabelle, sorella di Maurizio Salabelle, ha annunciato, sul suo blog, l’ uscita, avvenuta il 18 ottobre, di un nuovo romanzo di Maurizio Salabelle dal titolo “Da quando sono nato”, ho provato un immediato moto di contentezza. Perché Maurizio Salabelle è un autore che ho amato e amo molto, di cui ho letto tre dei suoi precedenti romanzi e cioè: “Un assistente inaffidabile” e “La famiglia che perse tempo” – dei quali ho parlato qui nel mio blog – e “Il maestro Atomi”. La contentezza era ovviamente dovuta alla prospettiva di leggere un nuovo libro di Maurizio Salabelle ma, in essa, vi era anche la sorpresa per l’ inattesa notizia dell’ esistenza di questo nuovo libro. Perché, per coloro che non lo sapessero, Maurizio Salabelle è deceduto, prematuramente, nel 2003 a soli 43 anni e, da allora, era uscito un solo romanzo postumo: “La famiglia che perse tempo”, nel 2015, che ritenevo fosse anche l’unico e l’ ultimo rimasto da pubblicare dopo la sua morte. Scoprire a distanza di otto anni da quell’ uscita e a vent’anni dalla sua morte che c’era un altro suo romanzo rimasto inedito è stata più che una sorpresa, è stato come se avessi ricevuto un regalo insperato.

Perché l’originalità e l’unicità di ciò che Maurizio Salabelle, nei suoi libri, è riuscito a creare resta ineguagliabile, avendo egli dato vita a un “mondo” narrativo tutto suo che va oltre i consueti canoni e generi ed avere quindi la possibilità di poter entrare di nuovo in quel suo “mondo” è davvero un’esperienza “fuori dal mondo” in tutti i sensi. Giacché il suo è un mondo nel quale tutto è inventato, dominato come esso è dall’inventiva e dall’invenzione. Maurizio Salabelle è riuscito infatti a creare uno stile, un linguaggio, delle trame, delle ambientazioni e delle atmosfere assolutamente irrealistiche per effetto della sua immaginazione sfrenata, delle sue trovate geniali, di quella sua leggerezza inquietante, di quel suo non senso rigoroso, di quella sua iperbolicità galoppante, di quel suo humour nero anzi lugubre come direbbe lui e, soprattutto, per effetto di quella irrealtà iperrealistica anzi “iporealistica” presente nei suoi romanzi, espressione quest’ultima che sintetizza il suo modo di raccontare, che lui stesso conia e fa dire a Filip il protagonista di “Un assistente inaffidabile”:In otto giorni scrissi un romanzo di duecento pagine dall’insolito titolo Il lugubre, in cui raccontavo avvenimenti che non sarebbero assolutamente potuti accadere. Inventai per questo testo la nuova tecnica “iporealistica”. Dove anche le scene più banali contenevano dosi di inverosimile”.

Una tecnica – come è stato scritto nelle motivazioni dalla giuria che assegnò nel 1992 il Premio Berto a “Un assistente inaffidabile” – per cui “…le vicende, ridotte a piccoli, monotoni gesti quotidiani, si rivelano talmente improbabili da confondersi con le allucinazioni.” E questo modo di raccontare ha come primo effetto quello di promanare un’incredibile forza comica che non è però una vis comica cercata ma è invece tutta interna al testo, come se uscisse dai pori del testo per conto suo, apparentemente sfuggente eppure continuamente presente. Il suo segreto, secondo me, è nella sua natura allusiva, nell’essere buttata là con nonchalance, quasi distrattamente, con l’intento, attraverso di essa, di evocare altre emozioni e altre sensazioni oltre quelle comiche.

E, l’effetto, come è stato osservato, è che “Una delle qualità più affascinanti del comico salabelliano consiste nella creazione di immagini stranianti, ottenute tramite il montaggio giocoso e arbitrario di elementi quotidiani e magicamente sciatti. “(Michele Farina – “L’ insostenibile leggerezza del comico. Invito alla lettura di Maurizio Salabelle” – pubblicato sul blog “La balena bianca” il 3.9.2019). Laddove questa sciattezza, che è interna alle cose narrate ma non nella forma del narrare che è assolutamente curata e precisa, trasmette una sorta di effetto “pattumiera” come se le cose fossero sempre sul punto di degenerare nel proprio scarto, conferendo alla narrazione un senso costante di dissociazione che produce la reazione comica ma anche una sottile e perturbante angoscia.

Un altro aspetto di questa “iporealtà” di Maurizio Salabelle è che essa è come un crogiolo dove trovano posto e si fondono differenti influssi che lo hanno ispirato e che si colgono nei suoi libri, ai quali Marisa Salabelle, in una sua recensione di “Da quando sono nato” pubblicata il 27 ottobre scorso sul blog MasticadoresItalia, fa esplicitamente cenno: “Si percepisce, leggendo i suoi scritti, l’influenza di autori che ha molto amato: Kafka e Bruno Schulz, Robert Walser, ma anche gli autori francesi dell’Oulipo.” E, tra questi ultimi, viene immediatamente da pensare a Raymond Queneau, che dell’ Oulipo è stato uno dei fondatori, essendo presente in Salabelle una spiccata vena surreale che richiama l’ impronta surreale di Queneau e, naturalmente, Georges Perec che dell’ Oulipo ne è stato l’altro grande esponente e a cui Salabelle si ispirava dichiaratamente definendolo “…uno tra i miei scrittori preferiti”. (M. Salabelle – “Un romanzo è un apparecchio complicato” pubblicato nella rubrica “Martin Eden” de “L’Indice” – anno 2000 – n.5).

Ora questi riferimenti fanno ben comprendere il particolare mix delle valenze letterarie che hanno operato in Maurizio Salabelle il quale è riuscito a fonderle in modo poliedrico producendo cioè una narrazione che incorpora questi riferimenti e li rielabora in una loro specifica e singolare combinazione. Attraverso la sua creatività dilagante egli è riuscito infatti a fondare una realtà fuori dalla realtà in cui inquietudine, stupore, immaginazione, comicità e surrealtà convivono.

Nei romanzi di Maurizio Salabelle i personaggi si inoltrano infatti in loro spazi paralleli e distonici rispetto a quelli reali, nei quali tutto è possibile che accada e ciò in modo assolutamente imperturbabile. L’ imperturbabilità è infatti una costante ricorrente nel modo in cui i personaggi si pongono di fronte alle cose anche a quelle più assurde, tristi e inverosimili e lo fanno in quella loro tipica modalità che sta tra il catatonico e l’ allucinato. E non a caso, su questa falsariga, è stato osservato come “Nei libri di Salabelle i narratori – personaggi, spesso giovani o giovanissimi, sembrano stuporosi zero assoluti walseriani” (Michele Farina – “Maurizio Salabelle, l’ orologiaio del comico” – pubblicato sulla rivista online “Doppiozero” l’ 11.2.2022)

Ma per comprendere ancora meglio come si declina questa imperturbabilità in Salabelle due riferimenti cinematografici possono essere molto utili. Uno è quello a Buster Keaton e a quella sua postura “seria” anche di fronte a quanto di più ridicolo e grottesco possa accadere, ed è proprio così che si pongono i protagonisti dei romanzi di Salabelle. Un altro riferimento, ancor più significativo a mio modo di vedere, è quello ai personaggi dei film del grande cineasta, nonché scrittore, finlandese Aki Kaurismaki, i quali appaiono, nei suoi film, assenti e apparentemente inespressivi, ai limiti del mutismo. Improntati anch’essi a un mood surreale i personaggi di Kaurismaki come quelli di Salabelle sono, nella loro costante imperturbabilità, dei malinconici in un perenne stato di understatement. E come nei film di Kaurismaki anche nei romanzi di Maurizio Salabelle si ghigna ma a denti stretti, ci si stupisce e si resta increduli per l’invenzione assurda di un’immagine o di una situazione ma, al tempo stesso, ci si accorge che un velo di malinconia si deposita su quell’immagine o su quella situazione.

Maurizio Salabelle ha quindi messo il suo personale background letterario al servizio del racconto della sua realtà. Ma una realtà sui generis, per modo di dire, in quanto le vicende inventate da Maurizio Salabelle bypassano la reale realtà, urtano con il senso comune, oltrepassano l’idea di normalità, negano il principio di causa effetto salvo stabilirne un altro, assolutamente strambo e strampalato, del tutto diverso da quello corrente. Salabelle smonta e dissacra la realtà delle cose così come essa è ed appare, ma senza farlo programmaticamente o deliberatamente, bensì in modo del tutto naturale attraverso cioè gli artifici verbali e le costruzioni narrative che crea. C’è, nel raccontare di Salabelle, un continuo riassociare le cose in un puzzle del tutto nuovo rispetto a quello reale. Un puzzle impeccabile e pazzoide, esagerato e fervido, minimale eppure denso di figurazioni, intessuto di candore eppure trucido, calato nel quotidiano e, al tempo stesso, estraneo alla quotidianità delle cose.

Insomma un grande burattinaio che muove i suoi personaggi dove e come vuole facendogli fare e facendogli dire ciò che egli decide, in base a “regole” sue, in base a sue direttrici che liberano lui e il lettore dall’ obbligo e dalla necessità della verosimiglianza. E così se anche le cose non tornano, non hanno senso, sono assurde né l’ autore né il lettore si pongono alcun problema e vanno avanti imperterriti. Laddove quella tra l’ autore e il lettore è un’ alleanza imprescindibile se si ha tra le mani un libro di Maurizio Salabelle. Perché se non si sta o non si sa stare al suo “gioco” il gioco finisce. E, in questo gioco, apparentemente senza regole, ve ne è una che domina che è quella della libertà espressiva assoluta.

In questo senso il ritmo e l’incedere narrativo di Salabelle è quello di un vero moltiplicatore di storie. Le vicende narrate, come avviene anche in “Da quando sono nato”, si infilano infatti le une nelle altre in un proliferare di accadimenti imprevisti, di reiterazioni ossessive, di circostanze fortuite, di eventi implausibili, di episodi tragicomici, finendo lo stupore e la sorpresa che tutto ciò sprigiona per assurgere a condizione permanente per il lettore. A conferma del meccanismo “deragliante” nei confronti di tutte le convenzioni, narrative e non, che Maurizio Salabelle poneva al centro della sua scrittura. E così anche le ambientazioni sono quelle di un mondo vago e svagato non riferito né riferibile a luoghi definiti e concreti, nel quale i personaggi sono inglobati, portatori anch’essi di altrettanta vaghezza e svagatezza.

Siamo quindi condotti nei suoi libri dentro universi spiazzanti, in cui ci si ritrova privi di certezze ed è proprio questo il senso del non senso di Salabelle perché il suo è un continuo esercizio di destabilizzazione dell’ordine delle cose e del pensiero, è un mettere in atto una sistematica catastrofe del razionale, è un portarci dentro dei labirinti narrativi che sono poi quelli che danno forma al suo mondo. Ma in questo Salabelle non è certamente da considerare come un virtuoso del disorganico, come un funambolo di trovate a effetto o come un mero inventore di trame “schizzate” e “schizoidi”, al contrario dietro il suo narrare strampalato e talora quasi buffonesco Maurizio Salabelle aveva una sua “visione” e dentro il suo modo di narrare e attraverso di esso egli tematizzava proprio quella “visione”. Nella quale il non senso delle cose, la gratuità del caso, il prodursi del fallimento erano, tra le altre, alcune delle “materie” in essa presenti e che troviamo in “Da quando sono nato”.

Pubblicato, così come era accaduto per “La famiglia che perse tempo”, da Quodlibet nella sua collana Compagnia Extra, curata da Ermanno Cavazzoni che è stato altresì colui che più di ogni altro ha sostenuto e promosso l’opera di Maurizio Salabelle, “Da quando sono nato” – come ci dice lo stesso Cavazzoni nel risvolto di copertina – fu “Scritto tra il 1994 e il 1995…[e] In alcuni appunti a margine Salabelle si era annotato che questo romanzo, assieme ai due precedenti Un assistente inaffidabile e Il mio unico amico, completa una trilogia sui temi del leggere, scrivere e far di conto; l’idea gli viene dal Pinocchio di Collodi, quando in un momento di buoni propositi dice: <<Oggi, alla scuola, voglio subito imparare a leggere: domani poi imparerò a scrivere, e domani l’altro imparerò a fare i numeri>> (cap. IX), però come si sa i buoni propositi di Pinocchio finiscono sempre male. E così i personaggi di Salabelle, che corrono dietro a uno scopo ma alla fine falliscono, cioè – annota Salabelle – <<perseguono uno scopo il cui fine ultimo è il fallimento. Hanno il coraggio di perseguire il loro fine pur sapendo che falliranno, quindi sono personaggi a cui va tutta la mia stima>>.”

Ed è proprio con questo senso di complicità e di comprensione per le “fallimentari” vicende di Patrizio Rhuggi, il protagonista di “Da quando sono nato”, che Maurizio Salabelle ci conduce nel racconto della sua vita, dalla nascita appunto, fino alla morte, che però non si sa se ci sarà.

Nel prossimo articolo il “seguito” delle vicende di Patrizio Rhuggi.

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