“La cittadina dove il tempo si è fermato” – Bohumil Hrabal

La cittadina dove il tempo si è fermato” è, in prima battuta, un gioioso romanzo comico in cui Hrabal, da par suo, conferisce alle vicende narrate una unicità e singolarità tale da farle diventare vicende “mitiche”. Ogni episodio, ogni circostanza della vita dei protagonisti, così come affiora nel corso della narrazione, nonché i loro caratteri e i loro comportamenti, si stagliano infatti di fronte al lettore per la loro particolarità e “teatralità”. Non appena si comincia a fare la loro conoscenza ci si accorge che i protagonisti del romanzo, dietro le parvenze iniziali, rivelano infatti una natura che non ha nulla di ordinario e di regolare. Una natura che, da persone quali essi sono, li rende tutti, chi più chi meno, dei veri e propri personaggi che, per un motivo o per l’altro, si staccano dall’ habitus di ciò che è standard e normale e si rivelano assolutamente fuori dagli schemi per il loro modo d’essere spiazzante e talora un po’ pazzoide che suscita un spontaneo effetto di intensa comicità.

E il mondo stesso di quella cittadina in cui essi vivono ha quelle caratteristiche laddove una sorta di tenera follia impregna le vite di coloro che vivono in quel luogo, il quale trasmuta anch’esso da luogo fisico e reale in luogo mito di se stesso. Il romanzo diventa così, ben presto, il racconto incalzante e inarrestabile di una sarabanda di avvenimenti senza alcuna soluzione di continuità sia in termini di flusso narrativo che per le loro stranezze manifeste. E ciò con riferimento sia agli avvenimenti piccoli e quotidiani che a quelli più grandi ed eccezionali. “La cittadina dove il tempo si è fermato”, scritto da Hrabal nel 1973, è il secondo dei tre libri ambientati da Hrabal a Nymburk che è la cittadina del titolo, i quali costituiscono il cosiddetto “ciclo di Nymburk”, città nella quale la sua famiglia si trasferì nel 1919 allorquando il padre di Hrabal, František Hrabal, venne assunto, come amministratore, nella locale fabbrica di birra. Hrabal, che era nato a Brno nel 1914, trascorrerà a Nymburk tutta l’infanzia, tutta l’adolescenza e la prima giovinezza e il ricordo di quel luogo e di quegli anni si fisserà in lui venendo poi trasposto e trasfigurato nei libri che lì vi ha ambientato.

E infatti ne“La cittadina dove il tempo si è fermato” le vicende ruotano intorno al racconto che ne fa l’io narrante che è un ragazzino attraverso il quale Hrabal rivive e rivede se stesso, la sua famiglia e quel luogo. E, in quella famiglia, insieme al padre, che qui si chiama Franzin e fa anch’egli l’amministratore della locale fabbrica di birra, e alla madre, campeggia la figura dell’incontenibile e irrefrenabile zio Pepin che alimenta con le sue mattane e con il suo inesauribile spirito vitale molte delle “storie” che si susseguono nel romanzo. Perché, come in un folle carosello, compaiono e si alternano, oltre e insieme a quelli “familiari”, numerosi altri personaggi che danno vita a un tourbillon di “storie nella storia”. Il tutto raccontato nei toni del grottesco e del surreale, a cavallo tra il tragico e il farsesco, con slanci poetici ma anche con esplicite crudezze, predominando sempre un sottofondo comico che stempera asprezze e assurdità e conferisce leggerezza e levità.

E ad alimentare in particolare la dimensione comica è la figura dello zio Pepin protagonista e interprete di un mondo e di un modo di stare al mondo squinternato e buffonesco, irriverente e goliardico. Millantatore di mirabolanti gesta, Pepin è sempre al centro dell’attenzione dovunque vada, in particolare nelle serate in birreria che anima da vero mattatore. Egli è, in questo senso, un tipico personaggio di Hrabal, uno di quei personaggi definiti dallo stesso Hrabal, con un neologismo, “pabitelé”: “Hrabal li denomina <<pabitelé>>, con un vocabolo che significa insieme parabolano e gradasso. Si tratta in genere di piccoli omini, travolti dalla locomotiva degli avvenimenti…che trovano consolazione nelle stravaganze e nelle sonorità delle ciance…”. (1)

E “Hrabal che aveva veramente uno zio Pepin, acceso e infaticabile narratore, prototipo di tanti dei <<pabitelé>> dei suoi racconti” (2), nel crearne il “personaggio” ci mette di fronte ad un omino semplice e innocuo che sa rendersi adorabile e ben voluto da tutti, nonostante egli sia uno svitato e uno sbruffone capace, come egli è, di dar vita a universi lunatici, a intrattenimenti disinibiti, a goffaggini di vario tipo, ad affabulazioni di storielle per amore delle storielle, capace altresì, nel contempo, di esprimere tutto il disgusto possibile per le imposizioni e le vessazioni, in nome della libertà e del rifiuto di ogni sottomissione.

Ma Hrabal, in questo suo libro, non si limita a suscitare la dimensione dei ricordi, né coltiva o alimenta nostalgie per un tempo passato, voltandosi indietro e cercando in esso rifugio. Al contrario, nel raccontare quel mondo Hrabal ne esalta e ne evoca il suo intrinseco linguaggio, il suo carattere e la sua natura, le sue regole e i suoi riti, la sua autenticità e la sua forza, le sue purezze e le sue grossezze. Lo spirito vitale di Pepin è si produttore di una sua energia ma è anche catalizzatore di energie comunque presenti in quel mondo e che in esso vi circolano robustamente. E’, insomma, il tempo di quella cittadina, quel tempo che si è ormai fermato e che Hrabal imprime nelle sue pagine. Perché il tempo venuto dopo non è più lo stesso, è irrimediabilmente e definitivamente diverso. Quello venuto dopo è’ un tempo nuovo in cui si parla un’altra lingua, una lingua che chi è vissuto in quel tempo che si è fermato non è in grado di parlare.

Pepin ripete e rievoca di frequente il suo essere stato soldato nell’esercito austro-ungarico: “Lo zio Pepin gridava eccitato: <<Ecco com’è che dev’essere, la disciplina austriaca è la più bella disciplina del più bell’esercito del mondo>> e Hrabal stesso amava ricordare di appartenere “…a quella vecchia generazione “nutrita con il latte dell’Austria-Ungheria”” (3). Vi sono quindi, in quel mondo, delle radici che affondano in una dimensione mitteleuropea che ha preceduto e ha forgiato coloro che vivono nel tempo che si è fermato il quale, dispiegato fra le due guerre, ha la sua ambientazione negli anni che vanno dai Venti ai Trenta. Ma prima la seconda guerra con l’occupazione tedesca poi, finita la guerra, l’avvento del regime comunista, attraverso cui passeranno le vicende raccontate nel romanzo, comprese quelle relative allo zio Pepin, che si troverà anch’egli dentro a quegli eventi, cancelleranno quel tempo che si è fermato, ma non impediranno che la sua esistenza possa essere riaffermata restituendole la sua vita e la sua vitalità..

Ed è qui che entra in gioco la funzione della letteratura e la grande capacità di Hrabal di darle voce e cioè raccontare quel tempo innalzandolo da cosa morta a cosa viva attraverso la trasposizione che egli ne ha fatto, con cui lo ha fissato in quella sua dimensione mitica. E attraverso quel suo se stesso, che è il narratore-protagonista, Hrabal rende esplicito omaggio e dà un dichiarato riconoscimento al valore salvifico della scrittura che consente appunto, al ricordo, attraverso la scrittura, di essere nuovamente realtà e non svanire. E ciò allorquando fa dire al narratore suo alter ego: “…ebbi la sensazione… che se avessi smesso di scrivere sarei morto, che unicamente scrivendo avrei potuto sviare la morte… perché continuerò sempre a scrivere e scrivere e così a lungo, che quando avrò smesso di scrivere non saprò più di essere esistito”. Quella cittadina, quel tempo, quei suoi abitanti diventano così la rappresentazione di una condizione esistenziale che si emancipa sia dal flusso della storia che dall’ oblio del mondo laddove tutta “… l’ opera di Hrabal si può leggere come la mappa di un territorio mitico, un intreccio atemporale in cui tornano luoghi e personaggi che non si consumano nel flusso della storia, ma che vanno a costruire il suo mondo stralunato”. (4)

Ma se di quel tempo Hrabal ne ha messo in scena il suo scorrere vitale, in tutta la sua intensità, restituendocene umori, passioni, gioie, dolori, spacconate, ingenuità, follie, impazzimenti, slanci, seduzioni, amarezze, delusioni, balli e bevute, ponendo al centro di questa messa in scena lo zio Pepin elevato a simbolo ed incarnazione di quel tempo e di quel mondo ebbene, altrettanto intensamente, ne ha rappresentato la sua fine e la sua morte simboleggiata e incarnata anch’essa dalla persona e dalla figura dello zio Pepin. La cui luce e la cui fiamma si andranno spegnendo e il tempo che fagociterà quelli che erano stati i “… vecchi tempi d’oro“, fagociterà anche lo zio Pepin.

Hrabal compone così un quadro che si fa compendio dell’ esistenza in una compresenza di vita e morte nella quale il contrasto, che tale compresenza suscita, non confligge ma, pur nella struggevolezza che suscita, trova una sintesi. Perché anche lo zio Pepin che, in quel suo debordante folleggiare, sembrava immune e lontano dall’ idea della morte, pulsando in lui prorompente la vita, dovrà arrendersi alla morte. E, in questo, c’è un altro canone dell’ opera e della poetica di Hrabal e cioè quel riuscire a creare e a fare coesistere, in modo poetico e armonico, sintesi di cose tra loro in contrasto. Come è stato infatti osservato “…i testi hrabaliani si possono definire <<una sintesi autonoma di cose che un tempo erano fra loro lontane:…Hašek e Joyce, il flusso del linguaggio popolare d’osteria e il flusso della coscienza>>(5).

E questa sintesi dei contrasti che riesce a tenere insieme cose opposte e diverse e a superare la loro singolarità permette a Hrabal di creare una realtà in cui ordine e caos, normalità e follia, struggevolezza e umorismo, vita e morte si fondono nell’ invenzione narrativa. Al punto che Hrabal stesso fa assurgere, tale sintesi, ad ossimoro, un ossimoro tipicamente hrabaliano nella sua apparente follia e nella sua profonda verità: “”L’ ordine è il caos”, scriveva racchiudendo in una frase non soltanto tutta la scomposta forza creativa dei suoi libri, ma anche il disordine della sua eclettica esistenza” (6). Delle quali, cioè di opera e vita, lui stesso, con un ennesimo gioco di contrasti ne aveva prodotto una fulminante e suggestiva sintesi: “Dunque, nella misura in cui sono incrudito, in quella stessa misura sono anche intenerito. Ho alternato ritmicamente, non soltanto nella vita ma anche nel mio scrivere, il fragile pierrot e il duro rude. Ma attenzione! Io sono sempre stato più quel pierrot, crudo lo sono diventato soltanto affinché il mio testo tuonasse”. (7)

Con la morte dello zio Pepin Hrabal quindi simbolizzerà e suggellerà la morte e la cristallizzazione di quel tempo che si è fermato e la descrizione della scena finale di papà Franzin che assiste, passando accanto al vecchio cimitero, all’estirpazione delle lapidi e, con esse, alla cancellazione del tempo passato, constatandone inesorabilmente la morte, chiude malinconicamente e struggentemente il romanzo e ce ne lascia tutta la sua bellezza in quel contrasto tra ciò che nella realtà è morto e ciò che nel ricordo potrà continuare sempre a vivere.

Passamdo accanto al vecchio cimitero si fermò. Come poteva vedere, la gente si recava in corteo anche al vecchio cimitero con picconi e carrucole e cric e leve, anche lì alla gente non bastava che il tempo si fosse fermato. Quasi tutte le lapidi erano state estirpate dalla terra, quasi tutte le tombe e le cappelle erano aperte…lapidi che per più di duecento anni avevano esibito indirizzo e condizione ed età e versi innamorati, tutto quello che era scolpito nella pietra ora veniva trasportato in un’altra cittadina, dove con smerigliatrici e trincianti venivano cancellati i nomi delle persone del vecchio tempo…E per un momento ancora papà fu quasi contento che le tombe opponessero resistenza, che le ruspe dovessero sforzare, che le catene si rompessero, ma alla fine pure ci riuscirono, dovevano riuscire a strappare dalla terra i vecchi tempi, e papà camminava, guardava le lapidi e vedeva le scritte e le leggeva e si accorse che anche il suo tempo era morto davvero…E sta bene, si disse papà, ogni cosa torna al suo principio, ora vedo che il tempo si è fermato per davvero e il tempo nuovo è davvero incominciato, ma io ho solo la chiave dei vecchi tempi e l’accesso ai nuovi mi è negato, e il tempo nuovo ormai non posso viverlo, perché appartengo al tempo vecchio, che è morto. Impegnato in queste considerazioni papà salì sul ponte e, quando vide la fabbrica di birra beige laggiù, dove finisce la periferia, si chinò sul fiume e si mise a guardare l’acqua che scorreva. E si tolse il berretto da ufficiale di marina, il celebre berretto dello zio Pepin, ed era come se quel berretto fosse il simbolo dei vecchi tempi d’oro, e non solo per lo zio Pepin, ma anche per papà. Papà porse il berretto al vento e poi lo lanciò nell’aria, nel sole, e il berretto planò e cadde sull’acqua e la corrente lo portava via, fino all’ultimo momento papà seguì con lo sguardo il berretto trasportato dalla corrente dell’ Elba e il berretto da ufficiale di marina non affondava e papà ebbe l’impressione non che non sarebbe mai affondato, ma che non poteva affondare, e anche se così fosse stato, quel berretto avrebbe continuato a splendere nei suoi pensieri come un ricordo luminoso. E quando papà arrivò a casa, la mamma disse: <<E’ arrivata ora la notizia che lo zio Pepin è morto>>. E papà rise con gioia e assentì: <<Si>> disse, <<lo so>>.

*****

1. – Angelo Maria Ripellino – “Praga magica” – Einaudi – 1991 – p. 275

2. – Annalisa Cosentino – “Note in margine alla traduzione” in B. Hrabal – “La cittadina dove il tempo si è fermato” – edizioni e/o – 2009 – p. 172

3. – Paolo Di Stefano – “Addio Hrabal, il ferroviere che cantò la solitudine” – articolo pubblicato il 4.2.1997 sul “Corriere della Sera”

4. – P. Di Stefano cit.

5.- Sergio Corduas – “Hrabal ferroviere di Dio” in B. Hrabal – “Treni strettamente sorvegliati” – edizioni e/o – 1992 – pp. 129-130

6. – P. Di Stefano cit.

7. – Sergio Corduas – “Intervista con un Pierrot incrudito” in B. Hrabal – “Una solitudine troppo rumorosa” – Einaudi Tascabili – 2009 – p. 116

4 risposte a "“La cittadina dove il tempo si è fermato” – Bohumil Hrabal"

    • ilcollezionistadiletture 17 marzo 2024 / 18:03

      Grazie, mi fa molto piacere che il commento ti abbia indotto a leggere il libro.
      Hrabal è un grande scrittore e il libro è molto divertente e pieno di umanità.
      Spero che ti piaccia.
      Un carissimo saluto.
      Raffaele

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    • ilcollezionistadiletture 30 marzo 2024 / 8:26

      Ciao Marisa.

      Si Hrabal merita sempre di essere letto, resta uno dei grandi del ‘900.

      E poi la sua vena surreale e grottesca e il suo uso del comico uniti a quella sua vena lirica lo rendono speciale ed assolutamente moderno anzi, direi, senza tempo.

      Tanto che dopo Maurizio e Adrian Bravi, Hrabal mi sembrava un ideale collegamento proprio per quegli elementi surreali e grotteschi e per il ricorso al comico che sono presenti in tutti loro.

      Ti consiglio anche di Hrabal, “Treni strettamente sorvegliati”, forse il suo libro più bello e più riuscito.

      Grazie della visita e Buona Pasqua.

      Ciao.

      Raffaele

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