Una delle più grandiose demistificazioni dell’essere umano, dell’umanità, del perché si vive, della vita stessa, che il pensiero occidentale sia stato in grado di esprimere. Con lo splendore tagliente e terribilmente vero delle sue parole, Cioran ci obbliga a fare i conti con il catalogo dell’inutile sotto il quale siamo, da sempre, e saremo, sempre, sommersi.
Abbiamo costruito un mostruoso apparato di sovrastrutture: le religioni, la legge, la retorica dei sentimenti, ovviamente il denaro, il potere e la vanità, poi ancora la filosofia, la scienza e la tecnologia, infine la peggiore di tutte l’ambizione, in quanto costitutiva del generarsi del desiderio e connessa al concetto di progresso. Tutto ciò per cercare di dare risposta a due cose che non hanno e non possono avere alcuna risposta: la morte e il senso della vita. Giacché alla morte non c’è rimedio e il senso della vita non esiste. “Perseveriamo nella vita proprio perché essa non si regge su nulla, perché non ha neanche l’ombra di un argomento. La morte è troppo esatta; ha tutte le ragioni dalla sua. Misteriosa per i nostri istinti, dinanzi alla nostra riflessione si profila limpida, priva di seduzioni e senza le false attrattive dell’ignoto.A forza di cumulare misteri inconsistenti e di monopolizzare il nonsenso, la vita ispira più paura della morte: è lei il grande Ignoto” . “Date uno scopo preciso alla vita e perderà all’istante il suo fascino. L’incertezza dei suoi fini la rende superiore alla morte;….una scienza positiva del senso della vita spopolerebbe la terra in un solo giorno” . “Contro l’ossessione della morte, i sotterfugi della speranza si rivelano inefficaci quanto gli argomenti della ragione”.
Quindi viviamo solo perché non riusciamo a non vivere e la vita è, alla fine, una più o meno lunga, una più o meno agonica attesa della morte.”Ancora oggi stimo di più un portinaio che si impicca di un poeta vivo. L’uomo beneficia di una dilazione del suicidio: ecco la sua sola gloria, la sua sola scusa. Ma egli non ne è cosciente,….Noi siamo legati gli uni agli altri dal tacito patto di andare avanti fino all’ultimo respiro; tuttavia questo patto, che cementa la nostra solidarietà, ci condanna.” . Ma Cioran lungi dal risolvere con il suicidio e nel suicidio il conflitto con la morte, ci mette di fronte ad un’altra possibilità, non solo confortante, ma acor più che confortante, liberatoria. E cioè quella di abdicare da tutto, di diventare finalmente liberi e liberati, di disfarci di costrizioni, maschere, menzogne, illusioni, scopi, nonché vane e patetiche ricerche della felicità, per approdare all’unica azione possibile cioè la non azione.
“Membri di un universo ufficiale, dobbiamo occuparvi un posto, in virtù di un destino rigido, che non si allenta se non in favore dei folli;….Da quando la società si è costituita, coloro che hanno voluto sottrarvisi sono stati perseguitati o scherniti. Vi si perdona tutto, purché abbiate un mestiere, una qualifica sotto il vostro nome, un sigillo sul vostro nulla. Nessuno ha l’audacia di esclamare: “Io non voglio fare niente!” – si è più indulgenti con un assassino che non con uno spirito affrancato dagli atti” . “Dappertutto persone che vogliono: mascherata di passi precipitosi verso scopi meschini o misteriosi;….ognuno vuole; la massa vuole; migliaia di persone tese verso non si sa che cosa. Io non sono capace di seguirle, e ancora meno di sfidarle; mi fermo stupefatto: quale prodigio ha ispirato loro tanta alacrità?…..Me ne distolgo, e lascio i marciapiedi del mondo.”
Ecco quindi la purezza di esistere in quanto tale, senza alcun altro fine ed obiettivo concedendoci, se lo vogliamo, i piaceri dell’arte, in primis della poesia: “L’unica menzogna che non sia totale è quella dell’artista, poiché egli non inventa che se stesso” . “Soltanto il poeta si assume la responsabilità dell’ io, soltanto lui parla a nome di se stesso, soltanto lui ha il diritto di farlo” . “Come non orientarsi allora verso la poesia? Essa ha – al pari della vita – la scusante di non dimostrare nulla” ma, in realtà, risolvendosi, la vita, in un’esperienza ridotta all’essenziale, pressoché ascetica e comunque aspirituale.
“Per rinfrescare il linguaggio bisognerebbe che l’umanità cessasse di parlare: essa ricorrerebbe con profitto ai segni o, più efficacemente, al silenzio.” .
“Noi avremmo bisogno di chiostri spogli, vuoti delle nostre anime, per smarrirci in essi senza l’assistenza dei cieli, in una purezza di ideali assenti: di chiostri adatti ad angeli disingannati che, nella loro caduta, a furia di illusioni vinte, restassero ancora immacolati. Agogniamo una moda di ritiri in un’eternità senza fede, una vestizione nel nulla, un Ordine affrancato dai misteri, nel quale nessun fratello potesse appellarsi a niente, sdegnando la propria come l’altrui salvezza, un Ordine dell’impossibile salvezza…” .
“….esiliarmi in me stesso, dissociarmi dal mio nome, distolto per sempre da quello che fui” .
Illusorio? Certo illusorio. Proprio per i motivi detti da Cioran. L’umanità non ne sarà mai capace e continuerà a fare quello che ha sin qui fatto.”L’idea del progresso ci rende tutti dei fatui sulle vette del tempo, ma queste vette non esistono: il troglodita che tremava di spavento nelle caverne continua a tremare nei grattacieli. Il nostro capitale di infelicità si conserva intatto attraverso le epoche; abbiamo tuttavia un vantaggio rispetto ai nostri antenati: quello di avere investito meglio questo capitale, perché abbiamo organizzato meglio il nostro disastro” .
Resta, però, la possibilità anzidetta, fatta balenare da Cioran; e chi vuole, se vuole, approssimandovisi anche solo parzialmente, può cercare di percorrere ed esplorare tale possibilità, intanto nel suo intimo e se ci riesce anche nella vita, ma solo nella sua vita, dandosi tale possibilità come unicamente singola ed individuale e come tale dovendo essere concepita e praticata. Ed è in questo senso Cioran stesso che ci avverte: “L’idea del nulla non è la prerogativa dell’umanità laboriosa: coloro che faticano non hanno né il tempo, né la voglia di pesare la loro polvere; si rassegnano alle durezze o alle stupidità della sorte; sperano: la speranza è una virtù da schiavi. Sono i vanitosi, i fatui e le civette che, temendo i capelli bianchi, le rughe e i rantoli, riempiono il loro vuoto quotidiano con l’immagine della loro carogna….e scoprono nei tratti minacciati del loro volto verità importanti quanto quelle delle religioni…..sicché gli inquieti per frivolezza prefigurano gli spiriti autenticamente tormentati. L’ozioso superficiale, ossessionato dallo spettro della vecchiaia, è più vicino a Pascal, a Bossuet o a Chateubriand di quanto non lo sia un dotto incurante di sé……Buddha stesso, superiore a tutti i saggi, non fu altro che un fatuo su scala divina. Scoprì la morte, la sua morte, e, ferito, rinunciò a tutto e impose la sua rinuncia agli altri. Così, le sofferenze più terribili e più inutili nascono da quell’orgoglio piagato che, per far fronte al Nulla, lo trasforma, per vendetta, in Legge.” .