“Doppio sogno” – Arthur Schnitzler

“Doppio sogno” è un testo fortemente perturbante anzi, oserei dire, programmaticamente perturbante. E ciò non solo per quel che di tormentato e tormentante vi è nelle vicende del giovane medico Dottor Fridolin e di sua moglie Albertine, nel cui menage irromperà un universo di pulsioni e di desideri che ne destabilizzerà il profondo e li destabilizzerà nel profondo. Ma lo è, in particolare, per il concetto di perturbante che evoca il testo.

Come è noto, le tematiche di “Doppio sogno” chiamano in causa contenuti contigui alla psicanalisi, delle cui teorie Schnitzler era un attento conoscitore, essendosene fatto anche interprete, in senso critico, di alcuni loro aspetti. Il trattamento narrativo sviluppato in “Doppio sogno” si muove perciò nel solco di un pensiero che si intreccia con categorie e schemi propri della psicanalisi, tra cui appunto, a mio modo di vedere, il concetto di perturbante il quale ci fornisce una chiave interpretativa del testo che ne regola in qualche misura tutto il suo funzionamento.

Il concetto di perturbante rimanda a quell’accezione di inconsueto, estraneo, non familiare, sviluppata da Freud nel suo saggio del 1919 avente come titolo “Il Perturbante”. Ma sempre Freud – sviluppando ulteriormente l’analisi dei significati semantici del termine tedesco Unheimlich da lui utilizzato per definire il perturbante, in contrapposizione a Heimlich (da heim casa) che sta per tranquillo, fidato, intimo – arrivò a considerare che Unheimlich farebbe più precisamente riferimento a qualcosa di misterioso, di celato che viene alla luce, che emerge, sostanzialmente negli stessi termini in cui l’aveva definito prima di lui Schelling: “E’ detto unheimlich tutto ciò che potrebbe restare[…] segreto, nascosto, e che è invece affiorato” (F. Schelling – Filosofia della mitologia).

In questa accezione il perturbante rimanderebbe quindi a qualcosa che è in noi e perciò, in quanto tale, ci appartiene ma, nello stesso tempo, ci è estraneo; è nella nostra casa ma è nascosto a noi stessi. In sintesi: ciò che noi siamo ma non conosciamo, ciò che “anche” siamo e che, come tale, appartenendoci anch’esso, può affiorare e apparire. Vi è quindi, nel concetto di perturbante, l’introdursi di un’implicita ambiguità che genera l’instaurarsi di un doppio che contiene due diverse polarità e due diverse affettività: quella nota e quella ignota.

E ciò a cui si assiste nelle vicende di Fridolin e di Albertine è proprio questo. Cioè un progressivo passaggio dall’affacciarsi dell’ambiguo al generarsi del doppio a seguito del venire a galla di parti nascoste di sé che sprigioneranno in entrambi una libido fortemente carica di pulsioni vicendevolmente aggressive e dirottata da entrambi su oggetti del desiderio fortemente animati in senso erotico/trasgressivo ed estranei al loro legame coniugale. Sia Fridolin che Albertine vivranno infatti nel corso della storia narrata in “Doppio sogno” una doppia pulsionalità affettiva. Quella che li lega alle rassicuranti certezze del noto e del familiare insite nel loro matrimonio e nel patto d’amore sancito quella “sera d’estate” “sul Worthersee”, ma anche l’opposto di tutto ciò.

E cioè quel rimosso/represso che li porterà – Albertine in sogno, Fridolin in un seguito di avventure reali ma che non avranno alcun esito in termini di attuazione dell’eros, al punto da finire per apparire anch’esse esperienze oniriche – a scoprire un loro sé altro da sé. Il quale rivelerà quelle loro seconde identità: inquietanti e segrete, pulsionalmente proiettate al perseguimento dei loro più intimi e inconfessabili desideri. In tal senso la categoria di tradimento qui appare palesemente insufficiente a rendere la complessità e articolazione degli istinti e delle pulsioni che entrano in gioco. Non solo perché non vi sarà, come detto, né in Albertine, né in Fridolin, un’incarnazione nel reale del desiderio ma perché il desiderio avrà valenze e manifestazioni così potenti che la pulsione al tradimento sarà assai più reale del tradimento in sé e assai più portatrice di significati e implicazioni di un mero agito fedifrago.

Tutto ciò assume ancor più rilevanza in ragione del fatto che Fridolin e Albertine non sono una coppia dichiaratamente in crisi, alle prese con conflitti conclamati e palesi né, tanto meno, sono da immaginarsi come attivi precursori di una moderna “coppia aperta”. Al punto che Schnitzeler ce li descrive subito, nelle prime pagine, al loro rientro a casa, da quella festa a cui avevano partecipato insieme e in cui “come due amanti fra altre coppie innamorate avevano conversato divertiti, come se si fossero conosciuti solo allora”, ancora pienamente capaci di amarsi: “si erano abbandonati a casa l’uno nelle braccia dell’altro, amandosi ardentemente come non accadeva da tempo”.

Ma sarà proprio in quella festa, da cui Fridolin e Albertine tornano prendendosi appassionatamente, che si innescano quei primi segnali di ambiguità che poi sfoceranno in quel crescendo che metterà a nudo le parti perturbanti di entrambi. Di quanto accaduto in quella festa – dove Fridolin è avvicinato da quelle “due maschere in domino rosso” che, ambigue e ammiccanti, gli erano poi sfuggite alla vista e Albertine è colpita da un affascinante sconosciuto – si ritrovano a parlarne la sera dopo, constatando entrambi la sottile attrazione che quelle due situazioni avevano avuto per tutti e due: “Sebbene la loro unione si fondasse su una perfetta compenetrazione di sentimenti e di idee, sapevano tuttavia che ieri li aveva sfiorati…un’ombra di avventura, di libertà e di pericolo; trepidamente, tormentandosi, cercarono con sleale curiosità di carpirsi confessioni”.

E all’interno di questa tensione latente e percepita si fa strada la presenza di un non detto che si confesseranno in quel momento per la prima volta: entrambi, nel corso della loro vita coniugale, hanno desiderato intensamente qualcun altro. Ma la sincerità di quella confessione e il successivo dirsi che si erano sempre cercati anche negli altri, restando a loro modo fedeli, non eviterà l’insediarsi tra loro di una lacerazione. La quale, se pure a questo stadio appare ancora inconscia, porterà, quando saranno giunti al culmine degli eventi che accadranno loro, a quell’immagine evocata da Fridolin, nitida e impietosa: “una spada ci divide”, evidente metafora di quella lacerazione.

L’uscita di Fridolin, immediatamente successiva a quelle loro prime confessioni, chiamato al capezzale di un malato e vissuta da Albertine ”come se il marito, uscendo, volesse farle un dispetto”, diventerà la scintilla che darà inizio a quell’happening notturno e senza meta di Fridolin e al viaggio nel suo sé ignoto di Albertine in sogno. Entrambi infatti coveranno una reciproca pulsione vendicativa. Fridolin per l’avere scoperto in Albertine una capacità a tradire che se pur agita solo col pensiero gli appare, già così, insopportabile. Albertine a sua volta perché ha percepito l’incomprensione del marito e il rifiuto di questi verso quanto da lei narrato. Se quindi per Fridolin il suo potenziale tradimento può essere ammesso quello di Albertine no.

E’ perciò la reazione di Fridolin a generare quella di Albertine, avendo operato in Fridolin quel movente borghese della “morale di società”: per cui agli uomini è concesso quello che alle donne non è concesso. E quanto tale “doppia morale” potesse offrirsi a Fridolin come giustificazione al suo conscio ce lo dicono senza mezzi termini queste parole di Stefan Zweig, che condivise con Schnitzler la scena letteraria e culturale viennese di quegli anni, le quali ci illuminano sulla cultura dominante nei rapporti uomo donna nell’ Austria di inizio secolo: “Questa “morale di società ” …presupponeva in privato l’esistenza della sessualità…ma dall’altro non la riconosceva a nessun costo. Mentr’essa infatti per gli uomini chiudeva un occhio…di fronte a una donna chiudeva impaurita ambedue gli occhi fingendosi cieca. Che un uomo provasse lecitamente certi stimoli, era tacitamente ammesso,…ma che una donna vi fosse pure soggetta…sarebbe stato offendere il concetto della “santità della donna”. Nel periodo prefreudiano ci si accordò nel riconoscere l’assioma che un essere femminile non prova desideri fisici finché non è stato destato dall’uomo, il che non era ufficialmente permesso che nel matrimonio” (S. Zweig – “Il mondo di ieri – Ricordi di un europeo” – Oscar Mondadori – 1979 – p. 67).

Se questo è il contesto che legittimerà i vissuti di Fridolin esso gli fornirà solo una potente razionalizzazione perché in realtà, quello che accadrà in lui come quello che accadrà in Albertine affonderà nel loro inconscio e da esso risalirà rivelandone il loro doppio. E quasi a volerlo metaforizzare sistematicamente, Schnitzler costella tutto il testo con il sembiante del doppio, in una serie molteplice di sue rappresentazioni e di sue manifestazioni. Lo troviamo in tutte e 4 le figure femminili che Fridolin incontrerà quella notte.

Nella dimessa Marianne, la figlia del paziente che Fridolin va a visitare uscendo di casa, la quale anche se già impegnata con il suo futuro marito e con il padre ormai morto nel letto si getta ai piedi di Fridolin dichiarandosene perdutamente innamorata e pronta a concedersigli, rivelando un lato di sé all’apparenza impensabile in lei.

Lo troviamo altresì nella giovane prostituta che Fridolin incontra uscito dalla casa di Marianne, uscita che segna il primo avvertimento delle sue avventure imminenti ma anche il momento in cui Fridolin fissa la sua pulsione di abbandono del talamo coniugale: “Aveva [avuto]l’impressione di essere sfuggito non tanto a un’avventura, quanto piuttosto a un malinconico incantesimo che non era riuscito a soggiogarlo[la cui] unica conseguenza era una strana avversione a ritornare a casa”. Ed anche di quella giovane prostituta, che incarnerà per Fridolin il primo vero sorgere della tentazione, ma che resterà solo tale: “”Sono pazzo?” si chiese. “Naturalmente non la toccherò””, Schnitzler ne fa apparire un suo doppio, mostrandocene quei suoi tratti di brava ragazza che contraddicono palesemente la sua professione e che faranno dire successivamente a Fridolin: “Quella ragazza non era in fondo la più graziosa, addirittura la più pura fra tutte le altre che le strane combinazioni della notte…gli avevano fatto incontrare?”

Un altro doppio lo troviamo poi ancora in Pierrette la figlia del mascheraio Gibisier, da cui Fridolin va per procurarsi quel costume che gli servirà per introdursi in quella festa in cui si recherà subito dopo. Dove, in quell’antro che è la casa di Gibisier, le cui sinistre atmosfere sembrano ricalcare quelle dei racconti di E.T.A. Hoffmann, tutto è intriso di mistero e doppiezza, quasi una metafora nella metafora, essendo quello un luogo di maschere e di costumi ed essendo la maschera il simbolo chiave del tema del doppio ricorrente in tutta la novella. Dalle due maschere in domino rosso viste all’inizio fino all’apoteosi che la dimensione della maschera assumerà nella successiva festa, tutta perversamente dominata, sia in senso reale che simbolico, dalle maschere.

E nella casa di Gibisier, già di per sé enigmatica, riluce, equivoca, la figura di Pierrette, maliziosamente innocente ma in realtà ambigua e torbida: “i suoi occhi sorridevano di furberia e di piacere”, seducente e infantile, ma, di fatto, adescatrice di uomini, tale da far dire al mascheraio suo padre, rivolto ai due uomini da lei attirati in casa e con cui egli la scopre: “…non si sono subito accorti di avere a che fare con una pazza?” Con cui sapientemente Schnitzeler introduce il grande tema della trasgressione che esploderà subito dopo nell’episodio della festa, nonché pone il tema del labile confine tra sanità e follia che la morale e la ragione introducono reattivamente per “spiegare” gli istinti e l’irrompere del principio del piacere.

Ma Fridolin è ormai preda della sua brama di appagamento e di messa alla prova della sua libido, per prestare attenzione all’ allusiva Pierrette, giacché incombe su di lui quel suo desiderio sfrenato di introdursi in quella festa misteriosa e segreta di cui gli ha poco prima parlato il suo vecchio amico e collega Nachtigall, che aveva incontrato casualmente in quel caffè, dove era entrato subito dopo aver lasciato la giovane prostituta . E così procuratosi da Gibisier il travestimento, necessario per partecipare alla festa, vi si reca, seguendo Nichtgall, che è lì scritturato per suonarvi, bendato, il piano. Il quale di quelle feste è stato già partecipe e ha fatto intuire a Fridolin che, da quello che ha intravisto attraverso quella benda, là dentro si svolge un rito dirompente, di fatto un baccanale. L’attrazione da parte di Fridolin per questa situazione sarà fortissima, la sola idea lo ecciterà oltremodo e lo stesso procurarsi quel travestimento da Gibisier in piena notte tirandolo giù dal suo letto senza farsene scrupolo lo testimonia.

Ed entrato nel salone di quella villa appartata e isolata sulla collina, dove hanno luogo quelle feste, Fridolin si troverà di fronte a un nugolo di uomini e donne rigorosamente e rispettivamente mascherati: gli uomini da monaci, le donne da monache. Dove con la scelta di tali travestimenti il gioco dei doppi assume proporzioni ulteriori. In quanto, alla luce di quei travestimenti e di quanto quei monaci e quelle monache staranno per fare, vengono introdotte le evocazioni di opposti ancor più perturbanti: quelle tra sacro e profano e tra mistico e blasfemo. Laddove, in un clima orgiastico – dionisiaco, accadrà che le monache si svestiranno integralmente dei loro indumenti, salvo mantenere il volto e il capo coperti da veli e da maschere. Mentre i monaci “non più vestiti delle loro tonache, ma in festosi costumi da cavalieri….si precipitarono tutti verso le donne che li accolsero con risate furenti, quasi malvage.”

Ma di tutto ciò Fridolin non sarà partecipe. Scoperta la sua intrusione da parte di quei misteriosi e anonimi adepti, nella cui ristretta ed esclusiva cerchia si era introdotto clandestinamente, contravvenendo in ciò alle loro severissime regole, non solo sarà escluso dal partecipare a quella sorta di rito concupiscente, ma sarà seriamente minacciato nella sua stessa incolumità. Ma proprio in questo luogo e in questo frangente Fridolin raggiungerà l’acme assoluto del suo desiderio. Prima ancora di venire scoperto Fridolin sarà avvicinato da una di quelle misteriose donne con “quel meraviglioso corpo femminile, il cui profumo continuava a sfiorarlo”, la quale gli dà ad intendere di averlo riconosciuto e, al fine di proteggerlo, lo spinge ad allontanarsi al più presto da lì. Ma sordo a ciò egli, per contro, proverà per quella donna, la cui identità gli è ignota, una cieca attrazione. Le chiede di venire via con lui, nonostante ella, conscia e allarmata per la pericolosità di quella situazione, lo dissuada aspramente: “Sei pazzo. Non posso allontanarmi di qui né con te né con qualsiasi altro. E chi volesse tentare di seguirmi perderebbe la sua vita e la mia vita”.

Ma Fridolin ormai è in preda ad una vera e propria trasformazione: “Fridolin era come ubriaco non solo di lei, del suo corpo profumato, della sua bocca rossa e ardente, non solo dell’atmosfera di quel luogo, dei segreti voluttuosi che lo circondavano; si sentiva ebbro e allo stesso tempo assetato di tutte le esperienze di quella notte, nessuna delle quali si era conclusa; ebbro di se stesso, della sua audacia, delle trasformazioni che si sentiva avvenire in sé”. Ben lungi dal poter dare appagamento a quel desiderio e a quella trasformazione, Fridolin dovrà rinunciare alla sua folle pulsione d’Amore, a cui si contrapporrà in quel frangente un incombere di Morte. Quella donna si sacrificherà per Fridolin in cambio della sua libertà. Si smaschererà di fronte a tutti, infrangendo una regola inderogabile, pena la vita stessa. Fridolin sarà sbrigativamente allontanato, senza che egli possa vederla in volto se non di sfuggita e potrà lasciare quella casa salvo e fare rientro nella sua, anche se con ancora quella donna in mente.

Ma ciò sarà in realtà per Fridolin non il segno di una chissà quale conquista interiore o neonata consapevolezza. Egli si sentirà solo scosso e smarrito. La sua notte di evasione l’avrà solo messo di fronte ad un’altra dimensione di sé rimasta però frustrata e insoddisfatta, verso la quale continua a provare attrazione ma anche un senso di incompiuto e di irrisolto. Quella trasformazione resterà relegata a quell’attimo, non si insedierà stabilmente in lui, perché Fridolin non se ne rende conto ma non vi sarà possibilità di conciliazione fra sé e il suo doppio. L’illusione di incarnare i panni del libertino che quel suo doppio evocava e aveva fatto venire alla luce, anzi di far convivere in lui l’irreprensibile Dottor Fridolin e un novello Casanova non si realizzerà.

E si dileguerà ancor più penosamente allorquando, ascoltato quella stessa notte, al suo rientro, il sogno nel frattempo fatto da Albertine, dovrà registrare l’ulteriore frustrazione di scoprire a sua volta che nel doppio di Albertine si annidano pulsioni di Amore e Morte che lo vedono a sue spese direttamente coinvolto. Albertine infatti nel suo sogno elaborerà sia un’esplicita pulsione d’amore indirizzata verso quel bel giovane danese di cui aveva già confessato, la sera prima, al marito quella sua, sino ad allora inconfessata attrazione, ma con in più però questa volta il suo esplicito concedersi a quel giovane sognando nel contempo di assistere alla crocefissione del marito, dileggiandolo oltretutto perché aveva rinunciato a tradirla per restarle fedele, laddove nel sogno gli era stata data l’opportunità, tradendola, di avere salva la vita.

Così paradossalmente mentre Albertine beneficerà nel suo sogno di tutti i desideri rimasti insoddisfatti in Fridolin questi dovrà pure scoprire che l’ originaria pulsione vendicativa di Albertine avrà avuto in quel sogno uno sbocco. E quella risata sinistra e isterica con cui Albertine esce dal sogno ed accoglie il marito che le si distende accanto e che poi ascolterà quel cupo racconto della moglie, stracarico di Eros e Thanatos, sembrano dare conferma ulteriore a quel sottinteso sadico che Albertine rivela nel suo sogno, con cui pare identificarsi il suo doppio. Ma se Albertine con il suo sogno ha elaborato le sue pulsioni e ne è riemersa, sanando per parte sua la lacerazione col marito e riacquistando il possesso di sé: finito il racconto del sogno “Albertine non apriva ancora gli occhi, Fridolin ebbe l’impressione che ella sorridesse con un’espressione di felicità trasfigurata e innocente”, per Fridolin il suo calvario non è ancora finito.

Ormai solo con se stesso, amaramente riflette sull’ennesimo scacco subito dalla moglie: “Una vale l’altra, pensò con amarezza, e Albertine è come loro tutte – è la peggiore di tutte. Mi dividerò da lei. Non potrà più essere come una volta” e l’ insanata lacerazione gli riporterà a galla l’idea di ridestare il suo doppio: “Si, tradire, ingannare, mentire, far la commedia, dovunque,… davanti ad Albertine…davanti al mondo intero; condurre una specie di doppia vita, essere il medico valente e fidato dal promettente avvenire, il buon marito e padre di famiglia – e allo stesso tempo un libertino, un seduttore, un cinico che giocava con la gente, con uomini e donne a seconda dell’estro – tutto ciò gli sembrò in quel momento molto attraente” Ma questi si riveleranno solo vani vagheggiamenti. Anche lui come Albertine sarà destinato a ritornare nel suo sé noto. Perché quel viaggio dentro di sé lo ha messo di fronte a realtà  insostenibili con le quali Fridolin ancor più di Albertine non è in grado di reggere il confronto.

L’ipotesi di annullare e cancellare Albertine contrapponendogli quell’altra donna ed affermando così il suo doppio, si scontrerà con l’amara presa di coscienza di scoprire che quell’altra donna se l’ era “rappresentata…con i lineamenti di Albertine e che, come si accorse…rabbrividendo, aveva continuamente davanti agli occhi l’immagine della moglie, identificandola con colei che cercava”. E quando Albertine gli farà trovare sul cuscino a fianco al suo la mascherina da lui indossata in quella tragica festa e inavvertitamente smarrita, Fridolin “scoppiò con sua stessa sorpresa in singhiozzi disperati, cadde poi accanto al letto e pianse sommessamente affondando la testa nei cuscini. Dopo pochi secondi sentì una mano sfiorargli morbidamente i capelli.. Sollevò la testa e dal profondo dell’animo proruppe: “<Ti racconterò tutto””

In questo loro ritrovarsi Fridolin e Albertine pervengono quindi a una ricomposizione di quella lacerazione che li aveva divisi. Ma quanto accaduto è e resta un pericolo, per questa volta scampato, ma per il futuro? Perchè se è vero che, rivolta a Fridolin – che le chiede ancora spaesato al termine del suo raccontarsi: “Che dobbiamo fare Albertine?”- ella risponderà: ”Ringraziare il destino, credo, di essere usciti incolumi da tutte le nostre avventure…da quelle vere e da quelle sognate” rinnovando così il loro patto d’amore e sancendo di essere stati in balia di quel perturbante che ha agito in loro e dal quale come un sogno “ci siamo svegliati”, Schnitzler a questo punto riporterà quanto segue: “Per sempre, voleva aggiungere Fridolin, ma prima ancora che pronunciasse quelle parole, lei gli pose un dito sulle labbra e sussurrò come fra sé: “Non si può ipotecare il futuro””.

E in quel “per sempre” immaginato da Fridolin e repentinamente negato da Albertine, con quel suo “Non si può ipotecare il futuro”, che si annida la verità di “Doppio sogno” E cioè che non vi è alcuna verità perché non vi è alcuna certezza. Nulla può essere di sicuro “per sempre”, così come nulla veramente sappiamo di ciò che noi siamo e di ciò che potremo essere e scoprire di essere.

 

 

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