“L’uomo della sabbia e altri racconti” – E.T.A. Hoffmann

Hoffmann palesa un’arte inimitabile, originalissima nel presentare il vuoto dell’anima ed il vuoto del mondo come magicamente intercomunicabili e addirittura identici; e la loro commutazione ed identificazione avviene attraverso un gioco fantastico d’inesauribile complessità e di strabiliante rapidità, per cui in ogni attimo dobbiamo chiederci quasi storditi che cos’è ciò che in quell’attimo sta davanti ai nostri occhi.” (Ladislao Mittner)

Capito nella sua grandezza soprattutto nel Novecento, Hoffmann fu insieme a Heine uno dei rarissimi scrittori dell’Ottocento tedesco mediano ad avere una risonanza europea, rispetto all’isolamento provinciale e regionale del romanzo tedesco nell’età compresa fra la morte di Goethe e gli esordi di Thomas Mann” (Claudio Magris – “Introduzione” in E.T.A. Hoffmann – “Il vaso d’oro e altri racconti” – Garzanti – 1987 – pg. XIX)

Goethe e Hegel avevano condannato Hoffmann…avevano visto in lui un artista del caos e del disordine, uno scrittore lacerato che si compiaceva della propria lacerazione e s’abbandonava alla morbosa seduzione del patologico, un’anima straziata e sfrenata che sottraeva le incalzanti associazioni di idee e i febbrili processi analogici della psiche a ogni controllo della ragione, trascrivendoli in una sorta di selvaggia scrittura automatica. Se i grandi spiriti classici avevano respinto Hoffmann in nome dell’ordine logico e morale – e in nome della sostanziale positività e razionalità del mondo – i grandi interpreti della crisi moderna avevano salutato in Hoffmann, per le stesse ragioni intese però quale contrassegno di verità poetica anziché di fallimento etico-artistico, un loro fratello e precursore: sono Gogol’ e Nerval, Poe e Dostoevskij, Baudelaire e Freud ad amare Hoffmann e a ritenerlo un geniale poeta della scissione e del perturbante” (Claudio Magris – “Introduzione” in E.T.A. Hoffmann – “Gli elisir del diavolo” – Einaudi – 1979 – ppg. V,VI)

“Hoffmann è stato al contempo l’anticipatore del realismo borghese e del surrealismo, il narratore scapigliato di avventure ottocentesche e l’analizzatore dell’inconscio, l’umorista trascendentale e il sognatore di fiabe, l’antesignano dell’angoscia moderna e della dissociazione della personalità, l’esponente dello slancio romantico e l’ironico superatore dei limiti ideologici del Romanticismo. Nei suoi racconti si trova la pittura del mondo provinciale tedesco, ancora sacro-romano-imperiale e la più alta dimensione della reverie romantica, un gusto attualissimo della citazione letteraria e un interesse scientifico per i problemi psichici, il più agile e brioso piglio dell’avventura e la riviviscenza del romanzo gotico, lo sguardo nei più cupi abissi dell’inconscio e la pura liberazione nella fiaba, il divertimento più spassoso e un procedimento strutturale per simboli di straordinaria attualità”. (Claudio Magris – “Introduzione” in E.T.A. Hoffmann – “Gli elisir del diavolo” – Einaudi – 1979 – p. XXIII)

I personaggi di Hoffmann vivono in un mondo amaro e deserto, non illuminato più da alcun senso che dia valore alle cose ed imprima alla vita un’unità significativa, l’epica è finita, la prosaica realtà del romanzo e dell’esistenza borghese ha bandito il mito e la poesia; il mondo abbandonato dagli dei e dal valore non è una patria, una casa natale, ma una molteplicità caotica, assurda e disgregata. Hoffmann è uno dei primi grandi scrittori che rappresentano il mondo moderno quale mondo della caduta, della frantumazione della totalità, della perdita del senso e del valore. L’individuo non ha più la fiducia classica e goethiana nella possibilità di una Bildung, di una formazine armoniosa della sua personalità sviluppata in tutta la ricchezza delle sue inclinazioni; lacerato egli deve scegliere fra l’appiattimento unidimensionale e la regressione.” (Claudio Magris – “Prefazione” in E.T.A. Hoffmann – “Maestro Pulce” – Nuovo Portico Bompiani – 1980 – ppg. V,VI)

Uno dei principi fondamentali dell’estetica hoffmanniana è quello per cui l’arte si configura come una specie di alchimia del dolore e della disperazione, un’opera di straniamento catartico, un lavoro di trasmutazione in grado di strappare alla brutale insensatezza della materia…una liberante <<risata di piacere>>. Lo spasimo di dolore, il grido straziante della disperazione, si sciolgono perciò in…un meraviglioso piacere, nato appunto dal dolore e dalla disperazione. Principio di cui vale anche il suo reciproco: siccome quel ridere conserva in sé la sua condizione, accade che sul più bello ne possa sprigionare un sentimento che <<raggela>>. Del resto comico e tragico irradiano da un unico <<centro focale>>; del resto, e soprattutto, non solo della commedia bensì anche della tragedia l’essenza è lo scarto rovesciante, <<il senso dell’umorismo>>, <<l’ironia>>. E addirittura Hoffmann arriva a sostenere…che ormai…<<il massimo della tragicità dovrebbe essere espresso attraverso uno specialissimo genere di scherzo>>.” ( Sergio Givone – “Introduzione all’estetica di E.T.A. Hoffmann” in (a cura di) Margherita Cottone – “Figure del romanticismo” – Marsilio – 1987 – pgg. 99, 100)

Il mondo di Hoffmann, popolato di esseri stravaganti e sognatori e di nature demoniache, desta l’impressione di essere stato disegnato dalla mano di un capriccioso caricaturista. Il titolo della prima raccolta di racconti (“Pezzi di fantasia alla maniera di Callot” 1814,15) indica quale fosse la fonte di ispirazione di Hoffmann . Si tratta del pittore francese Jacques Callot, vissuto nel XVII secolo, e divenuto celebre grazie ai motivi grotteschi delle sue incisioni…In Hoffmann la quotidianità borghese, narrata talvolta con umorismo, talaltra in maniera satirica, diventa il teatro di avvenimenti demoniaci dai contorni enigmatici e deformati. Nella vita borghese, all’apparenza normale, si introducono forze capaci di di sovvertire l’ordine <<naturale>> delle cose…Il mistero della forza vitale della prosa hoffmanniana risiede nella versatilità, nella capacità di soddisfare pienamente le esigenze di diversi tipi di lettori, anche di epoche diverse. Nel folle turbinio della fantasia, in tale sfilata carnacialesca, la tensione della trama, l’umorismo, la presenza di maschere e marionette inusuali, il gioco delle allusioni letterararie e la magia di uno stato fluttuante tra il sogno e la veglia, tra allucinazione e realtà esercitano un forte fascino.” (V. Žmegač , Z. Škreb, L. Sekulić – “Breve storia della letteratura tedesca” – Einaudi – 2000 – ppg.185,186)

Francesco Orlando, ne “Il soprannaturale letterario. Storia, logica e forme”, in cui sono raccolte una serie di sue “lezioni” sul concetto di “soprannaturale letterario” con cui amplia le precedenti teorie sul “fantastico”, ci fornisce le coordinate di quelle teorie, dalle quali egli stesso prende le mosse… In successione poi, nell’individuare il periodo di massima fioritura del genere, ne fissa i confini in senso temporale, indicando, di quei confini, i suoi più importanti e rappresentativi interpreti: “…i maggiori maestri del genere sono tutti nati tra gli ultimi decenni del Settecento e i primi dell’ Ottocento, dal 1776 di Hoffmann, al 1809 di Poe e Gogol’”. (1) E, nel solco di questo inquadramento, suonano quanto mai appropriate e ad ulteriore conferma le parole di Italo Calvino quando, nella sua introduzione alla raccolta “Racconti fantastici dell’ Ottocento”, da lui curata, afferma: “Nella letteratura russa l’influsso di Hoffmann dà frutti miracolosi come i “Racconti di Pietroburgo” di Gogol’.” (2) Ascrivendo quindi anche Calvino, a pieno titolo, l’opera di Gogol’ alla letteratura fantastica lungo quell’asse che parte da Hoffmann.

(1) Francesco Orlando – “Il soprannaturale letterario. Storia, logica e forme” – Einaudi – 2017 – p. 4

(2) Italo Calvino – “Introduzione” in I. Calvino – “Racconti fantastici dell’ Ottocento” – Vol. I – Oscar Mondadori – 1987 – p. 8

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L’UOMO DELLA SABBIA”

Nataniele….per ore e ore leggeva a Olimpia senza stancarsi. E veramente non aveva mai avuto una simile ascoltatrice. Essa non ricamava, non faceva la calza, non guardava dalla finestra, non dava da mangiare all’uccellino, non giocava con il cagnolino in grembo, non aveva il gatto preferito, non rigirava nelle mani pezzetti di carta o altro, non doveva scacciare lo sbadiglio con una tossettina appena forzata, in breve, per lunghe ore rimaneva rigida con gli sguardi fissi negli occhi dell’amato, senza voltarsi, senza muoversi, e quello sguardo diventava sempre più vivo, sempre più ardente. Solo quando alla fine Nataniele si alzava e le baciava la mano e anche le labbra essa diceva: “Ah! Ah!” o anche “Buona notte, mio caro”…..Olimpia non diceva mai più di quello che ho riferito. Se poi Nataniele in certi momenti lucidi, …..si ricordava della assoluta passività di Olimpia e della sua taciturnità, allora esclamava: “Che cosa sono mai le parole? Lo sguardo dei suoi occhi divini dice molto di più di ogni discorso.”

Il professor Spallanzani sembrò oltre modo felice dei rapporti di sua figlia con Nataniele….e quando Nataniele, alla fine, trovò il coraggio di alludere ad un possibile matrimonio….disse che lasciava pienamente libera sua figlia di scegliere. Incoraggiato da queste parole,….Nataniele decise di implorare già il giorno seguente Olimpia, perché…..gli dicesse ciò che già da lungo tempo il suo sguardo amoroso aveva detto, che essa cioè desiderava essere sua per sempre. Cercò l’anello donatogli dalla madre,…..se lo mise in tasca e corse da Olimpia.

Ma già sulle scale, dal vestibolo, udì uno strano fracasso; pareva che venisse dallo studio di Spallanzani,…..Nataniele si precipitò dentro, preso da un’indicibile angoscia. Il professore aveva afferrato per le spalle una figura femminile, l’italiano Coppola per i piedi e la tiravano e la stiracchiavano qua e là lottando furiosamente per il possesso……Coppola con tutte le sue forze strappò la figura femminile dalle mani del professore….caricò la figura sulle spalle e corse via, giù, per le scale, con una risata orribile, mentre i piedi penzolanti della figura sbatacchiavano e rintronavano sui gradini delle scale con rumore di legno. Nataniele rimase impietrito….aveva visto troppo bene che il volto di cera di Olimpia, pallido come la morte, non aveva occhi: al loro posto caverne buie. Era una bambola senza vita.” (Da E.T.A. Hoffmann – “L’uomo della sabbia” – pgg. 52, 53, 54 in E.T.A. Hoffmann – “ L’uomo della sabbia e altri racconti”– Oscar Mondadori – 1987)

…il capolavoro di Hoffmann, quell’ Uomo della sabbia di cui Freud riconobbe la geniale e precorritrice grandezza. Storia di una progressiva schizofrenia che affonda le sue radici in un trauma infantile…lo sdoppiamento della figura del padre, l’angoscia della castrazione e l’intimidazione repressiva delle sinistre fiabe infantili determinano il destino del dilacerato Nataniele che vede continuamente emergere dinanzi a lui il proprio passato rimosso e non risolto, mentre la ragione formalizzata di un tardo illuminismo…appare addirittura già incline all’aberrazione tecnologica, alla sopraffazione della vita con la creazione dell’automa che mima e soppianta la vita stessa nel suo terreno più vitale, quello erotico-passionale” (Claudio Magris – “Introduzione” in E.T.A. Hoffmann – “Il vaso d’oro e altri racconti” – Garzanti – 1987 – pg. XII)

Hoffmann …tratteggia magistralmente la regressione di Nataniele, la sua resistenza a crescere e a maturare psicologicamente e la conseguente attrazione verso il feticcio Olimpia…La storia di quest’ossessione si conclude coerentemente con il suicidio dell’adulto: richiamato dai fantasmi dell’infanzia, Nataniele azzera ogni altra immagine, ogni analogia con il futuro, ogni crescita.” (Luigi Forte – “Introduzione” in E.T.A. Hoffmann – “ L’uomo della sabbia e altri racconti”– Oscar Mondadori – 1987 – ppg. 11, 12)

E’ il più celebre racconto di Hoffmann; è stata la fonte principale dell’opera di Offenbach; ha dato lo spunto a un saggio di Freud sul “perturbante”. Scegliere un racconto nella vasta opera di Hoffmann è difficile: se mi fermo su “L’uomo della sabbia” (1817) non è per confermare la scelta più ovvia, ma perché questo mi sembra veramente il più rappresentativo racconto del massimo autore fantastico dell’Ottocento, il più ricco di suggestione e il più forte come tenuta narrativa. La scoperta dell’inconscio avviene qui,…quasi cent’anni prima che ne venga data una definizione teorica.” (Italo Calvino – Da la “Scheda introduttiva” de “L’uomo della sabbia” in I. Calvino – “Racconti fantastici dell’ Ottocento” – Vol. I – Oscar Mondadori – 1987 – p. 42)

E’ ispirato esplicitamente e programmaticamente a E.T.A. Hoffmann,“Storia di un manichino di parrucchiere” di Aleksandr Čajanov, il quale, in epigrafe, dedica a Hoffmann questa sua novella. In essa Čajanov riprende e rielabora archetipi e prototipi hoffmanniani, mescolando, in un certo senso, gli ingredienti propri di Hoffmann. Se prendiamo in tal senso come riferimento il modello hoffmanniano presente ne: “L’uomo della sabbia” dove il personaggio femminile protagonista crediamo sia una figura femminile in carne ed ossa per scoprire poi che è un automa, in “Storia di un manichino di parrucchiere” abbiamo invece un ribaltamento del modello hoffmanniano in quanto a partire da una figura femminile inanimata si perviene ad una figura femminile in carne ed ossa.

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LE AVVENTURE DELLA NOTTE DI S.SILVESTRO”

Erasmo Spikher, il protagonista de “Le avventure della notte di S.Silvestro”, lasciata in Germania la moglie e il figlioletto, va in Italia, meta dei suoi sogni. Qui, a un banchetto di artisti, conosce la bella cortigiana Giulietta e se ne innamora irresistibilmente. Giulietta ha per compare uno stregone: il dottor Dappertutto e, per istigazione di questi, Giulietta chiede all’amante di rinunciare alla propria immagine nello specchio. Richiesta alla quale Erasmo, per amore, aderirà. Stupore e scalpore desta da quell’istante la presenza di Erasmo in qualunque luogo egli vada ed appaia, data la mancanza della sua immagine riflessa. Quando torna dalla moglie anch’ ella lo respinge, dicendogli che tornerà ad accoglierlo e ad amarlo solo quando egli recupererà l’immagine nello specchio. E così Erasmo sarà costretto a continuare a vagare “per il vasto mondo” al fine di ritrovare il riflesso perduto della sua immagine.

Gli sembrò che una voce lontana e sommessa lo chiamasse dolorosamente per nome. Era la voce della devota moglie. Erasmo ammutolì e Giulietta in uno strano modo gli chiese: <<Pensi forse a tua moglie? Ah, Erasmo, tu mi dimenticherai subito>>. <<Possa io essere tuo per sempre, per sempre!>> disse Erasmo. Essi stavano proprio di fronte a un grande specchio molto bello. Stava appeso alla parete del salottino e ai due lati ardevano chiare candele. Giulietta più forte, con maggiore tenerezza, strinse Erasmo a sé, mentre dolcemente sussurrava: <<Lasciami la tua immagine riflessa, amore mio, essa deve stare sempre con me, mia deve essere>>. <<Giulietta>> disse Erasmo meravigliato <<che cosa vuoi dire? La mia immagine riflessa?>> E guardò nello specchio che rifletteva lui e Giulietta uniti in un dolce abbraccio d’amore.

<<Come puoi trattenere la mia immagine>> continuò <<se essa dovunque viene con me e da ogni chiara acqua, da ogni superficie tersa, mi viene incontro?>> <<Tu>> disse Giulietta <<tu che volevi essere mio, anima e corpo, non vuoi neppure concedermi questo sogno del tuo io che balena dallo specchio? Presso di me non dovrà rimanere neppure la tua fugace immagine ad accompagnarmi attraverso la misera vita che, quando te ne sarai fuggito, rimarrà senza gioia e senza amore?>> Calde lacrime spuntarono dai begli occhi scuri di Giulietta. Allora Erasmo, folle di amore e di dolore mortale disse: <<Devo proprio andarmene da te? Certo lo devo, Ma allora la mia immagine riflessa appartenga per sempre a te. Nessuna forza, neppure il diavolo potrà strappartela fino a che tu avrai me anima e corpo>>

Dopo che così ebbe parlato, i baci di Giulietta sulla sua bocca bruciavano come fuoco sino a che essa si staccò da lui e protese avidamente le braccia verso lo specchio. Erasmo vide la propria immagine, indipendentemente dai propri movimenti, uscire dallo specchio e passare nelle braccia di Giulietta, e scomparire poi in una strana foschia. Voci orribili incominciarono a belare e a ridere diabolicamente; in preda a un terrore mortale, Erasmo cadde inanimato; ma l’angoscia stessa e l’orrore lo strapparono al suo stordimento, e come immerso nelle tenebre arrivò barcollando fino alla porta e scese le scale. Davanti alla casa qualcuno lo afferrò, lo trascinò nella carrozza che si allontanò velocemente” (Da: E.T.A. Hoffmann – “Le avventure della notte di S.Silvestro” – pgg. 78,79 in: E.T.A. Hoffmann – “ L’uomo della sabbia e altri racconti”– Oscar Mondadori – 1987)

L’eredità che Adalbert von Chamisso, con il suo capolavoro: “La meravigliosa storia di Peter Schlemihl” (1814), lascerà arriverà fino al ‘900 e ciò a partire da Erasmo Spikher e il suo riflesso perduto nello specchio de “Le avventure della notte di S. Silvestro” (1815) di Hoffmann, il quale oltre a riprodurre lo schema della perdita – che nel caso di Peter Schlemihl è la perdita dell’ombra, mentre, nel caso di Erasmo Spikher sarà la perdita del suo riflesso nello specchio – renderà apertamente omaggio a Chamisso citando il protagonista de “La meravigliosa storia” in un episodio de “Le avventure della notte di S. Silvestro”.

<<“Che cosa vi succede?>> gli chiesi premuroso.

<<Oh signore!>> rispose <<quell’essere malvagio che ci è apparso sotto un aspetto così ostile, che mi è corso dietro fin qui dove normalmente me ne sto solo…quell’uomo mi ha ricacciato nella mia sconfinata miseria. Ah, perduto, sono perduto irrimediabilmente, per sempre…Addio!>> .

Si alzò e attraversando la stanza si avviò alla porta. Attorno a lui tutto rimase chiaro: non gettava ombra. Incantato gli corsi dietro: <<Peter Schlemihl, Peter Schlemihl>> gridai, ma quello aveva gettato via le pantofole. Lo vidi passare oltre la torre dei gendarmi e scomparire nella nottte”. (Da E.T.A. Hoffmann – “Le avventure della notte di S. Silvestro” – pg. 68 in E.T.A. Hoffmann – “ L’uomo della sabbia e altri racconti”- Oscar Mondadori – 1987)

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IL CONSIGLIERE KRESPEL”

Considerato uno dei capolavori di Hoffmann, “Il consigliere Krespel” fonde mirabilmente il tragico e il grottesco. Il consigliere Krespel, abile giurista e noto diplomatico, faceva collezione di violini che suonava al massimo un paio di volte, poi li smontava per capirne la struttura, infine li appendeva sulle pareti di casa o ne gettava i pezzi in un grande cassone. Di Krespel si sa inoltre che mantiene, rinchiusa in casa, una bellissima fanciulla, Antonia, di cui tutta la città favoleggia a proposito del suo bellissimo canto, anche se nessuno l’ha mai udita, dato che le è impedito di far conoscere agli altri la sua magnifica voce, al punto che Krespel aveva persino fatto fuggire il suo fidanzato, che era anche compositore. Anni dopo accade che Antonia muore e ai suoi funerali, in segno di lutto, Krespel porta, legato a un cinturone, un archetto di un violino la cui cassa armonica era stata sepolta assieme ad Antonia. Si trattava di un violino cremonese molto antico di cui Krespel aveva scoperto che aveva l’anima in una linea più obliqua del normale. Ed è a questo punto del racconto che si viene a conoscere l’intera storia di Krespel e di Antonia.

Vent’anni prima il consigliere Krespel, per la mania di acquistare i migliori violini si era recato a Venezia, dove aveva conosciuto la sua futura moglie, la bellissima cantante Angela da cui aveva avuto Antonia. Una sera, la moglie, facile ai capricci e bizzosa come tutte le prime donne, si era scatenata contro il marito, mentre egli stava suonando uno splendido violino cremonese, tanto che Angela gli aveva strappato il violino e lo aveva mandato in mille pezzi. A sua volta il marito, infuriato, aveva scaraventato la moglie fuori della finestra, anche se non si era fatta nulla, perché la finestra era poco distante da terra e vicina ad un morbido prato. Krespel a quel punto era fuggito ed era rimasto lontano dalla figlia e dalla moglie che nel frattempo, dopo quella “caduta”, si era trasformata ed era come guarita dai suoi capricci.

A sua volta la figlia, divenuta anch’essa cantante, avrebbe dovuto sposarsi con il suo fidanzato-compositore, quando la madre Angela muore e, in quel frangente, Krespel scopre che la figlia ha un difetto nel suo organismo a causa del quale se avesse continuato a cantare sarebbe morta nel giro di sei mesi. Antonia fu messa quindi al corrente della sua condizione e posta di fronte al dilemma: sposare il fidanzato-compositore e continuare a cantare e quindi morire, o stare con il padre, vivere a lungo, ma senza cantare. Antonia scelse il padre, ma una notte, come in sogno, Krespel sentì nuovamente il compositore al pianoforte e la figlia cantare: la visione poi scomparve assieme al suono, ma quando Krespel si risvegliò trovò Antonia con il viso sorridente, ma morta.

Hoffman fa di Antonia, in questo racconto, una specie di incarnazione della stessa sostanza della musica, un canto bellissimo e inudibile, che si identifica con uno strumento quasi magico, l’antico violino cremonese (tra l’altro questo racconto è stato pubblicato anche con il titolo “Il violino di Cremona”) che prima si interpone fra Krespel e la moglie fino a provocare l’ira di lei che lo distrugge, poi si ripresenta in relazione alla figlia, la cui anima ha un obliquità simile a quella dell’anima del violino. A sua volta Krespel è, musicalmente parlando, un esecutore che si oppone al compositore. Antonia vive perciò sospesa fra il padre-esecutore, oppressivo e maniacalmente collezionista, e il desiderio vitale del fidanzato-compositore; fra la possibilità di continuare a vivere ma conducendo una vita “incarcerata” e la possibilità di una vita aperta, sentimentalmente e artisticamente piena che però coincide con una scelta di morte. Inoltre, dietro l’amore morboso di Krespel per i violini e per la musica, dietro alla sua ossessiva mania di sviscerarli e farli a pezzi emerge un piacere sadico, quasi perverso.

Ma in tutto ciò vi è il tema hoffmanniano della doppia natura delle cose quella interna e quella esterna. Dove il “mistero” dell’anima delle cose e della loro segreta natura trova riscontro sia nella ossessiva attrazione di Krespel per l’ ”anima” dei violini, intento a volerne sviscerare i loro più profondi meccanismi, sia nel singolare caso dell’anima di Antonia che associa vita e morte. Potendo ella vivere, a condizione di morire artisticamente in quanto costretta a rinunciare al canto, e viceversa, condannata a morire laddove avesse scelto di vivere artisticamente. In tal senso l’esteriorità di ciò che appare nasconde gli oscuri e misteriosi meccanismi di ciò che non appare e, l’interna segretezza dei violini richiama la misteriosa segretezza dell’anima di Antonia. (Libera riduzione ed elaborazione della recensione: “Il consigliere Krespel, un racconto fantastico di Hoffmann” pubblicata sul blog “Wanderer’s Eyes” da Filippo Zattini)

“Krespel….mi raccontò la storia della sua vita….Vent’anni prima la mania di acquistare i migliori violini….aveva spinto il consigliere verso l’Italia….A Venezia udì la celebre cantante Angela X…Il consigliere cercò di fare la conoscenza di Angela e… vi riuscì….La loro relazione si concluse in poche settimane con il matrimonio…Con la più rabbiosa ironia Krespel descrisse il modo strano con cui la signora Angela, appena divenne sua moglie, si mise a torturarlo. Tutti i capricci, tutte le ostinazioni di tutte le prime donne erano…racchiuse nella piccola persona di Angela…Dopo una violenta scenata Krespel era fuggito in campagna nella villa di Angela e, messosi a suonare….dimenticò le sofferenze della giornata.

Ma non poté durare a lungo, perché la signora, che aveva seguito rapidamente il consigliere, fece il suo ingresso nella sala….Ma il consigliere che era rapito nel mondo dei suoi accordi, continuò a suonare….e gli avvenne di toccare con il braccio e con l’arco in modo non del tutto delicato la signora. Questa balzò indietro come una furia: “Bestia tedesca” gridò e strappandogli il violino dalle mani lo sbatté contro il tavolo di marmo mandandolo in mille pezzi.

Il consigliere rimase impietrito come una statua, ma poi,….afferrò la signora e con una forza da gigante la buttò fuori dalla finestra della villa, poi, senza preoccuparsi d’altro, fuggì a Venezia e di qui in Germania….Per quanto sapesse che l’altezza della finestra dal suolo non era più di cinque piedi, e pur riconoscendo che in quelle circostanze era assolutamente necessario buttare la signora dalla finestra, provava tuttavia una paurosa inquietudine….Egli non osava chiedere informazioni e non poco si meravigliò quando, dopo circa otto mesi, ricevette una lettera molto affettuosa della sua amata consorte, dove essa non accennava minimamente a ciò che era accaduto nella villa….

Informatosi presso un amico fidato dei particolari, venne a sapere che la signora Angela, in quella occasione, lieve come un uccello era caduta nella morbida erba e che la caduta non aveva avuto altro che conseguenze psichiche. La signora infatti, dopo l’eroico gesto di Krespel, si era come trasformata; in lei non era rimasto più segno di capricci, di bizzarrie, di manie di tormentare gli altri….Del resto, pensava l’amico, ci sono tutte le ragioni per tenere nascosti questi metodi curativi, perché altrimenti ogni giorno le cantanti volerebbero fuori dalla finestra.” (Da E.T.A. Hoffmann – “Il consigliere Krespel”– pgg. 103, 104, 105, in E.T.A. Hoffmann – “ L’uomo della sabbia e altri racconti”– Oscar Mondadori – 1987)

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Da questi tre racconti, tra i più esemplari e significativi di Hoffmann, emerge un evidente filo conduttore quello del “Doppio” in virtù dello sdoppiamento a cui sono soggetti i personaggi protagonisti, sdoppiamenti che si configurano come delle vere e proprie dissociazioni e lacerazioni che vanno dal binomio animato/inanimato di Olimpia, la “bambola” protagonista femminile de “L’uomo della sabbia”, al passaggio dalla iniziale e “normale” condizione di uomo e di umano di Erasmo Spikher – il protagonista de “Le avventure della notte di S. Silvestro” – alla sua successiva e “anormale” condizione di non più “umano” subentrata nel momento in cui egli perde il suo riflesso nello specchio, fino a giungere alla lacerante condizione di Antonia personaggio protagonista de “Il consigliere Krespel” che è contenitrice di vita e di morte a seconda che scelga o non scelga di esprimere la sua natura di artista. Il mondo di Hoffmann è quindi permeato da una duplicità dell’esistenza dove dietro ciò che appare come una realtà univoca e definita vi è un’altra realtà, opposta e inconciliabile, connessa a un mondo irrazionale, abitato da forze oscure e inspiegabili, destinato a sfuggire ad un’immediata comprensione e vissuto, perciò, come una minaccia. Nel mondo di Hoffmann l’ambivalenza diventa quindi il segno distintivo della condizione umana, prefigurazione ed anticipazione di quella crisi dell’unità dell’Io e della sua scissione e lacerazione che “solo” cent’anni dopo avrà la sua sistematizzazione e diventerà oggetto della Grande letteratura del ‘900. Hoffmann quindi, smascherando di fatto la duplicità insita nella natura umana, farà del “Doppio” il suo tema per antonomasia e, come dirà tramite uno dei personaggi di quel suo grande romanzo che è “Gli elisir del diavolo”, “Ero colui che sembravo, e non sembravo colui che ero. In quella duplice personalità non riuscivo più a comprendere, a ritrovare me stesso.”

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