“I fisici” – Friedrich Dürrenmatt

“I Fisici” è uno degli ultimi testi teatrali di Friedrich Dürrenmatt, fra i numerosi da lui scritti. Risale al 1962 e in esso trova compiuta realizzazione quell’evoluzione che va dal drammatico al grottesco o, se si vuole, dalla tragedia alla commedia che progressivamente caratterizzerà la sua produzione teatrale. Tuttavia la forma a suo modo comica e più precisamente farsesca della rappresentazione qui, come in altri suoi testi, veicola contenuti e temi che hanno in sé una portata oggettivamente tragica ma, per i quali, proprio quella forma scelta da Dürrenmatt, rende ancor più evidenti le dimensioni e le ricadute di quella portata.

Ma questa per Dürrenmatt non è solo una scelta stilistica, né un espediente per “fare passare” più facilmente quei temi e contenuti ma è una coerente e, per certi versi, inevitabile corrispondenza fra il come Dürrenmatt si pone di fronte a quei temi e contenuti e il come essi possono essere detti e affrontati. Perché solo affrontandoli in quel modo, cioè rendendoli in chiave assurda e beffarda se ne può veramente cogliere e dire tutta la loro intrinseca minacciosità e metterne a nudo le inquietudini che essi suscitano. Se è vero infatti, richiamando Ionesco, che: “Il comico, occhiata diretta nell’assurdo, contiene più disperazione del tragico”, Dürrenmatt interpreta alla perfezione ciò, dando vita ad un suo personalissimo approccio tragicomico che rivela, spietatamente, quell’irrazionalità delle cose e la nostra impotenza di fronte ad essa che sono al centro della sua opera.

Rappresentare infatti quell’irrazionalità e quell’impotenza attraverso una messa in scena caricaturale e grottesca consente a Dürrenmatt di mostrarle – e a noi di vederle – in tutta la loro disarmante evidenza, rendendoci partecipi della loro “metafisica” ingovernabilità. “I Fisici” affronta un tema per così dire “politico” e cioè quello dei rischi derivanti, per il genere umano, dall’ uso incontrollato della scienza e, in particolare, della fisica, con, sottinteso, ovviamente, il rischio per antonomasia e cioè quello nucleare. Tuttavia qui Dürrenmatt non persegue solo, né principalmente, un intento di denuncia e di smascheramento della volontà di potenza sempre insita nel rapporto fra scienza e potere e del suo implicito potenziale di distruttività. Il quale tema è ben presente ne “I Fisici”, in tutta la sua portata etica e nella sua evocazione come pericolo “immanente” per l’umanità. In realtà, però, più che svolgere questo tema Dürrenmatt, a suo modo, se ne serve – anche in ragione della sua “universalità” – per focalizzarsi e focalizzarci sulla nostra vulnerabilità di fronte ad una follia espressione di un Male incontrollabile e inconoscibile che è nel mondo e del mondo e quindi anche nell’uomo e di fronte a cui la ragione umana è del tutto indifesa.

Il mondo di Dürrenmatt, pur anche calato, come accade ne “I Fisici”, in precise realtà e circostanze storico-sociali è, di fatto, un mondo metastorico e atemporale, impersonale e astratto, dove le condizioni dell’oggi rimandano a condizioni intrinseche alla condizione umana. Da qui quella valenza “metafisica” che attraversa e sovraintende alla sua opera e che, soprattutto nel suo finale, spiazzante e disorientante, ha anche ne “I Fisici” il sopravvento. Già l’ ambientazione della pièce è indicativa di tutto ciò svolgendosi in un manicomio e, a rendere ancor più “folle” la situazione, in un elegante salotto, in cui si alternano le entrate in scena dei personaggi, il susseguirsi delle rivelazioni anch’esse “folli” che essi via via faranno, nonché gli accadimenti per lo più deliranti che vi si verificheranno, in una commistione quindi fra narrazione e metanarrazione, le quali diventano pressoché inscindibili.

In altre parole: contesto, dialoghi ed eventi sono contrassegnati da un senso dell’imprevisto che assume sempre un che di paradossale, il quale è nella situazione ed è nelle situazioni e che innesca, a sua volta, un continuo sovvertimento della realtà delle cose o, se si vuole, dell’idea della realtà delle cose che ci si va via via facendo, la quale viene di continuo contraddetta e smentita da “scoperte” in merito all’identità e al ruolo dei personaggi e alle loro motivazioni. Il testo quindi vive e fa vivere in una costante instabilità, destabilizzando di continuo la “scena” e i suoi significati. Come osserva Aloisio Rendi nella sua Prefazione, Dürrenmatt: “…opera con la mistificazione, con il continuo e imprevedibile capovolgimento dell’azione scenica, attraverso rivelazioni, smascheramenti, nuovi personaggi…[il che porta ] …a non sapere fino alla fine da che parte sta la verità. I valori più elevati vengono presentati per essere trascinati nella polvere: all’amore si risponde con l’assassinio, alla difesa appassionata del bene dell’umanità, con il trionfo del male nella sua dimensione assoluta.”

Perché quel contenuto di follia di cui si è detto è, a sua volta, la naturale conseguenza della presenza, fondativa e fondamentale nel mondo di Dürrenmatt, del caso, che, per lo scrittore svizzero, è una presenza ineluttabile e inevitabile nell’esistenza umana. Il quale, in ultima istanza, può sovvertire non solo il valore “positivo” della ragione umana ma anche le pretese “negative” del potere e della sua volontà di potenza. Questo Dürrenmatt lo dice chiaramente in quei “21 punti su “I Fisici”” posti a conclusione del testo vero e proprio e, in particolare, nei punti “3”, “4” e “5” che così recitano: ““3” – “Una storia è pensata fino alla sua estrema conclusione quando ha preso il peggiore sviluppo possibile”; “4” – “Il peggiore sviluppo possibile non si può prevedere. Avviene per caso.”; “5” – L’arte dell’ autore drammatico consiste nel far intervenire il caso nell’ azione in maniera quanto più efficace possibile”. Tutto ciò dà conto del fatto che i rapporti umani e fra essi, ovviamente, anche quelli politici e sociali sono permanentemente esposti, per Dürrenmatt, al rischio di una “caduta” legata a quell’ ”irrazionalità” che può erodere il tentativo di fondazione razionale da cui essi nascono.

E la storia de “ I Fisici” lo testimonia perché nessuno dei tre fisici, protagonisti della pièce, ricoverati nel manicomio facendosi credere pazzi ma, in realtà, per nulla tali, bensì intenti lucidamente e razionalmente ai loro scopi, diversi ma affini nel loro contenuto “razionale”, riuscirà ad esercitare il valore della razionalità e ad affermarlo nel mondo. Convinti infatti alla fine di aver trovato la più razionale delle soluzioni razionali, nonché la soluzione più eticamente, moralmente e umanamente giusta – sottraendo le scoperte fatte, non solo ai rischi di una scienza indifferente alle conseguenze delle proprie scoperte, il che le espone al rischio di essere utilizzate indiscriminatamente, così come a quelli di una scienza asservita a una causa, che pertanto destina le proprie scoperte ad essere usate deliberatamente per quella causa, ma sottraendole alla possibilità stessa della loro conoscenza da parte dell’ umanità – ebbene tutti e tre verranno in realtà resi impotenti e falliranno nel loro tentativo di dare una via d’uscita all’umanità. E ciò perché chi era deputato, a sua volta, a proteggere dalla follia e cioè la Dottoressa Mathilde von Zahnd , titolare e direttrice di quel manicomio, carpiti nascostamente i segreti di quelle scoperte e impossessatasene, si trasformerà da psichiatra a padrone del mondo, scavalcando bellamente il confine tra normalità e follia, rivelandosi lei sì, per davvero, pazza.

Quindi anche qui il “caso peggiore”, a sua volta conseguenza del “caso”, in quanto manifestazione dell’inatteso e dell’imprevisto, ha la meglio. Le vittime sono perciò proprio gli esseri più razionali che agivano da apparenti folli, mentre chi incarnava il principio di razionalità agli occhi del mondo si rivelerà il vero folle, perché, come recita il diciannovesimo dei 21 punti di Dürrenmatt: “Nel paradosso si rivela la realtà”. Tutto ciò, in conclusione, ci dice dell’assoluta disillusione di Dürrenmatt rispetto a qualsiasi possibile fiducia non solo nei confronti della razionalità umana, ma della razionalità in sé, dato che come osserva Attilio Rendi: “…questa sconfitta [cioè quella dei fisici] non simboleggia solo la bancarotta delle scienze esatte, ma di tutto il pensiero umano, di fronte alla terribile macchina del caso”

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