È noto che l’opera narrativa di Anton Čechov si basa su quella straordinaria messe di racconti che la compongono che, nel loro insieme, ammontano a diverse centinaia. Fu tuttavia Čechov stesso che, in occasione della prima pubblicazione delle sue opere complete, avvenuta nel 1899, scelse quali racconti includere e ne selezionò “solo” 240, venendo a costituire tale corpus – fatta salva l’ aggiunta di pochi altri racconti scritti successivamente – quello fondamentale e rappresentativo di quella sua “monumentale” produzione. Čechov aveva iniziato a scrivere racconti già a partire dal 1879 quando aveva appena diciannove anni e frequentava l’università di medicina a Mosca dove si laureò nel 1884. Tuttavia gran parte di quella prima produzione fu considerata dallo stesso Čechov a dir poco “minore”, tanto che egli ripudiò tutti i racconti da lui scritti fra il 1879 e il 1882 – quando selezionò quelli da inserire nelle sue opere complete – escludendoli e inserendo solo quelli scritti a partire dal 1883. Si trattava quasi sempre di brevi o brevissimi racconti buffi, satire di costume legate all’ attualità, destinate a giornaletti umoristici di bassa lega, tanto che egli stesso in una lettera a un redattore di uno di quei giornaletti scriverà: “Vi manderò domani i miei escrementi letterari”.
Nel 1884 Čechov comunque pubblica la sua prima raccolta di racconti seguita, nel 1886, da una seconda dal titolo “Racconti variopinti” che ebbe un immediato successo di pubblico, anche se la “critica” ignorò quelle raccolte nelle quali prevaleva ancora il facile registro comico. Tuttavia quello sarà anche il momento in cui quella produzione allegro-umoristica raggiungerà il suo culmine, tanto che il 1886 sarà considerato da molti critici un anno spartiacque. A partire infatti dall’ anno successivo, con la pubblicazione di due nuove raccolte, rispettivamente, “Nel crepuscolo” e “Discorsi innocenti”, farà la sua apparizione una vena considerata più grave e pessimistica che è l’inizio di un’evoluzione di Čechov che preluderà alla sua vera e propria maturazione artistica.
A determinare questa evoluzione contribuì la maggiore libertà espressiva di cui Čechov poté godere dal 1887 per effetto della collaborazione stabile con il più importante quotidiano del tempo il “Nòvoe Vrèmia” (“Nuova Epoca”) il cui editore e direttore si era accorto delle qualità di Čechov celate in quei primi racconti umoristici e gli aveva affidato un supplemento letterario settimanale, liberandolo così dalla dipendenza nei confronti di quei giornaletti dozzinali sui quali aveva sino ad allora scritto, dato che oltre all’istintivo talento anche le necessità economiche avevano indotto Čechov a dedicarsi alla “scrittura”. Ma sicuramente influì anche una sua personale maturazione dato che “…oltre le opere, anche la corrispondenza ed i ricordi dei contemporanei, ci dicono come contribuissero alla trasformazione sia lo studio della medicina che spinse Čechov a guardare dentro di sé e nella realtà esteriore in modo più acuto, sia la malattia – la tisi – che lo colpì ancora giovane.” (Ettore Lo Gatto – “La letteratura russa moderna” – Sansoni – 1968 – pp. 430-431)
In realtà nell’ opera di Čechov, sia in quella narrativa che in quella drammaturgica, queste due anime quella comica e quella triste, quella della commedia e quella della tragedia convivranno sempre, a testimoniare l’ampiezza del suo sguardo sulle cose laddove, nelle sue opere, “…il tratto comico contiene in sé il germe della tristezza e spesso la sconfitta si rivela con i caratteri della comicità…queste due (sono poi realmente due?) anime di Čechov vivono nella sua arte l’una la vita dell’altra, e nelle punte più mature della sua poesia non si sopraffanno mai…” (Caterina Maria Fiannacca – “Postfazione” in Čechov – “Oci ciornie-Storie di matrimonio” – Passigli – 1987 – p.236).
Pertanto la linea divisoria del 1886 segna sicuramente l’inizio di un salto di qualità, più che una vera e propria rottura e inversione di tendenza. Ma sarà nel 1888, con l’ uscita di una quinta raccolta di racconti, contenente uno dei suoi racconti più famosi: “La steppa”, che la nuova “maniera” di Čechov apparirà chiaramente delineata e, in modo particolare, “…con “La steppa” Čechov rivelò forse per la prima volta a se stesso il senso della solitudine che doveva poi così acutamente dominare nei suoi racconti.” ( E. Lo Gatto cit. p. 434). E, da quell’anno in poi, verranno alla luce la maggior parte dei suoi racconti migliori e più maturi tra i quali spiccano: “Una storia noiosa”; “Il duello”; “Mia moglie”; “Reparto n.6”; “Il racconto di uno sconosciuto”; “Il monaco nero”; “Tre anni”; “La mia vita”; “I contadini”; “L’uomo nell’ astuccio”; “La signora col cagnolino”. Si tratta di racconti tutti scritti tra il 1889 e il 1899 e, tra di essi, si concentrano quelli più famosi e celebri di Čechov.
I nuclei tematici presenti fra questi racconti sono diversi tra loro ma, tra tali nuclei, ve ne è, in particolare, uno che è comune ad alcuni di questi racconti: quello dei rapporti coniugali. Cioè di situazioni di coppia nelle quali si manifesta una lacerante quanto dolorosa incapacità di comunicare e, l’aspirazione a realizzare l’ amore e, con esso, la felicità si infrange, lasciando i personaggi nella constatazione della propria solitudine. Fra i racconti prima elencati ad avere questo tema al loro centro sono: “Mia moglie” (1892); “Tre anni” (1895); “La signora col cagnolino” (1899). Ma Čechov lo affronterà anche in altri racconti scritti in quegli anni quali: “L’onomastico” (1888); “La consorte” (1895); “Anna al collo” ( 1895).
Il tema dell’ incapacità di comunicare e quindi dell’impossibilità di entrare realmente in relazione con l’altro/a è, in generale, un tema che ricorre in Čechov, sia nella sua opera narrativa che in quella teatrale, configurandosi, tale incapacità, come una condizione a cui l’ uomo è destinato. Ed è in questo quadro che si inserisce il contesto specifico della vita coniugale che diventa per Čechov un luogo di osservazione privilegiato in quanto le manifestazioni che l’ incomunicabilità vi assume e l’intensità e l’evidenza di tali manifestazioni ne mettono ancora più in luce la sua impietosità.
In questo senso – così come è stato osservato – nei racconti centrati sul “malessere coniugale”, “…Čechov racconta la malinconia struggente di due persone che non si comprendono. Due persone all’interno di un matrimonio. Un marito e una moglie. La coppia coniugale, il luogo in cui l’amore fra un uomo e una donna sembrerebbe dover conoscere il ritmo dello scambio, della maturazione della gioia, si rivela in realtà il terreno dell’ incomprensione più radicale, dell’ impossibilità più intransigente alla comunicazione, alla reciproca comprensione…Il malessere coniugale, che costituisce il tema di molti dei racconti di Čechov, e la finezza intuitiva, la delicatezza umana con cui egli tratteggia le vicende interiori ed i percorsi della psiche dei suoi personaggi, ce lo rivelano autore più che mai attuale.” (C.M. Fiannacca, cit. pp.219-220).
E questa “attualità” di Čechov è quanto mai vera non solo rispetto allo specifico della “incomunicabilità coniugale” e delle sue manifestazioni che vanno dall’estraneità alla conflittualità, ma lo è, ancor più, nella misura in cui l’unione coniugale in crisi è in Čechov il sintomo, il segnale, il simbolo di quella frattura nei rapporti tra gli individui che egli, con grandissima sensibilità premonitrice, avverte ed anticipa e che la letteratura del Novecento, fino a quella dei giorni nostri, rifletterà in pieno.
La grandezza e la modernità di Čechov sta quindi proprio nell’essere andato oltre le dispute ideologiche e le contese morali, proprie del suo tempo, della cui assenza nelle sue opere peraltro veniva accusato, così come sta nell’avere abbandonato un’idea di letteratura in cui si è confortati da soluzioni consolatorie, facendosi invece interprete dei drammi sottili e privati che intervengono nelle vicende umane, mostrandone il loro contenuto di solitudine, di dolore, di desolazione, di smarrimento. Egli, in altre parole, si fa osservatore disincantato e lucido del dramma dell’indifferenza, dell’incomunicazione, dell’ineluttabilità e, come ha affermato Vittorio Strada, “…Čechov possiede una segreta forza che lo pone al di là di disperazione e speranza. Fedele allo spirito disincantato della scienza, egli sente e scandaglia le parti non razionali dell’attività razionale dell’uomo.” (V. Strada – “Nota introduttiva” in Anton Čechov – “Reparto n. 6” – l’Unità/Einaudi – 1992 – p. XVII)
E ciò da cui appare in modo evidente questa manifestazione del non razionale presente in Čechov è in quel senso di struggimento che accompagna i personaggi e convive nelle loro esistenze e che nasce dal contrasto tra la tensione istintiva e pulsionale verso l’altro/a e l’impossibilità di incontrarlo/a realmente. Ma questo struggimento che produce inappagatezza è anche in chi, specularmente, è oggetto di tale tensione e, ad essa, si assoggetta suo malgrado, ma senza concedersi realmente, spinto in ciò da “paure” altrettanto irrazionali. E questa dinamica trova, tra i racconti di Čechov prima indicati, una sua piena e precisa traduzione in uno dei suoi racconti più belli: “Tre anni”, in cui l’impossibilità dell’amore, all’interno di un’ unione coniugale, segnerà le vite dei due protagonisti Aleksiej Fiodorovic Laptiev e Giulia Sierghejevna.
A seguire nella seconda parte il commento a “Tre anni”.