Agota Kristof – “Chiodi” – Traduzione di Vera Gheno e Fabio Pusterla – Postfazione di Fabio Pusterla – Edizioni Casagrande, Bellinzona – 2018
“Agota Kristof è un’autrice famosa, quasi leggendaria e soprattutto profondamente amata per la sua indimenticabile “Trilogia della città di K.”, alla quale il lettore delle sue poesie, che ora vengono per la prima volta proposte in versione italiana, non potrà che tornare spesso con la mente, tanto intense e pressoché costanti sono le concomitanze tematiche, le immagini ricorrenti, la pronuncia amara e desolata del mondo e della vita e infine la secchezza del dettato, con parole scarnificate, figure nitide ridotte all’osso, totale assenza di orpelli retorici…
…tuttavia i “Chiodi” poetici della Kristof aprono più di una prospettiva particolare, che sembra permetterci di entrare più profondamente nell’universo biografico e immaginario di una scrittrice altrimenti ben poco incline alle confessioni e al racconto di sé, che ha sempre preferito, nella sua opera maggiore, proiettare la propria individuale e dolorosa esperienza nei suoi personaggi e nelle sue “menzogne”, come suggeriva di considerare i tre romanzi della trilogia. Anzi, a chi talvolta osservava come la disperazione e la tristezza dei tre romanzi fosse quasi insopportabile, Agota Kristof ribatteva con fermezza che “un libro, per quanto triste sia, non può essere così triste come una vita”…
…L’origine di questa profonda tristezza affonda negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza, trascorse nella nativa Ungheria, tra il 1935 e i primi anni cinquanta, e trova poi ulteriore motivo di desolazione nella decisione di abbandonare il Paese, dopo la seconda invasione sovietica, nel 1956, fuggendo in Austria con il marito e la prima figlia di quattro mesi, e finendo poi, dopo varie vicissitudini, nella Svizzera francese come operaia in una fabbrica di orologi. E’ questa, potremmo dire, la “preistoria” della scrittura ufficiale di Agota Kristof: una preistoria di cui conosciamo ben poco….e che spesso tendiamo distrattamente ad appiattire sulle vicende del ’56, cioè sulla scelta dell’esilio, dimenticando gli anni precedenti. E invece è proprio in quegli anni di felicità distrutta che si consuma la tragedia familiare destinata a segnare per sempre la sensibilità e la visione del mondo di Agota Kristof …che…aleggerà in ogni pagina della scrittrice, e che un frammento della “Terza menzogna” [il terzo libro della “Trilogia”] fotografa con esattezza: “Non ho ancora trovato la parola per qualificare ciò che è capitato. Potrei dire dramma, tragedia, catastrofe, ma nella mia mente chiamo tutto questo semplicemente “la cosa” per la quale non c’è parola”.
Ebbene, le poesie di “Chiodi” non aggiungono dettagli narrativi, né ci consentono di saperne molto di più; eppure, leggendole, abbiamo la sensazione di avvicinarci considerevolmente alla cosa “per la quale non c’è parola”, e questo avviene per una ragione molto semplice: a farsi garante della voce che parla in questi versi è un “io”, non ancora un vero e proprio personaggio “altro”, come invece avverrà nei romanzi; un “io” che ha già versato tutte le sue lacrime, che si è già ritratto in un dolore inesprimibile, un fortilizio di dolore che tiene chiuse in sé quasi tutte le emozioni, che concede poco o nulla al patetismo e che non di rado lascia uscire piuttosto la cavalleria del sarcasmo e del cinismo; ma un “io” comunque che imprime alle parole, anche senza volerlo, un’intonazione profondamente affettiva, profondamente sofferta e non di rado tendenzialmente lirica…
…La seconda prospettiva aperta da queste poesie è invece di natura linguistica, e di nuovo contribuisce a rendere omaggio alla straordinaria vicenda di una scrittrice che ha dovuto “attraversare” le lingue. Sappiamo, da dichiarazioni della stessa Kristof, che le sue prime prove letterarie furono appunto principalmente di carattere poetico…Di quella prima fase della sua opera non si è salvato quasi nulla; le poesie giovanili sono andate perdute, irrimediabilmente; alcune di loro sono state riscritte, dopo la fuga, a memoria, verso la metà degli anni sessanta; altre, nuove ma ancora scritte in ungherese, sarebbero nate più o meno nello stesso periodo e negli anni successivi, prima cioè del passaggio alla nuova lingua espressiva, la “lingua nemica” dei romanzi, cioè il francese faticosamente appreso durante la permanenza in Svizzera. E infine altre ancora, le ultime otto, sarebbero nate direttamente in francese, negli anni ottanta…
Poesie “tra le lingue”, si potrebbe dire, e persino “tra le culture”. E anche da qui nasce la loro particolarità stilistica…Non si tratta, naturalmente, di una poesia nata dal nulla, in totale autonomia; ma certo le vie della creazione letteraria, qui come nella “Trilogia”, sono state per Agota Kristof misteriose e originali, e forse hanno saputo, quasi miracolosamente, trasformare l’esperienza dell’esilio e dello sradicamento in territorio stesso della scrittura, senza dubbio stravolgendo molte delle categorie a cui siamo normalmente abituati.
“Le mie mani/rimettono a posto gli occhiali/affinché io scriva”: l’ultima poesia di “Chiodi”, intitolata “Non morire”, si conclude così, riaffermando con semplice fermezza il motivo della scrittura, che attraversa l’intera opera in versi e in prosa dell’autrice e che costituisce il destino da lei accettato e caparbiamente perseguito….
…sguardo lucido, asciutto e privo di illusioni: da qui proviene la voce di Agota Kristof, tra le più estreme degli ultimi decenni di letteratura europea, che nelle poesie di “Chiodi” può risultare contemporaneamente atroce e struggente”
(Libera riduzione da la “Postfazione”)
*****
Il filo d’erba
Era ormai secco e spezzato io
lo conoscevo era nato tra le pietre
abbandonate
perché voleva vivere da solo e vedere
la corsa delle nubi dalle creste d’oro
a mezzogiorno il sole lo guardò con malvagi
occhi infuocati l’indomani
lo tormentava la fame si piegò morì
allora il vento tiepido e tenue
gli fece una carezza
*
Ti aspettavo
Ti aspettavo in fondo alla strada nella pioggia
andavo a capo chino ti vedevo lo stesso
ma non riuscivo a sfiorarti la mano
Ti aspettavo su una panchina le ombre degli alberi
cadevano sulla ghiaia fresca
come anche la tua ombra mentre ti avvicinavi
Ti aspettavo una volta di notte sul monte
crepitavano i rami quando li hai scostati
dal tuo viso e mi hai detto che non potevi restare
Ti aspettavo a riva con l’orecchio incollato
a terra sentivo il tonfo dei tuoi passi
sulla sabbia morbida poi si fece silenzio
Ti aspettavo quando arrivavano i treni lontani
e le persone tornavano tutte a casa
mi hai fatto un cenno da un finestrino il treno non si è fermato
*
La finestra della notte
La finestra era aperta era la finestra
della notte piena di buio e di vento
eppure l’estate fluttuava sopra le strade e pensavo
che domani non sarai più qui
Non piangevo solo temevo le vertigini
nel vuoto che ti lasci dietro
non c’è niente a cui posso aggrapparmi
neanche la tua mano sarà qui domani
Non che tu valga più di chiunque altro ma
per un qualche caso ho attribuito a te
ogni bellezza e tristezza e adesso che
te ne vai ho perso l’appoggio sto ferma non so
in quale direzione girare il viso
Che importa tanto a tutti i costi devo continuare a vivere
domani uscirò in strada morti camminano
per queste vie anche io sarò pallida se solo sapessi
dove andare da chi e perché
*
Chiodi
Sopra le case e la vita
nebbia grigia lieve
con le foglie a venire
degli alberi nei miei occhi
aspettavo l’estate
più di tutto
dell’estate amavo la polvere bianca
calda polvere
insetti e rane vi morivano soffocati
se non cadeva la pioggia
per settimane
un prato e piume viola sul prato
crescono
gli uccelli il collo dei pozzi
il vento stende sotto una sega
chiodi
puntuti e smussati
chiudono porte montano grate
tutt’attorno sulle finestre
così si edificano gli anni così si edifica
la morte
*
Scale grate muri
Ora mi perseguitano corridoi bui
strette
alte porte finestre chiuse
scalinate di chiese panchine brune
grate lucchetti penombra
aprite la porta precipitatevi
per vie luminose dove
le persone si riconoscono a vicenda
accendete
ogni lampione e luce
date fuoco ai muri alla grigia fila
dei pagliericci dei letti
tutta la vita
è un lungo corridoio buio il rumore
dei miei passi echeggia nessuno
passa per questa strada
è notte i bui
corridoi si allungano sarà sempre più lunga
la paura mai mai
non hanno fine
le scale le grate i muri
gli anni
*
Tutto è lontano
Ieri sono scesa in spiaggia
ora il lago ha acqua scura nera
e ogni sera sale sulla nave
qualche giorno dimenticato
Le pietre dormono
talvolta il lago vi si infrange sopra
ma il mare è lontano da qui
Tutto è lontano
i lampioni affogano nella nebbia
e nella riva grigia si ghiacciano
i grandi uccelli bianchi
*
Anche tu te ne vai
Si è spenta la luce niente
ha più senso informi
figure si allungano fino al mio cuore adesso
pronuncia le parole che
tra colpi e paure
non riuscivi a pronunciare
Ti ricordi le immobili
strade morte sulle quali
un uomo camminava nella pioggia e piangeva
dove sei finito amore mio non oso
guardarti così dura ormai
è la distanza tra me e te
eppure continuo a cercarti nera e
amorfa cammino per le città
di chi sa essere felice e villaggi
mestamente silenziosi dove nessuno mi conosce
mi fermo su soglie estranee appoggio
la fronte bagnata a porte chiuse
Su immobili strade morte
un uomo camminava nella pioggia e piangeva
E ti ricordi i nostri dubbi
Bianche silenziose volavano via le sere
sedevo sulle panchine fedeli
guardavo l’acqua e sapevo
che ormai anche tu te ne saresti andato
*
Vivere
Nascere
Piangere succhiare bere mangiare dormire aver paura
Amare
Giocare camminare parlare andare avanti ridere
Amare
Imparare scrivere leggere contare
Battersi mentire rubare uccidere
Amare
Pentirsi odiare fuggire ritornare
Danzare cantare sperare
Amare
Alzarsi andare a letto lavorare produrre
Innaffiare piantare mietere cucinare lavare
Stirare pulire partorire
Amare
Allevare educare curare punire baciare
Perdonare guarire angosciarsi aspettare
Amare
Lasciarsi soffrire viaggiare dimenticare
Raggrinzirsi svuotarsi affaticarsi
Morire
*
Non morire
Non morire
non ancora
troppo presto il coltello
il veleno, troppo presto
Mi amo ancora
Amo le mie mani che fumano
che scrivono
Che tengono la sigaretta
La penna
Il bicchiere.
Amo le mie mani che tremano
che puliscono nonostante tutto
che si muovono
Le unghie vi crescono ancora
le mie mani
rimettono a posto gli occhiali
affinché io scriva