“L’odore del sangue” – Goffredo Parise

“Se fossi stato un’altra persona” disse prima di morire [Parise]…”sarei andato da uno psicoanalista per liberarmi delle mie ossessioni. Ma siccome sono uno scrittore, me ne sono liberato scrivendo” ( Cesare Garboli – “Prefazione” in G. Parise – “L’odore del sangue” – Rizzoli – 1997 – p.VI). In questa affermazione che Parise fa sulla genesi de “L’odore del sangue” è racchiusa la necessità di questo romanzo.

Il quale appare infatti una sorta di risposta, quasi di sfogo, rispetto a qualcosa di profondamente interiorizzato che aveva bisogno di essere detto e, come tale, essere reso riconoscibile prima di tutto a se stesso. E’ come se Parise avesse qui sviluppato una sorta di “scrittura terapeutica” che, pur avendo tutti i crismi della letteratura, aveva però a che fare con pulsioni e istanze corrispondenti, come lui stesso dice, a delle sue ossessioni. A prescindere che queste avessero o meno un contenuto autobiografico. Ma, ne “L’odore del sangue”, vi è una sorta di ossessività anche nel procedere della narrazione, con il reiterarsi ai limiti della ripetitività, di immagini, espressioni, locuzioni che, nell’essere ridette, si rivelano come dei “pensieri fissi” con cui il Narratore continua inesorabilmente a fare i conti.

“L’ odore del sangue” è un romanzo contrassegnato dall’incapacità di dare risposte se non in forme auto od etero distruttive, in una spirale cruenta ed inarrestabile fino al limite estremo della morte. Le devastazioni che avvengono ne “L’odore del sangue” sono quelle dei propri sentimenti che i due protagonisti, il Narratore e la moglie Silvia, metteranno in gioco, abbandonando le loro difese, in un reciproco gioco al massacro. Un libro non risolto, disequilibrato, finito ma, a suo modo, incompiuto. D’altro canto Parise non ne previde la pubblicazione, a conferma del fatto che lo scrisse prima di tutto per sé, fu infatti pubblicato postumo nel ’97, dieci anni dopo la sua morte.

Eppure nel suo essere un libro disturbante, a volte fastidioso, per quanto di morboso, di violento, di gratuito vi è in esso, tuttavia “L’ odore del sangue” ha proprio in questa pulsionalità della non elaborazione stilistica e narrativa il suo pregio, trasmettendo nella crudezza e nella esasperazione del volutamente estremizzato la distanza a cui può giungere il conflitto e la separazione con noi stessi. Là dove il dominio del desiderio e il potere di ciò che più segretamente, inesorabilmente e inconfessabilmente attrae il nostro istinto e la nostra libido, sia maschile che femminile, prende il sopravvento, fino, come in questo caso, ai limiti della sua patologia.

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