Thomas Bernhard – “Sulla terra e all’inferno” – Traduzione di Stefano Apostolo e Samir Thabet – Postfazione di Franz Haas – Crocetti Editore – 2020
“Thomas Bernhard aveva solo 26 anni, quando nell’autunno del 1957 pubblicò la sua prima raccolta lirica, Auf der Erde un in der Hölle (Sulla terra e all’inferno). Questo autore oggi universalmente noto…esordì sulla scena letteraria come poeta. Pochi mesi più tardi, tra marzo e aprile 1958, seguirono altre due raccolte liriche, Unter dem Eisen des Mondes (Sotto il ferro della luna) e In hora mortis. Il successo però si fece aspettare…La vera fama arrivò soltanto qualche anno più tardi, nel 1963, con la pubblicazione di Frost (Gelo), romanzo che segnò una svolta decisiva non solo nella sua carriera, ma anche nella letteratura di lingua tedesca.
Fino ad allora, la produzione poetica di Bernhard fu enorme: tra il ’57 e il ’63 videro la luce tre raccolte liriche, due componimenti in autoedizione – Psalm (Salmo, 1960) e Die Irren Die Häftlinge (I folli I carcerati, 1962) -, pubblicazioni sparse in riviste letterarie e numerosissime poesie in parte rimaste inedite o respinte dalle case editrici, in parte pubblicate nel 1981 sotto il titolo Ave Virgil (Ave Virgilio). Ma dove risiedono esattamente le radici della poesia bernhardiana e quando questa ebbe inizio?
Per Bernhard la lirica segnò il primo avvicinamento alla scrittura e fu, a conti fatti, un’officina di prova e di speriementazione letteraria…La poesia giovanile, [cioè quella prima del 1957] ascrivibile alla letteratura strapaesana (Heimat-literatur)…mette al centro Salisburgo, il mondo rurale che la circonda e la quaotidianità contadina, mostrando già una patina di malinconia espressionista in cui riecheggia la lirica del conterraneo Georg Trakl. Proprio Trakl è modello imprescindibile e al tempo stesso maledetto, dal quale Bernhard, come lui stesso confessò, non potè più distanziarsi: “L’influsso di Trakl sul mio lavoro fu devastante. Se non avessi mai conosciuto Trakl, sarei andato più lontano”.
Con Auf der Erde un in der Hölle l’idillio dei primi anni scompare definitivamente e cede il passo a un quadro pressochè diametralmente opposto. La natura è ostile, l’io lirico è sperduto, abbandonato in paesaggi millenari freddi e oscuri, nei quali brancola alla ricerca di un padre e di una madre assenti…Già in questa prima raccolta, come accadrà anche con In hora mortis, compare una suddivisione in sezioni, in cicli nei quali le poesie sono raggruppate secondo un determinato filone tematico. Nella seconda sezione, Le città incendiate, emerge forte la contrapposizione tra campagna e città, dove quest’ultima è spesso raffigurata come luogo di smarrimento…un mondo alternativo ma non migliore rispetto a quello rurale: tutte le città descritte (Vienna, Parigi, Venezia, Chioggia e altre fantastiche o non meglio identificate) sono raffigurate in una luce crepuscolare, quasi mortifera…
Un’altra componenete fondamentale è la forte spiritualità, che pervade molti componimenti caratterizzando in particolar modo quelli della terza sezione, La notte che mi trafigge il cuore.
I riferimenti alla religione e alla devozione popolare, molto forte nel mondo contadino in cui Bernhard trascorse la propria infanzia, sono numerosi e danno adito a riflessioni profonde sulla condizione umana, sulla presenza divina e sulla salvezza. In Mercoledì delle ceneri l’io lirico anela a una purificazione che non può avvenire, e nei Nove salmi si rivolge direttamente a Dio mettendo a nudo tutta la propria imperfezione…
In questa oscillazione tra fede e desolazione Bernhard è stato sicuramente influenzato dalla sua compaesana Christine Lavant, anch’essa tormentata tra preghiera e ribellione contro Dio: “calpestare il crocefisso”, si legge in una delle sue poesie. Proprio Lavant scrisse a Bernhard nel 1955, dopo che questi si era rivolto a lei, abbattuto per una recensione negativa delle sue poesie: “Ad ogni modo Thomas Ti prego di non arrenderTi. Tu sei molto capace Tu sei un poeta e resterai sempre tale.” Fu questo certamente un riconoscimento importante per Bernhard, che stimava molto la collega più anziana al punto di curare per Suhrkamp nel 1987 una selezione di sue poesie…
Sulla terra e all’inferno viene qui tradotta per la prima volta da Stefano Apostolo e Samir Thabet. Pur essendo la prima raccolta poetica di Bernhard è curiosamente l’ultima a vedere la luce in italiano. Prima di essa sono state tradotte in lingua italiana Ave Virgilio (Anna Maria Carpi, Guanda 1991), In hora mortis (Luigi Reitani, SE 2002), Sotto il ferro della luna (Samir Thabet, Crocetti 2015), Salmo e I folli I carcerati (Stefano Apostolo, “Poesia”, 337)…
Le poesie di Bernhard forniscono una chiave di lettura per tutta la sua opera successiva, per le origini e l’evoluzione della sua poetica. Questi componimenti dimostrano che il cosmo lacerato del romanzo Frost, con il quale l’autore si impose sulla scena letteraria, non è emerso dal nulla, ma era già stato preparato negli anni precedenti. Inoltre in queste prime liriche si trovano molti elementi della produzione matura di Bernhard, dall’individuo tormentato nella sua esistenza isolata fino al tanto dibattuto “complesso delle origini” del campagnolo austriaco davanti alle Leggi del mondo”
(Libera riduzione dalla “Postfazione” di Franz Haas)
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DIETRO GLI ALBERI C’E’ UN ALTRO MONDO
Cosa farò…
Cosa farò
quando nessun granaio mendicherà più per il mio essere,
quando il fieno brucerà in villaggi bagnati
senza incoronare la mia vita?
Cosa farò,
quando la foresta crescerà solo nella mia fantasia,
quando i torrenti saranno soltanto vuote, sciacquate
arterie?
Cosa farò,
quando non verrà più alcun messaggio dalle erbe?
Cosa farò,
quando sarò dimenticato da tutti, da tutti…?
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Cornacchie
Tra poco viene l’inverno e salva gli uccelli,
in stanze oscure fratello e sorella raccolgono
i grani per il pasto invernale.
Nel paese nero il maiale è incatenato.
Nel campo crepano le coranacchie del dolore,
Noi beviamo la birra della disperazione
e giungiamo le mani davanti al disprezzo del Padre.
La terra sa dei lacci della carne.
Fumo sale sopra i casali
e si lascia alle spalle il timore dei contadini ubriachi.
La coscia della fontana gracchia davanti alla finestra
marcia…
Io però non ho paura.
***
LE CITTA’ INCENERITE
Venezia
Dai pesci putridi,
dai gatti putridi,
tra i frutti spappolati dell’estate
cresce la tua gloria:
Maria della Salute, Ca’ d’Oro
Colleoni, Palazzo Ducale…
Io conto le mie monete sulla scalinata,
metto prosciutto sul pane senza burro
e mi ricordo del Giorgione
con i brandelli di nubi rosicati
che il titolo
“la tempesta” reca.
***
LA NOTTE CHE MI TRAFIGGE IL CUORE
Mercoledì delle ceneri
Vorrei uscire
dopo la notte,
e vorrei che le mie mani e le mie labbra
fossero purificate,
vorrei purificare me stesso
al sole
e all’erba –
Ma piove,
e il mio prato
è bruno
e vecchio –
***
MORTE E TIMO
Stanco
Sono stanco…
Con gli alberi ho colloquiato.
Con le pecore ho patito la siccità.
Con gli uccelli ho cantato nei boschi.
Ho amato le ragazze in paese.
Ho guardato in alto verso il sole.
Ho visto il mare.
Ho lavorato con il vasaio.
Ho inghiottito la polvere sulla strada di campagna.
Ho visto i germogli della malinconia sul campo
di mio padre.
Ho visto la morte negli occhi del mio amico.
Ho allungato la mia mano verso le anime degli affogati.
Sono stanco…
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A ventisei anni
Ventisei anni
dei boschi, della fama e della povertà,
ventisei capi d’anno e nessun amico
e la morte
e di quando in quando il sole
e neanche un paio di scarpe impermeabili contro la scossa
della terra.
Ventisei anni
come in sogno, un corale cantato male
sotto il vento d’aprile,
e nessuna casa e nessuna madre
e nessuna concezione di Dio, del padre, la cui voce
proviene dai salariati.
Ventisei anni
tra bevitori di birra, santi, assassini e folli,
nella città e in paesi gonfiati,
quotidianamente creati e quotidianamente risputati,
oscillando tra un Natale e un altro Natale,
nessun calzolaio, nessun oste, nessun accattone,
senza chitarra e senza Bibbia,
a ottobre malato di nostalgia di casa,
ad agosto malatissimo per i fiori.
Ventisei anni,
che non ha vissuto nessuno,
nessun bambino, nessuna tomba e nessun
becchino, con cui io possa parlare davanti a una birra.
Ventisei anni
in un’unica ingiustizia verso tutti,
ubriaco sotto le botti di mosto di mio padre,
in valli marce
disgraziato e abbandonato con un ghigno,
nient’altro che neve e oscurità
e le profonde orme dei padri,
che la mia anima mortale ripercorre a ritroso.
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Autunno
Domani voi ritornate,
panettiere, sarto, mentitore,
spazzino,
che mi invidia il canto
intonato della mia anima abbattuta.
Domani voi ritornate,
voi uccelli, voi alberi, voi meravigliose
carceri dell’estate,
l’estate che mio padre ci spedì
dai monti neri.
Domani voi ritornate,
quelli che scrivono la mia fama nella terra
sotto le castagne rosse,
e quelli che disprezzano il mio lavoro e il mio sangue,
quello del mondo,
in autunno.
Domani voi ritornate,
amici defunti e sogni appassiti, –
tu senti un merlo, la tua ombra
corre lungo il letto del fiume
e nulla, nessun uomo
ti consolerà.
***
RITORNO IN UN AMORE
Yeats non c’era
Il mio nome
non è accolto dai campi,
i prati rimandano la mia vita
nelle città;
gli alberi ritraggono le loro radici,
i torrenti serrano le labbra,
quando vado
nel paese, alla tomba di mia madre.
Nessuno mi dà la brocca e dice
di berla tutta,
nessuno apre il suo letto
per me.
Se sapessero come
sto gelando!
Nelle foreste e
dietro casa
mi incolpano della menzogna.
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Nel giardino della madre
Nel giardino della madre
il mio rastrello raduna le stelle
che sono cadute mentre ero via.
La notte è calda e le mie membra
emanano l’origine verde,
fiori e foglie,
il richiamo del merlo e il ticchettio del telaio.
Nel giardino della madre
calpesto a piedi nudi le teste dei serpenti
che si affacciano dal portone rugginoso
con lingue di fuoco.
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Io so che nei cespugli ci sono le anime
Io so che nei cespugli ci sono le anime,
le anime dei miei padri,
nel grano
c’è il dolore di mio padre
e nella grande foresta nera.
Io so che le loro vite, che si sono estinte
davanti ai nostri occhi,
ritrovano rifugio nelle spighe,
nella fronte blu del cielo di giugno.
Io so che i morti
sono gli alberi e i venti,
il muschio e la notte
che stende le sue ombre
sul mio tumulo.