Anna Seghers – il cui vero nome era Netty Reiling – nel 1928, con il conferimento del rinomato premio Kleist, assegnatole per il suo romanzo Rivolta dei pescatori di S. Barbara edito quell’anno – che fu il suo primo romanzo nonché quello che la rivelò – entrò a pieno titolo tra i grandi letterati della Repubblica di Weimar. Quel premio era stato infatti conferito in quegli anni ad autori del calibro di Hans Henny Jahnn, Bertolt Brecht e Robert Musil solo per citare alcuni tra gli scrittori più famosi e rilevanti che lo ricevettero. Nello stesso anno la Seghers entra a far parte della “Lega degli scrittori proletario-rivoluzionari” e si iscrive al Partito Comunista. Quell’anno la Seghers compirà “appena” ventotto anni, essendo nata il 19 novembre del 1900 a Magonza da genitori di religione ebraica.
Da questi brevi cenni biografici emergono due “appartenenze”che, manifestatesi in lei sin da giovane, la accompagneranno lungo tutto il corso della sua vita, essendo la Seghers rimasta ad esse costantemente fedele. Una è la dedizione alla letteratura e alla scrittura che, oltre ai riconoscimenti letterari (nel 1947 le verrà assegnato pure il Büchner-Preis), la porterà a raggiungere dei “successi” che la renderanno celebre, come quelli ottenuti con il romanzo “La settima croce”, facendone una scrittrice di assoluto rilievo nel panorama della letteratura europea del ‘900. L’altra è l’impegno politico nel solco degli ideali del comunismo che la portò, dopo la guerra – stante l’esilio a cui fu costretta durante il nazismo, essendo dovuta fuggire dalla Germania in quanto comunista ed ebrea – a vivere nella DDR, aderendone alla vita politica e culturale.
Entrambe queste esperienze, quella letteraria e quella politica, saranno, a loro volta, inscindibili per la Seghers che tradurrà, in chiave letteraria, contenuti e significati che le erano propri sul piano ideale ed etico politico. E’ infatti quella della Seghers una letteratura animata da grandi tensioni politico-morali e dal bisogno di doverle esprimere e comunicare. Una letteratura sostanzialmente umanistica, sostenuta dalla convinzione di poter interagire con l’azione politica e vissuta come necessità per rappresentare la condizione delle persone aggredite dall’ingiustizia ed esprimere la protesta di coloro che rivendicano la loro libertà e i loro diritti. Ma a questo suo intento profondamente umanistico la Seghers non sottomise in modo meccanico la creazione letteraria riuscendo bensì sia a dare voce a visioni esistenziali di più ampio respiro che ad evocarle con la forza di narrazioni potenti ed espressive.
In tal senso è significativo come “…in un famoso carteggio con Luka’cs del 1938 sulla questione cruciale del realismo, di fronte al concetto rigido e aprioristico del filosofo, aveva sottolineato l’importanza dell’esperienza concreta come fondamento dell’opera d’arte e si era espressa in difesa della creatività poetica, contro una visione dello scrittore quale specchio passivo…Se per Luka’cs sono esemplari la sublime sintesi di arte e realtà di Goethe e il suo distacco dall’opera, Anna Seghers fa un’appassionata difesa dei poeti che non raggiungono compiutezza classica, artisti emarginati che, invece di adattarsi alla società, si sono <<feriti la fronte>> cozzando contro il muro del conformismo e, morti giovani o finiti pazzi o suicidi, come Büchner, Kleist, Günderrode, per lei sono ammirati antecedenti della letteratura rivoluzionaria” (Rita Calabrese – “Cosa sarebbe il secolo senza di lei ?” – Germanistica.net – 11.4.2012)
Già nella Rivolta dei pescatori di S. Barbara la Seghers si accostò ai grandi temi delle lotte e delle rivendicazioni di chi, come i protagonisti del romanzo, si trova in una condizione di sfruttamento e si batte per i propri diritti e per la propria dignità, raccontando la storia di uno sciopero e di una rivolta fallita, in cui, con un vigore narrativo tipico della Seghers, viene messa a nudo la dura realtà della vita di quei pescatori, la loro voglia di riscatto e di affermazione ma anche le tensioni e le rotture che tra loro si genereranno e la violenza spietata del conflitto con i “padroni” che si troveranno a fronteggiare. Facendone un romanzo corale che diventa la storia di un intero villaggio e della lotta di chi lì vive per sopravvivere.
Nella Seghers è quindi presente, sin dall’inizio, una vocazione realistica, tuttavia il suo realismo è più un’ urgenza morale che una scelta estetica riuscendo ella a tenere legati l’uno e l’altra in modo originale. E l’originalità di tale legame è ben descritta dalle parole di Italo Calvino che, nel recensire la prima traduzione del romanzo – da noi edito per la prima volta nei “Coralli” Einaudi nel 1949 – lo definì un “… <<racconto lirico e insieme denso di fatti, tessuto dalla prima pagina all’ultima in un ininterrotto fluire di immagini nate come dal medesimo momento d’ispirazione, e tenuto su da una bravura di costruzione che non mostra mai i giunti. E’ la storia d’uno dei primi scioperi di pescatori poveri del Mare del Nord. L’assunto sociale tiene vivo il racconto da capo a fondo, ma non è mai dichiarato in termini oratori o semplicemente politici; ogni sfumatura di contenuto trova l’immagine naturale per esprimersi con l’evidenza della rappresentazione poetica.>>” (Dalla quarta di copertina dell’ edizione”Nuovi Coralli” Einaudi – 1976)
E’ infatti questa la caratteristica della prosa della Seghers in questo romanzo. E cioè la capacità di creare una forte tensione narrativa che è quella che si sprigiona dai fatti narrati, ma veicolandola con un linguaggio secco e conciso, fortemente allusivo ed assolutamente preciso, potentemente icastico e lirico. Un linguaggio sempre nervoso, mai dichiarativo né, tanto meno, “pedagogico”. Un linguaggio privo di amplificazioni retoriche e di concessioni barocche. Al contrario spigoloso, rapido e laconico. Che non indugia su ciò che narra ma che esprime, nella sua “durezza”, la necessità del sentimento che vuole dire. Tutto ciò rende estremamente potente la narrazione facendole assumere dei sentori “biblici” e risultando altresì assolutamente congeniale ai personaggi narrati che risaltano proprio per la secchezza, la laconicità e la rapidità del loro modo di essere e di esprimersi.
Ne deriva che tutto il romanzo è attraversato da un tono cupamente allucinatorio, fortemente compenetrato con ciò che si narra, che, sul piano stilistico, evoca procedimenti che rimandano all’espressionismo. Infatti, coerentemente a tali procedimenti, le proposizioni, brevissime, scoccano l’una nell’altra non più legate dal trapasso logico ma cristallizzano l’immagine essenziale della cosa narrata, penetrando l’essenza dei significati e conferendo un pathos assolutamente coinvolgente e intimamente struggente.
Ma la Seghers si rivela scrittrice di razza anche contenutisticamente, capace cioè di suscitare emozioni ed evocare situazioni di grande autenticità. Del tutto estranea alla costruzione di schemi letterari basati su miti ed eroi positivi, la Seghers ha la grande capacità di cogliere e rappresentare le lacerazioni individuali e collettive che attraversano sia i personaggi che le vicende narrate, senza concedere nulla a facili schematismi ideologico-politici, né ad illusorie esaltazioni degli ideali rivoluzionari. Anzi, come accade nella Rivolta dei pescatori di S. Barbara, è la profonda umanità, fragilità e tragicità dei personaggi che ne esce scolpita e illuminata, dove i conflitti non sono solo tra chi opprime e chi ne è vittima, in un continuum che va dall’oppressione alla repressione, ma anche all’interno dei singoli e dei gruppi.
In tal senso sono particolarmente significative le parole pronunciate da Hans Henny Jahnn in occasione dell’attribuzione del premio Kleist alla Seghers, riportate da Helen Fehervary nel suo ampio commento accluso, in appendice, all’ edizione pubblicata nel 2016 dalla Federico Tozzi Editore che aggiorna la precedente edizione Einaudi, con una nuova traduzione e con l’adozione del titolo: Rivolta dei pescatori di S. Barbara corrispondente a quello originale: Aufstand der Fischer von St. Barbara, diversamente da quello Einaudi che era invece: La rivolta dei pescatori di Santa Barbara. Laddove il titolo originale tende ad acuire l’aspetto epico-leggendario, di cui il romanzo è fortemente intriso, rispetto a quello meramente fattuale della vicenda.
Ebbene scrive la Fehervary che : “La scelta del precedente vincitore del premio Hans Henny Jahnn ricadde sulla Seghers, poiché egli percepì <<un’eccezionale talento in relazione agli aspetti formali>>: <<con una profonda limpidezza e semplicità nella coniazione delle frasi e delle parole…si rileva un tono evocativo di una sensuale ambiguità, che trasforma lo svolgimento degli eventi in un’azione emozionante….In questo romanzo…riscontrai…forse il più puro contributo alla riscoperta dell’ esistenza senza alcuna esaltazione>>” (H. Fehervary – “Commento” in Anna Seghers – Rivolta dei pescatori di S. Barbara – Federico Tozzi Editore – 2016 – p. 160)
Se quindi la Rivolta è un romanzo di istanze collettive esso è forse, ancor di più, un romanzo sul rapporto dei singoli con tali istanze, in relazione con quella che è la propria vita. Vi è un significato e un valore che più di tutti qui ne esce rappresentato ed è il bisogno, per il singolo, di dare un senso alla propria vita, senso che viene identificato nella liberazione da una situazione insopportabile, non solo intesa in senso materiale ma ancor più in senso umano ed esistenziale. Non è l’affermazione di un modello sociale quella che perseguono i personaggi della Seghers ma è l’affermazione della propria libertà e della propria esistenza. Ma ciò, ben lungi dall’essere raggiunto, si rivelerà per i protagonisti del romanzo un “transito” foriero di lutti e di morte, un sogno che non si realizzerà. La Seghers fornisce qui una prova di grande letteratura dando vita a personaggi intensissimi che si rivelano tali proprio perché, nell’essere degli sconfitti, sono assolutamente reali e veri, capaci di suscitare una pietà scevra di qualsiasi pietismo. Vi è pertanto, nella struttura del romanzo, uno sviluppo fatto di tre momenti: quello dell’attesa, quello della speranza e quello della sconfitta
In un bianco e nero gravido di silenzio la Seghers scolpisce l’impassibile fissità di quei marinai del villaggio di S. Barbara che, riuniti nella bettola, sembrano attendere che qualcosa li risvegli da quell’immobilità che li inchioda.C’è un senso di eterno e di antico che avvinghia quegli uomini a cui, a loro volta, sono avvinghiati. Ma, tra loro, tacitamente, si sono create delle attese. Cova sotto i silenzi il desiderio di qualcosa che, opponendosi alla rassegnazione, faccia venire allo scoperto la rabbia repressa per quella miseria mortale a cui i pescatori di S. Barbara sono ridotti, qualcosa che venga e dia forza: <<Alcuni han detto che viene>>, disse Kedennek, <<e altri han detto che non viene, adesso dunque è venuto>>. – <<Si>>, disse Andreas, <<è venuto>>. – Kedennek proseguì: <<… Adesso si fa sul serio, lo si può vedere da questo, dal fatto che è venuto>>.
Quello che riferisce Kedennek ad Andreas è la venuta di Hull, quell’Hull che, già autore di una riuscita sollevazione di pescatori in un altro porto della costa adesso è ricercato e sta fuggendo e, nella sua fuga, è approdato a S. Barbara. Ma Hull non è arrivato a S. Barbara per impiantare una nuova ribellione, anzi pensa di essersi sbagliato nell’essere lì: A Hull ad un tratto pesò sul cuore il fatto ch’era venuto. C’erano al mondo tanti allegri angoli caldi, gli erano tutti aperti, perché non era partito, perché era seduto qui? Ma gli sguardi di quei pescatori seduti in quella bettola, in cui Hull è entrato, lo inchiodano, lo obbligano a rivelarsi e lo obbligano ad agire per quello che è diventato: un rivoluzionario.
Hull è una figura enigmatica che fugge ma che anche sfugge. E’ un uomo attraversato da dubbi e conflitti che sembra quasi non credere più a se stesso, né ai suoi ideali, scisso fra andare e restare, tormentato dal bisogno di conferme e di senso. Nel suo agire sembra mosso più da forze che lo spingono ad agire, che da un disegno preordinato destinato alla realizzazione di una causa. Come se quelle forze, quasi suo malgrado, trainassero la sua volontà. Egli non ha nulla del rivoluzionario di professione, non è il classico “agitatore”, eppure trasmette quel carisma e promana quella volontà che i pescatori di S. Barbara si aspettavano di sentire e provare, in altre parole egli risponde e corrisponde a quella sorta di attesa messianica che tra loro aleggiava. Osserva, a tale riguardo, Helen Fehervary nel suo commento: “Durante il colloquio tra Kedennek ed Andreas…si parla di Hull senza far riferimento esplicito al suo nome, come si farebbe per un Messia atteso da lungo tempo” (H. Fehervary cit. p. 144).
In realtà Hull si presenta sulla scena più come un emarginato e un braccato che come un vincente, eppur tuttavia il suo magnetismo affascina chi viene a contatto con lui. Un fascino naturale suscitato da quell’alone misterioso che lo avvolge e in cui, al tempo stesso, egli si nasconde e si difende. Ma attraverso questo suo fascino è come se egli calamitasse e attraesse a sé gli altri muovendoli ad esprimere se stessi. Hull diventa così il leader a cui affidarsi, colui che indica come muoversi, che infonde fiducia e che crea il formarsi della speranza. La speranza per la possibilità di vivere senza il disgusto e la vergogna che quella vita produce e che la rende insensata: Nello spazio vuoto tra mangiare e alzarsi, la moglie di Kedennek disse improvvisamente, – da qualche settimana diceva sempre questo: <<Adesso basta, ho diviso con precisione, il grasso e i fagioli, e tutto, che in inverno basti>>. – I bambini guardarono la madre, Kedennek guardava dritto con gli occhi sbarrati, proprio in mezzo alle cose senza senso che gli avevano piantato intorno, – quattro pareti e donna panciuta e fagioli e bambini e fame. I bambini guardarono di nuovo al piatto di Andreas, eccolo era vuoto, i bocconi erano spariti. Andreas girò la testa, ma i bambini lo guardarono rabbiosi diritto in faccia. Andreas sussultò, i bocconi erano laggiù, aveva ancora sempre fame e si vergognava.
In questa speranza si sommano le speranze di ognuno, che coinvolgono l’interezza degli individui che in esse si esprime e che inglobano sogni, fantasie, desideri, nostalgie, in altre parole, la speranza di un futuro nel quale potersi riconoscere: Andreas pensò che i suoi bambini avrebbero avuto un aspetto diverso, niente bambini figli di una tariffa per due bocconi di fagioli. Gli sembrava semplice cambiare tutto. E tali speranze sprigionano forze ed energie da tempo sopite, anche i villaggi intorno a S. Barbara si ridestano e si mettono in cammino: Era come se quei quattro villaggi, che da un’eternità dormivano ciascuno per conto suo, si destassero, strisciassero insieme per riscaldarsi alla pioggia. Era inconsueto, esser così tanti assieme…I nuovi dicevano, ma siete proprio tanti. Effettivamente, si guardarono intorno, erano già un lungo corteo…adesso ne avevano proprio voglia, di diventare un corteo sempre più lungo…Laggiù, sotto le ali spiegate dei suoi frontoni, c’era S. Barbara…Se soltanto dunque lo si voleva, se soltanto ci si …scuoteva un poco, le persone venivano da venti chilometri di distanza.
Fino al punto che quelle speranze diventano la speranza di tutti, in cui tutti si uniscono compreso Hull: Hull…S’arrampicò sulle spalle di Nyk. Si formò immediatamente un cerchio intorno a Nyk, al cui collo Hull aveva stretto le proprie gambe. Hull cominciò a parlare. Disse ciò che aveva già detto all’ assemblea: rimanere uniti, non permettere a nessuna nave d’ uscire. La gente lo ascoltava in assoluto silenzio. Il loro unico desiderio era di ascoltare proprio queste parole. Anche Hull non aveva altro desiderio, se non di ripetere sempre quelle stesse parole. La voce di Hull non rimbombava, per esempio, come la voce di Kedennek. Eccitava però chiunque l’ascoltasse, risvegliava in ognuno una specie di speranza. Persino a Hull stesso, il suono della propria voce risvegliava una specie di speranza. Gli parve d’esser laggiù, in mezzo alle tante persone, ad osservare meravigliato ed eccitato quell’uomo che si era arrampicato sulle spalle di Nyk, ebbro e spensierato, senza pensare alla fine.
Ed è un sogno ad occhi aperti quello che si diffonde. In chi, come nel giovane Andreas, che assapora la conclusione felice della lotta: Nel suo cuore ci fu una gioia puerile, sfavillante, come se finalmente avesse luogo una grande festa. La festa era la conclusione di tutto. O come nei pensieri dei più: Al più tardi tra due giorni, si diceva, sarebbero partiti alle nuove tariffe, nella convinzione che tutto sarebbe cambiato: Gli uomini dicevano alle loro donne che tutti gl’inverni a venire sarebbero andati diversamente da com’erano andati finora. Non dicevano in cosa consisteva questo diversamente, ma tutti quelli che lo sentivano s’immaginavano qualcosa di diverso, le donne, i bambini, loro stessi. Tutti parlavano del nuovo contratto, …i bambini erano persino allegri.
Ma le cose andranno ben diversamente da come se le erano immaginate. Le richieste dei pescatori di S. Barbara non verranno accettate e la compagnia armatrice farà un accordo separato con i pescatori degli altri villaggi che lo accetteranno tradendo l’iniziale unità : Un giorno era affisso all’ufficio della società armatrice che la società Compagnie Armatrici Riunite aveva raggiunto un accordo con i pescatori di Wyk, Blè, Elnor ecc., tariffe invariate ma prezzi di mercato più alti per il pesce. I pescatori di S. Barbara venivano esortati ad aderire a questa tariffa…I pescatori strapparono via il foglietto. Non dissero niente, né in famiglia, né tra di loro, né a proposito dell’offerta, né del venir meno alla parola data da parte dei forestieri.
E quella paura che “cadrà” su Hull sarà come una cupa premonizione di quanto, da lì in poi, accadrà: Hull…improvvisamente, come se fosse scesa dal soffitto…avvertì sulla sua scriminatura la paura, che lo schiacciava come un pugno…La paura non proveniva affatto dal suo cuore, non divorava dall’interno all’esterno, la paura non aveva assolutamente niente a che fare con lui…La paura era l’ombra che la disgrazia stessa getta sugli uomini, quand’è così vicina da potersi toccare con mano.
S. Barbara verrà militarizzata con l’invio di un reggimento, Hull verrà attivamente ricercato, gli imbarchi dei pescatori forestieri, sulle navi destinate a partire, verranno presidiati dai soldati per impedire che i pescatori di S. Barbara blocchino gli imbarchi ed è lì, in quel frangente, che Kedennek morirà: Kedennek proseguì come era stato stabilito…a passi insolitamente piccoli, leggeri. Nella schiena aveva una sensazione stranamente spoglia, capì che gli altri erano rimasti indietro e che andava solo, e capì anche che il soldato gli avrebbe sparato. Cadde nel mezzo tra i soldati e i pescatori, a circa otto metri di distanza dai pescatori. Per tutta la vita Kedennek non aveva mai pensato ad altro che a vele, motori, pesca e tariffe, ma durante questi otto metri aveva finalmente avuto il tempo di pensare a tutto il possibile…Pensò anche a Dio , non come si pensa a qualcosa che non c’è, ma come a qualcosa che ti ha abbandonato.
La ribellione ha iniziato, inesorabile, a declinare e le sue possibilità sono ormai preda dello scetticismo: Parlavano della rivolta, quanto poteva ancora durare, l’anno venturo oppure tra qualche anno l’avrebbero fatta gli altri, poiché che questa fosse perduta non ne facevano mistero, qui tra le loro quattro pareti. I pescatori di S. Barbara capitoleranno, accetteranno le condizioni imposte e si imbarcheranno: I pescatori si dichiararono pronti all’ uscita. Dopo aver preso questa decisione…non parlarono di quella svolta né davanti alle donne né tra di loro…le donne videro in fondo agli occhi dei loro uomini un che di nuovo, di fermo, d’oscuro, come il deposito sul fondo dei recipienti svuotati.
Ma la rivolta non solo sarà perduta ma consumerà ancora dei sacrifici. Quello di Andreas che diventato anche lui un ricercato verrà raggiunto dalle fucilate mentre fugge sugli scogli: Andreas era già caduto, era già ruzzolato, era impigliato nelle pietre, il viso irriconoscibilmente sfigurato, – ma qualcosa in lui continuava ancor sempre a correre, correva e correva ed infine in un attimo si disperse nell’aria in tutte le direzioni in una gioia e leggerezza infinita. Fino al definitivo arresto di Hull e alla partenza della prima nave con su i pescatori di S. Barbara, quella nave che, ormai al largo, Aveva dimenticato il porto, superato il dolore della terra.
Ora va detto che l’azione nella Rivolta non è definita né dal punto di vista del tempo né dello spazio. Non vi è infatti una specificazione del quando essa ha luogo e per quanto le descrizioni possano fare pensare ad un’ambientazione situata nel mare del Nord tale ambientazione non è indicata: “…il luogo potrebbe trovarsi perfettamente nel Golfo di Biscaglia, così come nella Frisia o altrove, i nomi dei pescatori potrebbero tranquillamente essere celtici oppure baltici” (H. Fehervary cit. p. 162).
In tale contesto, atemporale e geograficamente indifferenziato, quasi astorico, assumono perciò particolare significato le considerazioni in merito all’enigmaticità del personaggio di Hull, prima riportate. Helen Fehervary, prendendo spunto dalle analisi condotte da uno dei principali studiosi delle opere della Seghers, Friedrich Albert, rileva, in riferimento a Hull, come “…il suo <<impulso rivoluzionario>>, distaccato da <<ogni circostanza reale>> si spiega, in ultimo, con il fatto che questi possiede <<il carattere di una categoria metafisica>>”. (H. Fehervary cit. p. 175)
Da tutto ciò si può pertanto derivare che la Seghers abbia immesso nelle vicende narrate una dimensione sovraindividuale che sovraintende i personaggi e le cose. Una dimensione data dallo scontro tra un male e un bene che vanno al di là della storia concreta in cui quelle vicende hanno luogo. In altre parole la Seghers risale ad un livello superiore che chiama in causa l’uomo in quanto tale, nel suo essere capace di generare l’oppressione ma anche di resistervi e di opporvisi in virtù di forze intrinseche all’uomo stesso. E, in questo senso, un’ulteriore definizione della Rivolta, data da Hans Henny Jahnn, va in questa direzione, laddove, quello che al suo interno è narrato è, per Jahnn, “…un processo dell’esistenza in trasfigurazione quasi metafisica”. (H. Fehervary cit. p. 164)
E che qui il “processo” sia più importante dell’ esito lo conferma il fatto che se è vero che la “rivolta” fallisce, tuttavia essa, dice la Seghers, non è morta. Del suo fallimento ella ce ne parla sin nella prima pagina, dove ci descrive, in poche righe, laconicamente, la normalizzazione seguita alla sollevazione, aggiungendovi poi queste parole: Ma molto tempo dopo il ritiro dei militari, con i pescatori in mare, la rivolta sedette ancora sulla piazza del mercato deserta, bianca, brulla d’un brullo estivo, a pensare con calma ai suoi, ch’essa aveva generato, cresciuto, assistito e custodito per quello che per loro fu il meglio.
C’è in tali parole – in cui sembra che la Seghers tragga, paradossalmente, una conclusione ottimistica da una sconfitta – un’idea della rivolta come parte di un processo che si costituisce come orizzonte verso il quale tendere. Un’ orizzonte che rende possibile dire che nulla è accaduto invano né è stato privo di senso. Come un cammino nel quale, quanto vissuto, resta e testimonia per il futuro. Quei pescatori appaiono, in questa luce, degli sconfitti ma non dei vinti in quanto resi partecipi e interpreti di una idea – l’idea di un mondo diverso – che si è comunque insediata e ha germinato. La sconfitta, posta come essa è già all’inizio della narrazione, diventa così, paradossalmente, non la fine della vicenda ma, bensì, il suo punto di partenza. Come se quella vicenda fosse destinata a protendersi oltre il testo diventando mito di se stessa.
Ed è questa sua dimensione metatestuale che rende particolare ed originale la Rivolta. Come infatti afferma la Fehervary, in questo romanzo “… la Seghers ha saputo dare, come nessun altro autore della sua generazione, al “mito della rivoluzione” del suo tempo un’espressione epica senza dubbio peculiare”. (H. Fehervary cit. p. 179). Conta in conclusione sottolineare come la Seghers sia riuscita a tenere mirabilmente uniti in questo romanzo quegli aspetti, apparentemente inconciliabili, in esso così fortemente presenti e cioè impegno politico e dimensione mitica, rappresentazione della realtà e sua trasfigurazione poetica, coralità e singolarità, dando vita a un intreccio in cui è proprio il convivere e il fronteggiarsi di tali aspetti che rende la lettura della Rivolta un’ esperienza densa di immagini e di significati.