“La classe” – Hermann Ungar – Prima parte

Hermann Ungar è stato uno degli autori più originali e particolari, oltre che tra i più notevoli in senso letterario, all’interno di quella letteratura di lingua tedesca che si sviluppò con esiti altissimi nella Praga di inizio secolo. Ungar non era praghese, era nato in Moravia a Boskowice nei pressi di Brno nel 1893, in una ricca famiglia ebrea che, come tutta la comunità ebraica che viveva nel ghetto ebraico di Boskowice, era di lingua tedesca. Ma dato che fuori dal ghetto si parlava solo il ceco Hermann Ungar parlava in realtà entrambe le lingue. A Praga vi giunse per la prima volta nel 1912 per proseguirvi i suoi studi di giurisprudenza, intrapresi inizialmente a Berlino e a Monaco. E pur avendo trascorso periodi anche prolungati, nel corso della sua vita, lontano da Praga, vuoi per lo scoppio della Prima guerra mondiale a cui prese parte, vuoi per l’incarico all’ambasciata cecoslovacca a Berlino, dove lavorò dal 1921 al 1928, di fatto Praga fu la sua città. Nella quale morì il 28 ottobre del 1929, a soli 36 anni, a seguito di un attacco di appendicite che i medici scambiarono per una manifestazione di ipocondria. Proprio quando, tre settimane prima, aveva deciso di dedicarsi a tempo pieno alla letteratura, interrompendosi così, prematuramente, una carriera letteraria già di rilievo ma che avrebbe potuto dare altri e presumibilmente significativi frutti.

Ma questa appartenenza praghese, così come l’avere nelle sue radici culturali quella sintesi ebreo-ceco-tedesca e l’avere fatto della letteratura la sua vocazione con risultati che susciteranno un’ampia ammirazione, prima fra tutti quella di Thomas Mann che definì Ungar “Uno scrittore dal talento straordinario”, consentono di annoverare, a pieno titolo, Hermann Ungar in quella incredibile cerchia di scrittori “praghesi”che lascerà impronte fondamentali nella letteratura europea di inizio secolo, il cui valore è ormai indiscutibilmente consacrato. Tutti scrittori di origine ebrea e di lingua tedesca, nati in Boemia o in Moravia alla fine dell’ ‘8oo ed affermatisi nel primo scorcio del ‘900 tra i quali, solo per citare i più famosi e importanti, vanno annoverati Oskar Baum, Max Brod, Johannes Urzidil, Ernst Weiss, Franz Werfel e naturalmente Kafka.

Tuttavia, all’interno di questa “letteratura tedesca di Praga”, la colonia di scrittori di nascita morava – alla quale, oltre a Ungar, è ascrivibile, fra quelli citati, anche Weiss – riveste una sua specificità, in quanto, come è stato osservato: “Rispetto ai confratelli praghesi la loro scrittura si caratterizza per un più minuzioso realismo, per la chiara tendenza a una prosa psicologistica che, se da un lato riflette influenze dostoevskiane e gli effluvi psicoanalitici che si irradiano dalla vicina Vienna (lo stesso Freud era nato in Moravia), dall’altro attinge al retaggio di una tradizione già viva – nella Moravia di lingua tedesca – nei racconti tragici di Jakob Julius David o nelle malinconiche narrazioni di Ferdinand von Saar. “ (Giuseppe Dierna – “La classe morta di Hermann” – la Repubblica.it – 29.1.1992). E in questo solco sopra descritto si inseriscono anche le opere prodotte da Ungar nella sua, se pur breve, carriera. Nelle quali lo scavo nei meandri psicologici sviscerandone sofferenze ed oscurità, la descrizione di meccanismi e vissuti che mettono a nudo contorsioni interiori fatta attraverso l’osservazione dall’interno dei personaggi, l’emergere e il dare vita ad una sorta di fenomenologia della paranoia, costituiscono gli impulsi della sua scrittura.

Se la presenza di atmosfere opprimenti all’interno dei suoi romanzi ha portato a fare dei confronti con Kafka, tuttavia gli oggetti e gli stili narrativi di Ungar e Kafka sono profondamente diversi. Kafka si muove in una dimensione assai più atemporale e misteriosa di quella di Ungar, più metafisica laddove, invece, in Ungar prevale l’osservazione di personaggi calati in realtà concrete: i luoghi dell’azione sono infatti aule scolastiche, uffici, vicoli dei bordelli, abitazioni piccolo-borghesi. Ed inoltre i personaggi di Ungar sono focalizzati nella loro soggettività, vittime, come essi sono, di paure ed ossessioni, preda di nevrosi, colti nei loro tormenti e nei loro conflitti. Dei quali Ungar ci rivela – con toni intrisi di grottesco espressionismo – tutta la loro fragilità e debolezza inserendoli, altresì, nel contesto di intrecci umani ancor più inquietanti e patologici di quanto già lo siano i protagonisti stessi dei suoi romanzi. Se sia Kafka che Ungar vivono e colgono la realtà nella consapevolezza del suo ormai irreversibile trapasso tuttavia, mentre Kafka crea e ci mostra “un’altra realtà”, Ungar invece ci mostra la realtà, quella realtà, frantumarsi di fronte ai nostri occhi, consentendoci di percepire, nel vivisezionare la smarrita impotenza dei suoi personaggi in preda a se stessi, quel senso di frantumazione in modo perfetto.

La prima prova di Ungar romanziere nella quale si rivela già pienamente il suo talento e in cui trovano una prima messa a fuoco i temi e le forme espressive che lo caratterizzano si ha con il romanzo “I mutilati”, uscito nel 1923 che Thomas Mann definì “Un romanzo di dolorosa forza” nel quale appare già quel tema chiave del conflitto distruttivo tra ordine e caos che troverà uno sviluppo radicale nel suo secondo e ultimo romanzo “La classe”, uscito nel 1927. Nel quale le vicende che vi sono narrate costituiscono un vero e proprio materiale privilegiato per rendere gli effetti dirompenti di quel conflitto nella psiche del protagonista, l’insegnate Josef Blau. Che incarnerà il perseguimento maniacale ed ossessivo, ma al tempo stesso fonte di profondi tormenti, di un ordine dentro di sé e intorno a sé, e quindi nell’insieme della sua vita. Ma il quale vivrà anche l’inesorabile e inarrestabile caos in cui lui e la sua vita sprofonderanno per effetto dell’impossibilità di imporre quel suo ordine alla realtà la quale impietosamente lo piegherà.

Con “La classe” Hermann Ungar si inserisce altresì, in modo originale, in quel filone del “racconto sul rapporto maestro/allievi”, diffusamente presente nella tradizione letteraria mitteleuropea. Ungar però ne modifica e ne inverte il canone. In questo tipo di “racconti”, se pur con modalità di volta in volta diverse, il punto di vista narrativo canonicamente adottato era quello di osservare quel rapporto mettendosi dalla parte dell’allievo. Si pensi al “Törless” di Musil, a “Jakob von Gunten” di Walser, a “Sotto la ruota” di Hesse. Romanzi nei quali gli allievi sono i protagonisti e si trovano, se pur in vario modo, in posizione subalterna rispetto ai maestri. Qui invece Ungar opera un’inversione e fa del maestro, cioè del professor Josef Blau, il protagonista, facendone nel contempo, da soggetto del rapporto con gli allievi, oggetto di quel rapporto, in un capovolgersi di ruoli e vissuti che, intaccando la vita del professor Josef Blau, intaccherà le logiche stesse del rapporto tra dominato e dominante.

A seguire nella seconda parte il commento a “La classe”.

13 risposte a "“La classe” – Hermann Ungar – Prima parte"

  1. Alessandra 6 febbraio 2018 / 11:06

    Questo scrittore non l’avevo mai sentito nominare, ma l’ammirazione di Thomas Mann mi pare un buon biglietto da visita 😉 Lo scavo psicologico dei personaggi osservato dall’interno è una cosa che da sempre mi attrae, quindi mi segno il titolo. Interessanti anche le differenze che hai rilevato con Kafka. Affascinata, anche dalla tua bella introduzione, attendo di leggere il resto.

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    • ilcollezionistadiletture 6 febbraio 2018 / 13:04

      Grazie Alessandra per le tue coinvolte e coinvolgenti parole.
      Si, Ungar è un grande scrittore che purtroppo non ha la notorietà che si merita.
      E, se non fosse stato per la meritevole opera della Silvy edizioni di Trento (per la precisione di Scurelle), una piccola casa editrice specializzata in letteratura mitteleuropea che, nel 2011, ha editato sia “La classe” che ” I mutilati”, i suoi libri da noi oggi non si potrebbero leggere. Le precedenti edizioni da parte di altri editori che pure ci sono state, sono molto in là nel tempo e, di fatto, introvabili.
      Spero presto con il resto e intanto ancora grazie e un carissimo saluto.
      Raffaele

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      • Alessandra 6 febbraio 2018 / 15:34

        Ma guarda, una casa editrice della Valsugana, dalle parti di Strigno, oltre Levico Terme. Non la conoscevo! Ho trovato il sito web, ci darò un’occhiata. Grazie 🙂

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    • ilcollezionistadiletture 6 febbraio 2018 / 16:27

      Anch’io quando l’ho scoperta e ho scoperto dov’era mi sono detto, non l’avrei mai detto. Hanno in catalogo anche Weiss e Baum, altri due grandi scrittori di quella “cerchia praghese” a cui ho fatto cenno.
      A presto. ciao.
      Raffaele

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  2. Nosce Sauton 7 febbraio 2018 / 12:57

    “vivrà anche l’inesorabile e inarrestabile caos in cui lui e la sua vita sprofonderanno per effetto dell’impossibilità di imporre quel suo ordine alla realtà”

    Molto interessante. Colto proprio in profondità l’aspetto di ricerca esistenziale.

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    • ilcollezionistadiletture 7 febbraio 2018 / 13:20

      Grazie della visita e del commento. In effetti ci sarà, nella “crisi” che il personaggio vive, un approdo – nell’epilogo de “La classe” – che si configura, di fatto, come una presa di coscienza esistenziale. Ma ne parlerò in modo più esplicito nel successivo e vero e proprio commento.
      Grazie ancora.
      Raffaele

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      • Nosce Sauton 11 febbraio 2018 / 16:33

        Un argomento davvero interessante. Un in effetti, molto spesso alla fine dalla malattia non c’è nessuna guarigione, bensì una presa di coscienza della malattia/esistenza stessa, un assimilare e acquisire una nuova prospettiva.

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  3. giacinta 7 febbraio 2018 / 13:13

    L’impossibilità di imporre un ordine alla realtà … E’ un tema che attraversa anche i racconti di Mari che ho finito di leggere proprio ieri. Ho pensato a lui mentre leggevo il tuo scritto. Aspetto la II parte della tua pubblicazione: il rovesciamento del punto di vista ( professore- allievo ), mi sembra interessante..
    Un caro saluto!.

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  4. ilcollezionistadiletture 7 febbraio 2018 / 13:33

    Cara Giacinta,
    evidentemente i grandi scrittori colgono al di là del tempo e dello spazio in cui si muovono i grandi temi che attraversano la vita e la letteratura e quello dell’ “impossibilità di imporre un ordine alla realtà” lo era già ai tempi di Ungar e lo è tanto più oggi al tempo di Mari. Buon segno per le nostre letture quindi che ci offrono queste cose vive.
    Spero presto di dare seguito alle tue aspettative e, intanto, ti ringrazio della visita e del commento e un caro saluto anche da parte mia.
    Raffaele

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  5. dietroleparole 7 febbraio 2018 / 16:14

    Mi fa piacere trovare qui da te questo scrittore dimenticato. Di lui ho letto e apprezzato tempo fa “I mutilati” e sono riuscita a recuperare una vecchia edizione italiana del suo primo libro dal titolo “Ragazzi e assassini” che raccoglie due racconti, “Storia di un assassinio” e “Un uomo e una serva”. Come tu hai scritto, Thomas Mann lo apprezzava. Il curatore di questo vecchio volume riferisce questa sua osservazione a proposito dei racconti giovanili di Ungar: “L’atmosfera dei primi racconti di Ungar, alla quale contribuisce potentemente un certo modo al contempo tenero e crudele di vedere e di dare voce all’umano, lascia trasparire l’influenza russa: qui come altrove si manifesta l’influenza di Dostoevskij sulla gioventù europea degli anni venti. Un’impronta che non fa altro, in questo caso, che mettere maggiormente in rilievo i tratti specificamente tedeschi, ma anche e soprattutto la singolarità, la profonda originalità dell’opera di questo giovane scrittore”. De “I mutilati” ricordo molto bene il protagonista, decisamente indimenticabile, quel Franz Polder che appartiene alla categoria dei vinti, o forse addirittura ad una loro sottospecie, tanto da apparire una sorta di burattino morbosamente sensibile ad ogni accadimento della vita, più grottesco che suscitatore di pietà, affetto da una malattia dell’anima dalle radici lontane. Insomma, uno scrittore che gioca con i caratteri estremi e che forse li usa per giungere ad individuare ciò che si può definire specificamente umano. Attendo quindi di conoscere le tue impressioni su “La classe”, sicuramente profonde e chiarificatrici, come sempre sono le tue. Un carissimo saluto. Anna

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    • ilcollezionistadiletture 8 febbraio 2018 / 17:01

      Le parole di Thomas Mann che riporti e che non conoscevo, mi confortano e , se mi consenti, mi gratificano anche un po’, in quanto in esse trovano riscontro considerazioni da me riportate su “La classe” e su Ungar che avvalorano quelle considerazioni, grazie quindi di averle scelte e trascritte.
      Condivido molto quando, sulla scorta della tua lettura de “I mutilati” dici che Ungar “gioca con i caratteri estremi”, dato che anche Josef Blau, il protagonista de “La classe”, rispecchia quel tipo di carattere. Ma credo che questa sia proprio una scelta derivante da una necessità narrativa di Ungar. Il suo modo, estremizzando i caratteri dei personaggi, per mettere a fuoco la loro “crisi” rispetto allo stare al mondo, soprattutto in un mondo che li sovverte.
      Grazie per le tue incoraggianti parole di sprone e un carissimo saluto anche da parte mia.
      Raffaele

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  6. dietroleparole 7 febbraio 2018 / 16:38

    Perdona l’errore: il protagonista de “I mutilati” è Franz Polzer, i polder sono un’altra cosa…

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