Milan Kundera nel suo “L’arte del romanzo” così definisce il comico: “COMICO. Offrendoci la bella illusione della grandezza umana, il tragico ci consola. Il comico è più crudele: ci rivela brutalmente l’insignificanza di tutte le cose. Suppongo che tutte le cose umane contengano il loro aspetto comico…. I veri geni del comico non sono coloro che ci fanno ridere di più, ma coloro che svelano una zona sconosciuta del comico. La Storia è sempre stata considerata come un territorio rigorosamente serio. Ebbene, esiste il comico sconosciuto della Storia. Così come esiste il comico (difficile da accettare) della sessualità”.
Questa definizione sembra essere stata scritta su misura per Bohumil Hrabal e per “Treni strettamente sorvegliati”, perché contiene tutto lo spirito della poetica di Hrabal e tutta l’essenza di quanto contenuto in “Treni strettamente sorvegliati”.
Se infatti dovessimo dire che cosa risalta, ad una prima lettura, in “Treni strettamente sorvegliati”, la prima cosa che viene in mente sono le innumerevoli situazioni comiche che Hrabal vi crea. Tuttavia appare altrettanto evidente, sin dalle prime battute – pensando, per esempio, alle strampalate e irriverenti figure del nonno e del bisnonno di Milos (il protagonista nonché io narrante) e alle loro tragicomiche fini – come qui, il comico, rivela da subito e in pieno quell’anima “più crudele”, rispetto al tragico, di cui parla Kundera. Tutto “Treni strettamente sorvegliati” sarebbe in realtà un testo che narra vicende in sé tragiche, poste sullo sfondo di una vicenda tragica di per sé quale la guerra e l’occupazione nazista della Cecoslovacchia, ma il fatto è che noi non abbiamo mai il sentore del tragico perché Hrabal riesce a trascendere questo aspetto tenendo sempre in primo piano quel risvolto comico con cui penetra in una sua originalissima e personalissima “zona sconosciuta del comico”. Il comico di Hrabal infatti unisce a un’ispirazione squisitamente poetica – Hrabal, tra l’altro, fu, prima che prosatore, poeta – quella sua tipica venatura “incrudita”, dando vita ad un effetto surreale e magico. Non a caso l’opera di Hrabal ha suggerito la figura del “Pierrot incrudito” che sintetizza perfettamente il suo spirito e su cui, egli stesso, ebbe a dire: “Dunque, nella stessa misura in cui sono incrudito, in quella stessa misura sono anche intenerito. Ho alternato ritmicamente, non soltanto nella vita ma anche nel mio scrivere, il fragile pierrot e il duro rude. Ma attenzione! Io sono sempre stato più quel pierrot, crudo lo sono diventato soltanto affinché il mio testo tuonasse…il mio testo è crudamente tenero.” (“Intervista con un Pierrot incrudito” in B. Hrabal – “Una solitudine troppo rumorosa” – Einaudi – 2002 – Appendice – p.115)
Ed è questa la magia e la bellezza presente anche in “Treni strettamente sorvegliati”, e cioè quella durezza assolutamente innocua, quel candore con cui Hrabal riesce a guardare la vita senza negarne nessun aspetto, con quel suo sguardo stupito e puro di cui solo chi possiede una grande libertà interiore è capace e che fa di “Treni strettamente sorvegliati” un vero e proprio canto alla purezza. Ma ciò che rende Hrabal ancor più speciale e unico e ne fa quel “genio” della letteratura che egli è, sta nel fatto che è riuscito a portare il comico all’interno di quei due ambiti di cui parla Kundera e cioè la Storia e la sessualità, difficilissimi, come dice Kundera, da leggere e da raccontare in questa chiave, essendo proprio la Storia e la sessualità i fili conduttori lungo i quali si dipanano le vicende di “Treni strettamente sorvegliati”. Dentro la realtà della Storia e dentro la realtà della sessualità sarà infatti catapultato Milos in un percorso di iniziazione alla vita ma anche alla morte, dove l’apparente contrasto fra queste due condizioni dell’esistenza si fa in realtà totalità, riuscendo Hrabal a parlarci dell’una e dell’altra come di una cosa sola, al punto che Milos avrà vissuto e sarà morto senza essersi fatto consumare né dalla paura della vita, né da quella della morte, liberato da entrambe da un destino portatore al tempo stesso di vita e di morte. Siamo in quella armoniosa sintesi dei contrasti con cui Hrabal qui, come in altre sue opere, riesce a tenere insieme cose opposte e diverse e a superare la loro singolarità creando una realtà in cui ordine e caos, normalità e follia, struggevolezza e umorismo, vita e morte si fondono nell’invenzione narrativa, dando vita a una figurazione delle cose completamente nuova e libera da ogni e qualsivoglia schema. Una visione del mondo in cui tutto sembra finzione e in cui la soggettività sembra esprimersi come puro gioco, essendo, in realtà, quella finzione e quel gioco dei veri e propri strumenti di salvazione per sfuggire alla realtà quella vera e, in ultima istanza, alla realtà della morte.
E così nel microcosmo di quella “calma, silenziosa stazioncina” boema in cui il giovane e timido Milos svolge il suo apprendistato di ferroviere e in cui è ambientato “Treni strettamente sorvegliati”, tutto si svolge come in una favola, mentre la realtà, quella della guerra, incombe nel transito di quei treni che vanno su e giù dal fronte con i loro carichi e messaggi di morte. E, in quel piccolo mondo che sembra magicamente capace di non farsi cancellare dalla Storia e di tenerla fuori, Hrabal mette in scena un’umanità variopinta e assurda, resa tale dai suoi contrasti e dall’essere perennemente come in un altrove, tutta dedita alle proprie private inclinazioni. Come il grasso capostazione che “pesava quasi un quintale, ma le donne dicevano che ballava con incredibile leggerezza”e che accusa il capomanovra Hubicka di fare “Cose animalesche” a causa delle sue note performance sessuali, mentre lui è tutto intento a porgere le sue labbra ai suoi adorati colombi che alleva amorevolmente e voluttuosamente. E come la moglie del capostazione che si dedica ai suoi raffinati uncinetti e poi violenta conigli e oche e quattro volte l’anno rifila al marito dei tali schiaffi a compensazione della pazienza che ha verso le sue sfuriate durante il resto dell’anno. Ma fra tutti questi è, senza dubbio, il capomanovra Hubicka quello che svetta, a suo modo un filosofo della vita ma senza filosofie, poetico quando rivolge i suoi sguardi al cielo e materialista ad oltranza quando divide le donne fra due categorie le cosiddette “un culone” e le cosiddette “un tettone”. Grandioso sciupafemmine, pur non essendo particolarmente attraente, in una delle sue memorabili prestazioni amorose era volato all’indietro dall’impeto e, a Milos che lo trova per terra con di fronte una “signora distesa nuda sul sofà, con le gambe spalancate”, dirà: “Milos, ho preso male il controeffetto. Sono caduto dall’altare dell’amore…” .
Ma in tutti questi personaggi, nella loro follia naif, vive una natura sana e sanguigna, e una orgogliosa resistenza a quei tedeschi, derisi quando e come possibile ma, al tempo stesso, mostrati da Hrabal in tutta la brutale bestialità della guerra quando li si vedono passare con quegli sguardi sgomenti e spaesati su quei treni di ritorno dal fronte. Ma a differenza di quei finti matti che sono i personaggi di Hrabal, i veri matti appaiono proprio i tedeschi che, come dice Milos, “…sono matti. Matti pericolosi. Anche io ero un po’ matto, ma a danno mio, mentre i tedeschi sempre a danno degli altri”. Ma la sessualità di “Treni strettamente sorvegliati” è, come sempre per contrasto, anche quella adolescenziale e quindi inesperta di Milos, teneramente innamorato della sua giovane collega Masa da lei ricambiato, a cui arde di darle la sua prima prova d’amore. E così Hrabal fa convivere la scanzonata e roboante sessualità del capomanovra Hubicka che, in una notte di tedio ha timbrato con tutti i timbri in dotazione le chiappe e le cosce della telegrafista e che adesso, per questo, nonostante lei consenziente è perseguito dalle autorità e gli insuccessi amorosi di Milos, spinto a tagliarsi le vene per la disperazione di non essere riuscito, con la sua Masa, a dimostrare la sua virilità, “sfiorita come un giglio”, proprio in quel momento tanto atteso e rivelatosi fatale. Ma da quel tentato suicidio un destino superiore e immacolato, incarnato da quello che Milos chiamerà “Dio travestito”, lo salverà per dargli un’altra possibilità. E mentre proverà, con quei suoi teneri e inutili tentativi, di convincere la moglie del capostazione affinchè possa “scozzonarsi il corno con lei”, Milos sarà liberato da quel suo assillo da una inattesa e fatata lei, a nome Viktoria Frei, che gli consentirà di realizzare quel suo tanto agognato “glorioso e vittorioso ingresso nella vita”. Ma colei che darà la vita a Milos sarà anche colei destinata a dare la morte a Milos. Sarà infatti proprio lei, Viktoria Frei, la staffetta partigiana Vittoria Libera a consegnare quella bomba, quella “cosina” che Milos si incaricherà di infilare in quel treno nazista, carico di munizioni che, insieme al capomanovra Hubicka, hanno deciso di fare saltare in aria.
E mentre Milos fa cadere “quel congegno giusto nel mezzo del vagone, che andò dentro quella cosina, che adesso stava là e portava quel treno strettamente sorvegliato verso la sua fine” un soldato di guardia sul treno lo vede e spara. Anche Milos spara. Cadranno sui binari e lì resteranno a morire. “Ci eravamo sparati l’un l’altro e portati alla morte l’un l’altro, sebbene certo, se ci fossimo incontrati da qualche parte in borghese, forse ci saremmo voluti bene, avremmo fatto due chiacchiere” si dice Milos trascinandosi con il tedesco sulla neve. Ma Milos è diventato uomo e questo è quello che conta per lui, adesso anche lui è come il capomanovra Hubicka: “…perché il capomanovra Hubicka non aveva mai paura di nulla”, anche se quella “sera aveva soffiato, sputato. Come se vedesse in anticipo questa mia fine”, come se il destino di Milos fosse stato già scritto da prima. E se anche per lui sarà impossibile realizzare l’amore con Masa, potrà però entrare nella morte finalmente sicuro di essere entrato nella vita. Peccato soltanto che i tedeschi non abbiano fatto quello che Milos morente si mise a ripetere: “…ripetevo le parole del capotreno di quello smistamento che aveva portato quei tedeschi straziati da Dresda: – Dovevate starvene seduti a casa, sul culo…”