“Lolita” – Vladimir Nabokov

Lolita è un nome ormai entrato nel linguaggio comune come sinonimo di ragazzina sessualmente precoce e provocante, disinibita e maliziosa. Ma da neologismo usato per indicare un fenomeno di costume e un modello sociale Lolita è divenuto progressivamente un nome di richiamo adoperato nel “marketing” della nostra contemporaneità per gli usi più svariati finendo così per allontanarsi dalla sua matrice originaria da quello, cioè, che lo ha ispirato e reso così potentemente evocativo, imponendolo nel nostro immaginario collettivo. Perché il merito della fama del nome Lolita e del suo essere divenuto un moderno simbolo di un modo di essere risiede tutto in quel grande romanzo che è stato ed è “Lolita” di Vladimir Nabokov.

“Lolita” ha compiuto, da poco, 60 anni. Uscì infatti nel settembre del 1955 dopo difficoltà non indifferenti per la sua pubblicazione in quanto, inizialmente, fu considerato “romanzo pedofilo” e pertanto osceno ed immorale, pur non contenendo alcuna esplicita descrizione di atti sessuali, né parole oscene che li raffigurano, sebbene, a noi lettori, ne venga fatta intuire e percepire tutta la loro allusiva presenza. E, infatti, anche il successo che, alla sua uscita, fu immediato, fu determinato dall’immagine di “romanzo erotico” che lo circondò, laddove, invece, l’intrinseca natura di “Lolita” va ben oltre questo aspetto. Tanto che non solo il romanzo non è riducibile a quel canone ma neanche il personaggio di Lolita è risolvibile nella chiave di una sua innata vocazione erotica e sensuale.

Motore dell’azione narrativa di “Lolita” è la tormentata attrazione che un uomo – l’altrettanto famoso personaggio di Humbert Humbert: un maturo, colto e raffinato professore di letteratura che, dalla sua natia Francia, si trasferisce, per un caso inatteso, in America – ha per quelle giovanissime adolescenti da lui nominate “ninfette”. Tale attrazione si trasformerà in una vera e propria ossessione allorquando incontrerà in quella sperduta cittadina americana, in cui si reca ancora una volta per effetto di circostanze casuali, la dodicenne Lolita e se ne invaghirà, creandosi tra i due una relazione tanto morbosa quanto drammatica. In Humbert quell’ attrazione affonda nella sua storia sentimentale segnata da un tragico quanto passionale amore adolescenziale avuto con una sua coetanea, quell’Annabelle, morta improvvisamente e, ancora una volta, casualmente, quando quell’amore era nel suo pieno svolgersi. Quell’esperienza lacerante lo segnerà e, da quel momento, egli cercherà nelle adolescenti quell’amore adolescente perduto, cercherà cioè di rivivere quell’eccitazione forte e ardente avuta con Annabelle. Nella maturità di Humbert si insedierà quindi un’immaturità irrisolta che lo bloccherà per sempre alla “fase Annabelle” e, dopo anni e anni di insignificanti amori sostitutivi con donne adulte – financo un assurdo e convenzionale matrimonio, conclusosi penosamente mentre, incessante, continua la sua attrazione senza sfogo per le “ninfette” – Humbert trova, finalmente, colei che incarnerà ai suoi occhi e ai suoi sensi, Annabelle: “Finchè, ventiquattro anni dopo, spezzai il suo incantesimo incarnandola in un’altra” e quell’ “altra” sarà appunto Dolores Haze che per Humbert Humbert diverrà, solo e sempre, la sua Lolita, quel “miscuglio di sognante puerilità e di misteriosa volgarità”.

E, a partire da questo momento, il romanzo di Nabokov diviene pienamente ciò che è: un romanzo su una grande passione amorosa, una storia a suo modo commovente e pura, pur a fronte dei suoi risvolti oggettivamente sordidi, il perseguimento ossessivo di un desiderio, tanto più foriero di sofferenza quanto più intenso quel desiderio diventerà. Perchè il personaggio di Humbert Humbert non rientra nel clichè del maniaco depravato, animato da istinti violenti, del “pedofilo” squallidamente proteso a uno sfruttamento bieco dell’ altrui corpo e dell’altrui psiche. L’ oggettiva abiezione di Humbert Humbert, di cui egli stesso è pienamente consapevole – riuscendo benissimo Nabokov a far emergere gelidamente il senso di colpa che percorre il personaggio e la sua scissione mente/corpo – è generata si da una pulsione irrefrenabile ma anche da un sentimento tanto profondo ed esclusivo, quanto disperato e distruttivo. Analogamente Lolita non è e non sarà né la ragazzina facile, consumata nel sedurre e nel farsi sedurre, né strumento passivo alla mercé di Humbert, il quale la priverà della sua libertà ma non riuscirà a privarla della sua volontà e di un potere che ella a suo modo eserciterà su di lui.

In altre parole le dinamiche vittima/carnefice sono qui assai più complesse di quello che a prima vista appare. Nonostante infatti Humbert “catturi” Lolita e la tenga con sé in quell’interminabile on the road di 43.000 km attraverso l’ America, che fa da fondale al concreto svolgersi del romanzo, egli non riuscirà mai a unire a sé Lolita, nel senso di ottenerne il suo amore, consumandosi per tutto il romanzo in quel suo tentativo di possesso, sebbene ella gli si conceda e gli conceda la parvenza della sua complicità. L’infelicità di Humbert sarà irrisolvibile e Lolita ne sarà vittima in quanto usata per la soddisfazione di un bisogno di cui ella sarà alimentatrice e, al tempo stesso, succube. In altre parole è come se i personaggi fossero per tutto il romanzo prigionieri di se stessi, tenendosi a loro volta prigionieri l’uno con l’altro. Se infatti Humbert sarà prigioniero del suo desiderio ossessivo in cui, di fatto, terrà reclusa Lolita, questa, a sua volta, sarà prigioniera del suo potere di seduzione che userà per imporsi e, al tempo stesso, per sottrarsi a Humbert.

Il tema che “occupa” il romanzo diventa quindi quello dell’ingabbiarsi e dell’essere ingabbiati, dove la vita stessa diventa una grande gabbia. Nabokov in “Lolita” attraverso le ossessioni che pervadono il romanzo crea volutamente una situazione estrema, a suo modo raccapricciante e la esaspera oltremodo così da esaltare quella condizione di incapsulamento dei personaggi, rivelando, in ultima istanza, tutta la sfuggente natura ambigua della realtà delle cose. In questo senso anche l’atmosfera che emanano le pagine di “Lolita” è in sintonia con il suo tema, in quanto tutto il romanzo è attraversato, sottotraccia, da un clima soffocante che tuttavia arriva attutito e rarefatto per effetto dell’elaboratissima prosa di Nabokov, estremamente elegante e raffinata, suasiva e accattivante, dove un disincanto amaro e malinconico è accompagnato da un’acuta e sferzante ironia e autoironia.

Anche i passaggi più crudi e crudeli si velano di una loro sarcastica e acida levità che gli toglie la loro intrinseca durezza e crea una distanza che ce li fa vivere come se li osservassimo da “fuori”. In questo senso “Lolita” è un testo per sua natura profondamente cinematografico perchè la condizione dell’osservare sia all’interno del romanzo, sia per noi lettori è fortissima. Un guardare che si fa ossessione del guardare di Humbert, intento a scrutare il suo eterno desiderio in se stesso e in Lolita: uno sguardo che tenta di trattenere ed invocare ciò che nella realtà sfugge e diventa inappagato. Un guardare che per noi lettori si fa sguardo del movimento interiore ed esteriore di un’azione solo apparentemente ripetitiva, al contrario contrassegnata dai contrasti e dal senso dell’intrigo. In questo senso “Lolita” è anche un grande romanzo di contrasti, costruito sui contrasti. Quello fra Europa e America impersonato dai tormenti e dalle introversioni di Humbert Humbert ma anche dalla sua solida e fine cultura, retaggio di quell’Europa da cui egli proviene e delle cui sensibilità è intriso a fronte di quell’edonismo alienante senza alcuna profondità di cui si nutre Lolita e in cui è immerso il mondo che la circonda, incarnazione di quell’America che spaesa e in cui Humbert e Lolita si aggireranno in uno stato e in una condizione di perenne spaesamento.

E poi tutti i contrasti in cui vive Humbert: fra autenticità dei sentimenti e anormalità dei comportamenti; fra sessualità adulta e sessualità adolescenziale; fra la potenza del suo mondo interno e l’assoluta distanza e l’assoluto isolamento dal mondo esterno; fra aspirazione all’appagamento del desiderio e irrealizzabilità di tale appagamento anche perchè esso presupporrebbe di fermare il tempo lasciando Lolita nella condizione di eterna “ninfetta” da cui il contrasto tra la persona reale Lolita e il suo “uso” strumentale e avulso dalla realtà che ne fa Humbert.

La struttura del romanzo si configura come una confessione fiume, di fatto una dolente espiazione, scritta da Humbert in quel carcere, e qui non più in senso figurato, nel quale egli è recluso a seguito dell’uccisione di Clare Quilty. Un ambiguo commediografo (autore, guarda caso, de “La piccola ninfa”) che Lolita conosceva già e che, a un certo punto, nel corso del “viaggio” con Humbert, incontra, frequenta, se ne innamora e fugge con lui, riuscendo, in tal modo, a scappare da Humbert. Ma il camaleontico Quilty si rivelerà assai peggio di Humbert, incarnando davvero l’intenzione di “sfruttare” Lolita. Passati alcuni anni Lolita, divenuta ormai precocemente adulta, si è sposata con un uomo “normale” che la ama ma il quale, per Lolita, rappresenta, più che altro, un amore “rifugio”, tanto che quell’uomo ignora il suo passato la cui ferita in lei resta e resterà aperta. Ma nonostante questo sarà ella a cercare Humbert, il quale ne aveva perso le tracce, per chiedergli di darle un aiuto materiale che sa che Humbert non gli negherà. E, in quella circostanza, gli rivelerà l’effettiva identità di Quilty rimasta, fino ad allora, ignota a Humbert. E questi come una sorta di vendicatore, essendo per lui Quilty colpevole di avergli portato via Lolita, lo scoverà e, alla fine di un memorabile dialogo dove Humbert si trasforma in una figura quasi diabolica ucciderà Quilty.

Ma questo è solo uno dei tanti snodi all’interno del romanzo che danno il senso dell’intrigo. Snodi contrassegnati da imprevisti e colpi di scena e, soprattutto, dominati dal caso, i quali fanno di “Lolita” anche un romanzo sull’imprevedibilità dell’esistenza e sul suo essere altro da quello che si vorrebbe che fosse. “Lolita”, infatti, è e resta un romanzo d’amore sull’impossibilità di realizzare l’Amore, un romanzo sull’aspirazione all’innocenza in cui si produce la più totale perdita dell’innocenza, un romanzo su una ricerca della felicità che si conclude con l’autodistruzione, un romanzo senza redenzione.

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