L’innocenza non paga perché a pagare sarà un innocente. E se ciò è già atroce di per sé lo è ancor di più laddove si espliciti l’intrinseco significato che assume qui “l’innocenza”. Perché “innocenza” qui non è solo sinonimo di non colpevolezza, non è solo una questione di verità o giustizia, né è un giudizio morale o trascendentale, è assai di più: è una questione di bontà d’animo.
Billy Budd (B.B.) paga perché è troppo bravo e troppo buono: un innocente in senso assoluto, inteso cioè nel senso etimologico di “colui che non nuoce” e quindi, come tale, predestinato a pagare, perché su questa innocenza non solo è facile accanirsi, ma può venire naturale farlo. “Che cosa infatti c’è di più misterioso che un’antipatia spontanea e profonda, quale viene suscitata in certi eccezionali mortali dal solo aspetto di un altro mortale, per quanto innocuo egli possa essere, o provocata proprio da questa stessa innocuità?”
Perché B. B. è un onesto per natura, è un puro senza avere nessuna pretesa di esserlo, è disponibile verso il prossimo per istinto, è rispettoso senza compiacimenti, si dà, anche con abnegazione, ma mai per calcolo o interesse, è aperto e leale e, soprattutto, non sa neanche cosa sia il male. Ebbene, per tutto questo B.B. verrà catturato nella morsa implacabile di un destino senza appello che lo farà colpevole di colpe non commesse, vendicatore involontario e inconsapevole di chi lo faceva oggetto di quelle colpe e per questo condannato a morte e impiccato.
B. B. non può fare niente per salvarsi giacché l’unica possibilità che ha per farlo sarebbe tradire, ma a B.B. solo l’idea ripugna, non ne sarebbe mai in grado, né possono fare niente per lui, pur avendolo fortemente voluto, quelli che potevano fare qualcosa, bloccati, a loro volta, dalle leggi umane nelle quali “l’innocenza” non è contemplata, giacché esse badano “solo alla facciata, all’ apparenza” per cui, ahimè, “l’innocenza” di Billy Budd non solo è stata fonte di istigazione contro di lui, ma è anche inutilizzabile per salvarlo perché, cosa a pensarci bene ancora più terribile, è pure bandita dalla giustizia umana, al punto che da possibile attenuante diventa, nel suo caso, un’aggravante.
Il dramma di B.B. quindi è che non solo è un “indifeso” ma è anche un “indifendibile”. Con un termine onnicomprensivo si potrebbe dire, burocraticamente e al tempo stesso con orrore, che B.B. è vittima delle circostanze. Ma queste circostanze hanno a monte, sempre e comunque, la natura di B.B. che lo predispone a subire le conseguenze di quelle circostanze.
Se Melville tende a indurci a pensare alla natura di B.B. come a quella del buon primitivo, la spaventosità che suscita la vicenda di B.B. e la sua, ancor oggi, assoluta contemporaneità è, in realtà, ascrivibile a quell’ eterno conflitto tra bene e male di cui siamo sempre partecipi. Insomma non bisogna necessariamente essere un buon primitivo per trovarsi in una vicenda alla B.B. da cui la grandezza di questo ultimo e bellissimo personaggio melvilliano.
Perché la vicenda di B.B. ci porta a riflettere sulla nostra vulnerabilità. Sul come cioè di fronte al male oggettivo e soggettivo in cui possiamo inconsapevolmente incappare e imbatterci, le conseguenze possono rivelarsi molto pericolose se, a quel male, abbiamo da offrire solo la nostra nuda bontà.