Delizioso quanto torbido, intrigante ed inquietante questo racconto di Guy de Maupassant.
Un ottimo giallo che però oltre al mirabile intreccio e sviluppo narrativo scava l’anima e nell’anima del protagonista, facendo emergere una bella serie di considerazioni ancora oggi attualissime.
Che la solitudine è una cattiva compagnia ed è, cosa a mio modo di vedere spesso sottovalutata, una delle prime cause che generano il male nei comportamenti umani.
Che i peggiori nemici di noi stessi siamo noi stessi ed è quindi prima di tutto da noi stessi che dobbiamo difenderci.
Che a tutto si può sfuggire, agli uomini, alla giustizia, a Dio, al diavolo, ma non alla nostra coscienza che è e sa essere più severa di qualsiasi altra cosa. Che anche quando siamo o sembriamo grandi e grossi, socialmente risolti, insospettabili, in realtà dentro possiamo essere molto deboli e fragili e diventare schiavi e ostaggi dei nostri peggiori istinti.
Che l’istinto a vivere è sempre più forte di quello di morire ed è forse solo per questo, aggiungo io, che viviamo. Ma che, alla fine, il caso e il destino possono determinare l’esito della nostra vita più di noi stessi e possono indurci i comportamenti più incontrollabili.