“La casa vuota” – Willem Frederik Hermans – Prima parte

Il post pubblicato quest’oggi da Marisa Salabelle sul suo blog, dal titolo “Sgomento”, a cui rimando e di cui condivido pienamente le “preoccupazioni” in merito agli atteggiamenti di assuefazione che si stanno diffondendo in relazione all’idea della guerra, mi ha indotto ad anticipare la pubblicazione del commento del romanzo breve di Willem Frederik Hermans “La casa vuota”, pubblicandone una prima parte. Ciò per la corrispondenza e la contemporaneità dei temi trattati nel libro di Hermans rispetto a quanto stiamo assistendo oggi negli scenari delle guerre in corso, a fronte degli atteggiamenti vuoi di leggerezza, vuoi di rimozione, vuoi di accettazione nei confronti della guerra che, a seconda dei casi, si stanno affermando, come evidenziato da Marisa Salabelle nel suo post.

Willem Frederik Hermans è ormai unanimemente riconosciuto come uno dei massimi scrittori olandesi del Novecento. E sebbene la sua notorietà fuori dall’Olanda sia rimasta a lungo limitata – tanto che da noi la prima traduzione e pubblicazione di una sua opera è avvenuta nel 2005 quando la BUR ha editato il romanzo breve “La casa vuota” – tuttavia la valenza e la rilevanza della sua produzione è stata ed è ormai ampiamente riconosciuta anche al di fuori dell’ Olanda essendo stati, molti dei suoi libri, tradotti in tutto il mondo. E, di recente, nel settembre del 2022, anche da noi è stato pubblicato, da Iperborea, un altro suo importante romanzo: “La camera oscura di Damocle” (1958) che insieme a “La casa vuota” (1951) e a “Le lacrime delle acacie” (1949) costituisce la triade dei suoi romanzi più famosi e conosciuti.

Ma sull’importanza di Hermans fanno testo le parole del grande scrittore, suo connazionale, Cees Noteboom che nella postfazione de “La casa vuota”, da lui scritta nel 2005, afferma che “La letteratura dei Paesi Bassi del secolo scorso sarebbe impensabile senza Hermans, mentre all’ estero, del tutto a torto, è rimasto perlopiù sconosciuto, fatto a cui, peraltro, egli stesso contribuì con il suo carattere estremamente rigido e particolare.” (C. Noteboom – “Postfazione” in W.F. Hermans – “La casa vuota” – BUR – 2005 – p.72) Hermans si è infatti sempre opposto, sia nella vita che nelle sue opere, a tutto ciò che avesse a che vedere con l’autorità e con l’autoritarismo, demistificando qualsiasi tipo di retorica e denudando le ipocrisie e le miserie prodotte dal senso comune. Ciò gli ha attirato critiche e ostracismi di vario tipo, suscitando spesso, con le sue posizioni e con i suoi scritti, reazioni scandalizzate. E questo, soprattutto, in relazione a quello che è stato, nella sua vita e nelle sue opere, il tema per lui più determinante e cruciale e cioè quello della guerra con tutte le sue atrocità. Non a caso i suoi tre romanzi più importanti, prima citati, hanno come tema centrale proprio quello della guerra.

E quanto questo tema sia stato importante per Hermans, assumendo nella sua vita risvolti traumatici, è, in primo luogo, la sua biografia ad attestarlo, in quanto nel 1940, quando egli aveva 19 anni (era nato nel 1921 ad Amsterdam), la sorella Cory, ventunenne, si suicidò “…proprio nel giorno dell’invasione dell’Olanda da parte dei nazisti e proprio per il terrore del futuro”. (Guido De Franceschi – ”Hermans racconta la guerra, libero da negazionismo e antisemitismo” – articolo pubblicato l’ 1.10.2022 su “Il Foglio”). E “Questa tragedia privata e quella più grande della guerra lo segnarono profondamente.” (“Cronologia” in W.F. Hermans – “La casa vuota” – p. 83).

Anche perché egli “…fu testimone di tutta la guerra e dell’occupazione dei Paesi Bassi, dal principio alla fine.” (C. Noteboom, cit., p. 76) e, in tale contesto, si manifestò, molto presto, la sua oppositività, coraggiosa e senza mezzi termini, allorquando nel 1943 “E’ costretto a interrompere gli studi perché si rifiuta di firmare la dichiarazione di lealtà ai tedeschi richiesta per frequentare l’università” (“Cronologia” cit., p. 84).

Hermans maturò quindi un vissuto totalmente disincantato e intransigente che lo portò a sviluppare una visione dell’esistenza e del mondo inconciliabile e implacabile, tanto che, osserva Noteboom, “L’espressione universo sadico, che aleggia su tutta la sua opera come una nuvola, era il titolo di un suo saggio del 1951, riscritto nel 1961, dal quale emerge molto chiaramente con che genere di autore abbiamo a che fare: “Ma anche in un mondo senza guerra e senza fascismo, ogni anno milioni di persone muoiono in modo miserabile senza che nessuno apra bocca. Dei milioni di persone costretti a continuare a vivere in modo miserabile, tutt’ al più ogni tanto si parla per luoghi comuni, perché tanto, finché stiamo meglio di loro, di norma non ci interessano.”” (C. Noteboom, cit., pp. 74,75)

E basterebbero da sole queste parole di Hermans a testimoniare l’incredibile contemporaneità di questo scrittore che, pur avendo ben chiaro dove si annidava il male, tuttavia aveva altrettanto chiaro quale fosse la natura profonda della natura umana e cioè “... che alla fine gli esseri umani sono una porcheria da entrambi i lati della barricata e che la guerra non fa altro che far emergere questa verità con abbacinante evidenza – non si sente però mai…il tanfo del negazionismo: non si vedono trasudare dei collosi “sono tutti uguali” e non si avverte mai l’infiltrazione di umori tossici come l’antisemitismo di un…Louis-Ferdinand Céline. Si sente piuttosto, applicata a uno stile di scrittura del tutto diverso e calata nel periodo della Seconda guerra mondiale, l’implacabilità antiretorica e antipatriottica di un Thomas Bernhard che, quando accusava di nazismo i tre quarti abbondanti dell’Austria democratica del Dopoguerra, non si sognava certo con questo di diluire…le responsabilità e gli orrori dei nazisti, quelli veri, che marciavano attraverso Vienna nel 1938. E dell’austriaco Bernhard (che era nato anche lui in Olanda, ma soltanto per puro caso) Hermans aveva anche la stoffa di polemista fiammeggiante…Già all’indomani della guerra lo scrittore olandese squarciò con scandalo la grancassa retorica della Resistenza del suo paese, [proprio con “La casa vuota”. E, nello stesso anno,]…colpì l’ipocrisia colonialista dei Paesi Bassi, mettendola a nudo in un romanzo dal titolo esplicito: “Io ho sempre ragione”. (G. De Franceschi – cit.)

Ma anche su altri aspetti si rilevano singolari analogie con Bernhard. Un’altra è quella nei confronti dei premi letterari, vituperati da Bernhard – si legga in tal senso quel suo libello crudele e divertentissimo contro i premi letterari e l’ambiente di coloro che li popolano dal titolo “I miei premi” – e altrettanto vituperati da Hermans. Nel 1971 infatti Hermans “Ottiene il prestigioso premio letterario olandese P.C. Hoofprijs e si rifiuta polemicamente di ritirarlo. In seguito rifiuterà anche altri premi in segno di disprezzo nei confronti dei rappresentanti ufficiali del mondo letterario olandese.” (“Cronologia” cit., p. 87).

Un’altra ancor più significativa analogia è quella relativa all’ atteggiamento di ostilità nutrito verso il proprio paese, che Bernhard detestava così come Hermans detestò il suo. Nel 1973 Hermans infatti lascia l’università di Groninga, dove insegnava dal 1952, in aperto conflitto con le locali istituzioni universitarie essendo stata messa in dubbio la sua professionalità di docente. Conflitto del quale ne discuterà addirittura il Parlamento olandese. E, nello stesso anno, insofferente nei confronti del suo Paese, da lui definito “troppo piccolo per significare qualcosa”, lascia l’Olanda e si trasferisce con la famiglia a Parigi dove risiederà per gran parte del resto della sua vita, continuando a mantenere le distanze dal suo Paese. Anche in questo, quindi, simile a Bernhard che, pur non avendo mai lasciato l’ Austria, la disprezzò sempre al punto, come è noto, di disporre, prima della sua morte, il divieto assoluto di pubblicare e rappresentare le sue opere in Austria.

Ed Hermans condivide con Bernhard anche le cause che ne determineranno la morte. Egli morì infatti il 27 aprile del 1995 all’ospedale di Utrecht durante un intervento chirurgico ai polmoni, avendo sofferto, tutta la vita, così come era accaduto a Bernhard, di gravi problemi polmonari. Hermans da ragazzo era stato infatti colpito da una forte pleurite che lo costrinse a letto per diversi mesi. Laddove anche Bernhard che soffrì, sin da giovane, di tubercolosi fu a lungo ricoverato in un sanatorio ed anche la sua morte avvenne in conseguenza di quella sua malattia che lo afflisse per tutta la vita.

Ma al di là degli aspetti biografici e caratteriali ad accomunare Hermans a Bernhard è quel loro porsi sistematicamente in contrasto, nella vita come nelle loro opere, nei confronti di qualsiasi rassicurante e accomodante visione dell’esistenza. E’ quella ricerca di verità portata all’ estremo. E’ quel non arretrare di fronte alla spietatezza e alla follia insite nella natura umana di cui la guerra, ci dice Hermans, ne è la sua massima manifestazione. E, in questo, c’è, in Hermans come in Bernhard, un profondo radicamento etico, un sentire in chiave morale che non prevede compromessi, un continuo e spietato esercizio di coraggio volto a distruggere le false immagini del mondo e a mostracene, del mondo, gli orrori e le brutalità.

E sicuramente lo specifico di Hermans, cioè la guerra, gli consente, in modo impietoso, in quanto proprio privo di pietà, di far luce su quella crudeltà e bestialità di cui gli esseri umani sanno essere capaci. Ed è infatti proprio questo il leitmotiv de “La casa vuota”. Come scrive infatti Cees Noteboom, “L’assurdità, la crudeltà e l’inutilità della guerra nei suoi libri s’ intrecciano in un crescendo di tensione cui né i protagonisti né i lettori riescono a sottrarsi. Hermans descrisse con stile nitidissimo e inesorabile non già gli aspetti eroici di quei giorni, ma, del tutto contro il sentimento all’epoca imperante nei Paesi Bassi, sottolineò piuttosto l’insensatezza, l’improvvisazione e le azioni inutili degli uomini in quello che definiva un universo sadico, il caos nel quale la vita umana piomba quando viene spezzata quella parvenza di ordine che è la civiltà.” (C. Noteboom, cit., p. 74)

Se si considera infatti lo svolgersi degli avvenimenti narrati ne “La casa vuota” siamo via via coinvolti in una spirale di azioni, violente e brutali, delle quali colpisce, più ancora della loro ferocia, la loro terribile assurdità. Che richiama effettivamente l’idea di sadismo per come gli agiti vengono mesi in atto, in quanto spogliati di qualsiasi pathos emotivo e generati in modo algido e spietato, senza che i relativi autori ne siano turbati, specchio, in tal senso, di una umanità ormai priva di qualsiasi possibile riscatto in quanto bestializzata dalla guerra.

Perché qui non siamo di fronte a manifestazioni patologiche di singoli individui, ma di fronte a comportamenti individuali e collettivi di vari individui accomunati da una disumanità impersonale e cieca che si esprime come pulsione e che prescinde dal “fronte” a cui essi appartengono. Essa va perciò riferita al manifestarsi dell’umano in sé, a ciò che di più oscuro e primordiale si annida nella natura umana, essendo deideologizzata e collegata a reazioni e riflessi che hanno in sé i caratteri primitivi della barbarie, dell’homo homini lupus, della sopraffazione come mezzo di soluzione e salvazione.

Tanto più che oggetto de “La casa vuota” non sono eventi bellici, azioni militari, scenari di combattimenti o di deportazioni, bensì un susseguirsi agghiacciante e alla fine parossistico di uccisioni e di accanimenti – non a caso Noteboom, a proposito del finale de “La casa vuota“, parla di “…un’apoteosi di crudeltà assurda, che non conosce pari nella letteratura” (C. Noteboom, cit., p. 80) – perpetrati all’ interno di una villetta disabitata, appunto “la casa vuota”, da coloro che, a vario titolo, in qualità di combattenti vi metteranno piede. Dove ad essere le vittime di quelle uccisioni saranno dei civili del tutto estranei ed un ufficiale tedesco, mentre a commettere le uccisioni saranno, a livello individuale e di gruppo, appartenenti a bande partigiane.

Lontano quindi da qualsiasi classica ambientazione da episodio di lotta partigiana, Hermans crea all’interno de “la casa vuota” una sorta di set in cui personaggi ed eventi appaiono sfuggenti e anomali, distanti da ruoli e cliché tradizionalmente condivisi che consentono di distinguere nitidamente bene e male, giustizia e ingiustizia, dominando invece, sulla ragione e su qualsiasi barlume di umanità, il sordo richiamo degli istinti. A loro volta i fatti narrati sono decontestualizzati da qualsiasi preciso riferimento fisico e temporale che consenta di fissare il dove e il quando potrebbero essere avvenuti, “Non è chiaro” – afferma infatti Noteboom – “dove esattamente si svolga la storia…il luogo sembra più che altro una sorta di Terra di Nessuno, una striscia di terra tra i fronti in cui vige l’assenza di ogni diritto, e che cade di volta in volta nelle mani dei tedeschi, dei russi e dei partigiani”(C. Noteboom, cit., p. 79). E solo in modo del tutto indiretto si deduce che i fatti narrati si svolgono nel 1944 senza però poter disporre, in tal senso, di alcun ulteriore specifico riferimento.

E tale sfuggevolezza attiene anche ai personaggi, a cominciare dal protagonista nonché io narrante, mai nominato, di cui sappiamo assai poco se non che è un olandese fuggito da un lager che combatte in una banda partigiana.

A seguire un più articolato commento su “La casa vuota”.

4 risposte a "“La casa vuota” – Willem Frederik Hermans – Prima parte"

  1. crisbiecoach 14 aprile 2024 / 19:09

    non so se avrò il coraggio di leggere il commento più articolato, l’impressione che ho ricavato da questo è allucinante perché riflette purtroppo la società attuale che in realtà non è mai evoluta rispetto alla tematica della guerra. Per non parlare degli occhi chiusi rispetto a quelle persone che vivono in condizioni disperate anche sotto le nostre case.

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    • ilcollezionistadiletture 14 aprile 2024 / 19:29

      Ti capisco, ma è proprio per i motivi che dici tu che Hermans si rivela uno scrittore lucido e moderno capace come egli è stato di cogliere quei meccanismi umani profondi che ci fanno orrore, ma che, ancora adesso, stiamo vedendo agire. Non a caso di lui si è detto che flagellava i suoi lettori con la verità.

      Grazie della visita e un carissimo saluto.

      Raffaele

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  2. marisasalabelle 1 Maggio 2024 / 20:54

    Era qualche giorno che non visitavo il tuo blog, caro collezionista di letture, e non mi ero accorta di essere stata citata da te… non conosco Hermans, ma mi informerò su di lui; conosco invece, per aver letto alcuni dei suoi libri, Cees Nooteboom, che apprezzo moltissimo. Voglio confermarti che continuo a provare lo stesso sgomento di cui parlavo due settimane fa…

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    • ilcollezionistadiletture 2 Maggio 2024 / 7:39

      Grazie Marisa della visita.

      Si, quella “preoccupazione” e quello sgomento restano purtroppo ancora molto reali. Hermans l’ ho scoperto per caso molto di recente, fino a poco tempo fa non ne sapevo niente neanche io. Sicuramente merita attenzione.

      Di Noteboom avevo letto “Il canto dell’ essere e dell’ apparire” che avevo apprezzato molto.

      Grazie ancora della visita e a presto.

      Raffaele

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