Se è vero che narrare è viaggiare, Celati, in Verso la foce, ci dà anche l’altra possibilità insita in questa affermazione e cioè fare del viaggiare un narrare. Un narrare che si forma e prende vita dentro lo sguardo che Celati posa sulle cose che egli, nel suo viaggio, vede ed incontra. Il viaggio fisico che si svolge in Verso la foce e che egli ci narra diventa così un viaggio visivo attraverso il quale Celati ci racconta le evocazioni che quelle cose gli destano, il senso o non senso che gli suscitano, le emozioni che gli provocano. Le descrizioni e riflessioni che ne derivano, e che si alternano di continuo, diventano perciò l’esito del procedere di Celati verso quella meta: la foce del Po, che egli raggiungerà, attraverso tappe distinte e distanti, seguendo il corso del fiume. Sarà quello di Celati un errare che lo porterà ad attraversare, per lo più a piedi, luoghi, spazi, ambienti di quella “valle padana” nella quale ad una natura sottomessa dall’uomo fa da corollario una presenza umana sempre più dissociata che a Celati si rivelerà come “…l’attraversamento d’ una specie di deserto di solitudine, che però è anche la vita normale di tutti i giorni”. Segnale di una deriva già incubata in quella realtà, che le “apparenze” materiali camuffano e riempiono. Epifanie di futuro che Celati già avverte ed anticipa.