“Troppo buoni con le donne” è uno dei due “romanzi irlandesi” scritti da Queneau, l’altro è “Il diario intimo di Sally Mara”, che sono, entrambi, un omaggio a James Joyce, da Queneau profondamente ammirato. Ambientato a Dublino durante un moto insurrezionale del 1916 “Troppo buoni con le donne” è una farsa comico-erotica, che si legge d’un fiato. La vicenda sottilmente misogina e a luci rosse produce uno sconcertante straniamento in quanto ribalta il cliché dei rivoltosi eroicamente dediti alla loro causa i quali saranno resi imbelli da una spregiudicata quanto “ardita”, in tutti i sensi, signorina inglese che, con il suo sex-appeal straripante, li “smonterà” da tutti i punti di vista. Ironia e sarcasmo sopraffini, capacità allusive, uso della metafora, linguaggio crepitante, battute fulminanti e una Dublino da operetta fanno di “Troppo buoni con le donne” uno dei romanzi più divertenti di Queneau.
Volendo sintetizzare in una parola ciò che accade in “Troppo buoni con le donne” e quale effetto produce la sua lettura la parola più appropriata è senza dubbio spiazzamento. Tutto in “Troppo buoni con le donne” fuoriesce infatti dai canoni e dalle consuetudini di ciò che, in una situazione come quella narrata, dovrebbe accadere e si muta in una sua felice e studiata parodia. Una parodia incessante che travolge tutto, dall’inizio alla fine, rendendo anche questo romanzo un’ennesima dimostrazione delle incontenibili capacità dissacratorie e delle funamboliche invenzioni stilistiche di Queneau.
Non a caso “Troppo buoni con le donne” uscì lo stesso anno, il 1947, di “Esercizi di stile” che è e resta una delle vette dell’opera di Queneau. E se “Esercizi di stile” è una vera e propria esercitazione di come raccontare in novantanove modi diversi un breve episodio, in sé banale, mutandone caleidoscopicamente lo stile in tutta una serie di varianti con effetti a dir poco pirotecnici, “Troppo buoni con le donne” è anch’esso, a suo modo, un’esercitazione. E cioè come togliere a una storia in sé drammatica e realistica lo stile ad essa corrispondente e trasformarla nel suo opposto cioè in una commedia, scrivendola nello stile di un romanzo d’azione comico.
“Troppo buoni con le donne” è infatti una storia cruenta, violenza e sangue non mancano. Ma tutto avviene in un modo così folle, assurdo, potremmo persino dire “inattendibile” che nonostante gli spargimenti di sangue tutto finisce per produrre un irresistibile effetto esilarante, dove a prendere il sopravvento è un senso del ridicolo cinico e sfrontato in quanto, sebbene tutti prendano tutto sul serio, nulla di ciò che accade sembra davvero serio. Perché Queneau è un pigliaingiro e uno sbeffeggiatore che smantella luoghi comuni, moralismi, pregiudizi, retoriche, false verità senza avere pietà per nessuno, operando una sorta di “sdrammatizzazione” del mondo che ci fa vedere tutto il ridicolo che c’è nel mondo.
E qui a finire nel mirino di Queneau è l’idea di “purezza” in tutte le sue forme e facce. Dalla purezza degli ideali e dell’eroismo a quella della verginità, da quella del gentil sesso a quella dell’uomo tutto d’un pezzo, da quella della fedeltà a quella dell’amore. Infatti quelli che dovevano essere i duri e puri finiranno “fatti” (in tutti i sensi) con buona pace della loro “morale” e del loro orgoglio maschile e chi si sarebbe dovuta mantenere casta e pura, senza concedersi in alcun modo al proprio nemico, se ne sbatterà con buona pace sia del suo amor di patria che del suo “grande” amore.
Le vicende narrate da Queneau sono ambientate nella Dublino del 1916 durante la cosiddetta Easter Rising la sollevazione avvenuta nella Pasqua di quell’anno, passata appunto alla Storia con quel nome, quando gli Indipendentisti dell’ Esercito Repubblicano Irlandese misero in atto un’insurrezione con lo scopo di ottenere l’indipendenza dal Regno Unito e creare una Repubblica di Irlanda. Un’ insurrezione – così come la racconta Queneau – basata sulla occupazione da parte degli Indipendentisti di una serie di punti strategici della città tra cui l’Ufficio Postale “che fa angolo con Sackville Street e Eden Quay” che viene occupato da un commando di sette insorti che più che scelti si potrebbero definire assortiti.
Sin dall’inizio la situazione si presenta farsesca. I nostri eroi irrompono nel Post Office più come se stessero facendo una rapina in banca che un’azione rivoluzionaria. Fanno fuori più per puntiglio, che per effettiva necessità, prima l’usciere, poi il direttore colpevoli di avere lanciato qualche motto realista. E così verrebbe da dire, pensando alle posizioni occupate dai due malcapitati, che la storia è da subito una storia senza “capo” né “coda”. E dopo aver fatto sfollare impiegate e telegrafisti al grido della parola d’ordine “Finnegans Wake” – evidente omaggio a James Joyce, non solo per la ripresa del titolo dell’omonimo romanzo di Joyce ma, più in generale, per il richiamo allo stile eroicomico adoperato nella sua opera da Joyce che anche Queneau qui utilizza, ovviamente a modo suo – gli insorti si appostano a “difesa” dell’ Ufficio occupato, convinti di avere, al suo interno, la situazione ormai in pugno. Ma non è così.
Mai infatti potevano immaginare che la piuttosto stolida, bella e vanitosa Gertie Girdle, impiegata addetta alle raccomandate, inglese purosangue, nel momento dell’ irruzione si era chiusa nel cesso pensando agli affari suoi e al suo diletto fidanzato il Commodoro Cartwright, concentrata, si fa per dire, in un monologo interiore alla Molly Bloom. E sebbene avverta uno sparo e gli venga da pensare che sia stato il direttore che si è ammazzato per amore di lei che non lo ama, per precauzione resta chiusa nel cesso e nel monologo interiore, finché uno dei nostri rivoluzionari che non sa leggere e ha giusto bisogno del bagno cerca di aprire la porta con su scritto “signore”. Non aprendosi ne deduce che qualcuno possa essersi chiuso lì dentro e infatti.
Catturata Gertie si decide di interrogarla. Solo che Gertie lungi dall’apparire fragile e indifesa si rivela da subito un osso duro: “…li guardava impavida” e, soprattutto, getta scompiglio fra le fila di quei prodi e rudi presi alla sprovvista dalla sua bella presenza carica di seduzione: “…le labbra prive di rossetto, ma mordicchiate, tracciavano le due spesse curve della propria sensualità. Gli occhi azzurri, duri. Il naso dritto, senza un fremito.” Insomma “la prigioniera” è un bell’intralcio per gli occupanti i quali escono dall’interrogatorio ancor più frastornati e scombussolati sia perché Gertie sveglia i “riflessi primitivi” dei nostri, impreparati a gestire quel tipo di situazione e a gestirsi in quel tipo di situazione, poi perché li spiazza sul loro terreno, in quanto scoprono che non è neppure protestante, il che l’avrebbe fatta rientrare chiaramente e a pieno titolo fra gli odiati nemici, bensì si professa “agnostica”, cosa che ai più, fra i presenti, appare nient’altro che una parola nuova. L’interrogatorio si chiude con un’ultima perla e cioè con Gertie che si chiude in un orgoglioso silenzio: “- Non ho altro da dire che: Dio salvi il nostro Re!” e uno dei nostri che, perplesso, osserva: “- Ma se lei non crede in Dio. Da chi sarà salvato?”
E così schiacciati fra il non dare spazio a manifestazioni che possano mettere a repentaglio il loro onore di rivoluzionari e di uomini: “Noi siamo degli insorti! – urlò Mac Cormack [che è il capo] – Ma corretti in ogni caso. Corretti soprattutto con le signore!” e il portare a termine l’eroica missione senza esserne distolti, decidono, non senza discussioni, di mettere Gertie in una stanzetta del Post Office con uno di loro di guardia fuori. Intanto Gertie ha già fatto breccia nel cuore di uno dei nostri eroi, ma questo è niente, perché più che i sentimenti Gertie, ai nostri eroi, ne sovvertirà i sensi, finendo per diventare una sorta di fronte interno mentre, intanto, gli inglesi, che si sono organizzati per sedare la sommossa, avanzano, costituendo il fronte esterno.
Infatti, circondato l’edificio, i britannici cominciano a sparare fitto e i nostri a rispondere colpo su colpo, ed è in quel frangente che avviene il primo cedimento ma non su quel fronte lì, bensì sull’altro, quello interno. Animoso di dare il suo contributo alla causa e stufo di stare lì fuori a fare il carceriere, Callinan, che è quello messo a fare la guardia a Gertie, decide di entrare nella stanzetta per vedere, da lì, che cosa stava succedendo fuori. Ma quella decisione sarà fatale per Callinan perché si troverà ad essere travolto da un totale sovvertimento dei sensi. Gertie infatti con vogliosa innocenza e con spudorata malizia lo sedurrà, perché, in fondo, per Gertie, quegli insorti sebbene “bifolchi…erano piuttosto dei begli uomini”.
E, tralasciata ogni considerazione sul proprio dovere e sulla famosa correttezza da tenere con le signore – nonché riguardo alla “…verginità della marmocchia” – Callinan “…si consacrò senza altra riserva all’attività sessuale scatenata dalle provocazioni della giovane impiegata del Post Office”.
Gertie insomma prima con le parole poi con la carne manda in tilt i nostri eroi rivelandosi sia con l’armamentario dialettico che con il sex-appeal capace di tenere loro testa, finendo per risvegliargli pensieri e azioni che nulla hanno a che fare con i motivi per cui avevano preso quell’ Ufficio Postale. Irriducibile nelle sue convinzioni ma anche nelle sue azioni, Gertie metterà in crisi i vissuti che, sino a quel momento, i nostri eroi avevano delle donne, incrinando le loro fermezze virili e militaresche e facendo scoprire loro sfere dei sensi fin lì sconosciute. Gertie, a sua volta, perduto nella circostanza il proprio “pulzellaggio”, ha scoperto i, fino a quel momento per lei ignorati, piaceri del sesso e ci ha preso gusto e così si dedicherà anche ad altri rivoluzionari, compiendo, attraverso di loro, un completo apprendistato erotico.
Nel frattempo, neanche a farlo apposta, il Commodoro Cartwright nonché fidanzato di Gertie che è in navigazione da quelle parti con la sua nave da guerra riceve un dispaccio che nell’informarlo dell’insurrezione in corso a Dublino gli ordina altresì di risalire la Liffey, il fiume “simbolo” di Dublino, e di bombardare diversi punti, e, in particolare l’ Ufficio Postale che fa angolo con Eden Quay, si proprio quello: “Sul cassero, qualche istante dopo, Cartwright aveva il cuore grosso, un nodo alla gola, lo stomaco vuoto, la saliva scarsa e l’occhio fisso…Cartwright si mise a pensare alla sua dolce fidanzata Gertie Girdle, signorina delle Poste a Dublino. Eden Quay”. Ma Gertie, adesso, è in tutt’altre faccende affaccendata e al Commodoro Cartwright non ci pensa proprio.
Ma così come il Commodoro non si immagina Gertie che si priva così bellamente della sua “purezza”, anche tra i nostri guerriglieri ce ne sono ancora di convinti che non solo Gertie sia ancora pura ma che tale resterà, dando per certo che la integerrimità dei costumi e il dominio delle pulsioni tra i nostri prevarranno:”Non le faranno niente a sta figlia, sono cavallereschi tutti…Naturale che sono al supplizio, ma non oserebbero mai. Uscirà pura dalle loro mani”, dice Dillon – uno dei nostri, nonché sarto, nonché omosex – al suo compagno, in tutti i sensi, Kelleher.
In realtà quelli fra i nostri, coinvolti con Gertie, cominciano, tra di loro, prima a sospettare l’uno dell’altro, poi, in alcuni casi, a “constatare” di persona. Ma, tuttavia, fanno finta di niente, anzi arrivano pure a “coprirsi” tra loro, negando l’evidenza. Insomma la cosa non viene pubblicamente “condivisa”. Intanto il Commodoro, suo malgrado ligio agli ordini, ha cominciato a lanciare bombe sull’ edificio di Eden Quay che, tra l’altro, per sua somma disdetta, è l’ultimo rimasto ancora in mano agli insorti e, sebbene bombardi maldestramente l’obiettivo nella speranza di risparmiare la fidanzata, centra in pieno Caffrey, uno dei nostri, proprio mentre si sta intrattenendo con Gertie, facendogli letteralmente saltare la testa: “…la specie di manichino decerebrato che la cavalcava ancora finì col perdere lo slancio, smise di dimenarsi, e si afflosciò…” mentre ”…Gertie, urlando, si svincolò e quel che restava di Caffrey cadde senza grazia sul pavimento.”
Ormai alle strette per quanto riguarda l’assedio e pronti a morire da eroi ai nostri resta solo da decidere cosa fare con Gertie: restituirla o no ai britannici prima dell’assalto finale ? Ma per farlo bisogna essere sicuri che Gertie non getti in alcun modo discredito su di loro: “…mica che possa poi dire delle cose spiacevoli sul nostro conto. Anzi, è necessario per la nostra causa che riconosca il nostro eroismo e la purezza dei nostri costumi…” afferma convintamente MacCormack, il quale ha la coscienza sporca perché sa che non è stato “corretto” con Gertie, “- O meglio, bisogna dire il vero della cosa, è lei che non è stata corretta con me.” precisa MacCormack. Dato che precedentemente mentre infuriavano gli scontri, ha “subito”, non visto, un rapporto orale, che però non sa nominare, né si azzarda a descrivere e così lo derubrica alla categoria dei trucchi: “E’ un trucco che posso mica darci particolari sopra. E’ un trucco che avevo mai visto. Cosa fatta. Ma, ve lo ripeto non c’è traccia.”
E, a quel punto chi ha visto fare delle cose con Gertie o ha fatto delle cose con Gertie le dirà. Soprattutto Callinan la cui confessione shock è totale, compresi pentimento e dissociazione finale: “- Compagni, – gemeva, – amici, è lei che mi ha posseduto. Ha sorpreso la mia buona fede; sono una vittima…l’Inglesa ha avuto solo la pelle di fuori. La mia anima è rimasta innocente, solo il mio corpo è insozzato”. E mentre Callinan, come esaltato, si lascia andare a particolari di vario genere, dando prove e prova del misfatto, Larry O’Rourke, che è il vicecapo ma, soprattutto, è quello che si era innamorato di Gertie, ma che nulla con lei aveva fatto, sprofonda, con il cuore spezzato, nei più cupi tormenti: “ Si sentiva all’inferno. Avrebbe proprio voluto piangere come un marmocchio; ma il suo ruolo di sottocapo di un gruppo di insorti al crepuscolo di una ribellione fallita gli impediva le lacrime dell’infanzia”. E mentre l’illuso O’Rourke tenta in extremis una patetica quanto penosa avance nei confronti di Gertie, questa “…prevenne ogni privatezza ulteriore e gli distrusse le illusioni. O’Rourke fece uno zompo indietro cacciando un urlo di dolore”.
E così i nostri eroi usciranno sconfitti sul fronte interno con Gertie che li ha tenuti alla sua mercé, rivelandosi padrona delle sue scelte, facendo fare ai maschietti una misera figura, mettendo a nudo Queneau, tramite Gertie, la loro misoginia. Non un romanzo misogino quindi “Troppo buoni con le donne” ma un romanzo sulla misoginia, dove lo stereotipo della donna oggetto di piacere, strega e rompiscatole viene “usato” da Queneau per farci vedere quanto esso “appartenga” agli uomini che, alla fine, è a quello che si aggrappano per salvarsi onore e coscienza. Ma i nostri eroi saranno definitivamente sconfitti anche sul fronte esterno, dato che il Commodoro deciso a farla finita con quell’ultima sacca di ribellione, centra ripetutamente l’ ufficio della posta di Eden Quay con la conseguenza che “Il pavimento era cosparso di cadaveri”, ma anche con sopra dei superstiti cioè la coppia di ribelli omosex: il sarto Dillon e il suo amasio Kelleher, nonché Gertie.
Ma Dillon è anche il sarto di Gertie e gli ha cucito il suo abito da sposa e dopo essersi riconosciuti Dillon, richiesto da Gertie di procurargli un vestito, visto che tra una bomba e l’altra è rimasta ormai nuda, è andato a prendergli, con sprezzo del pericolo, giusto quello nuziale, suscitando la gioiosa sorpresa di Gertie e una momentanea riconciliazione tra le parti. Ma durerà poco, anche ai nostri ultimi due eroi Gertie farà andare il sangue al cervello, incalzandoli a modo suo: “- Siete annientati. State per morire”, mentre loro la incalzano a loro volta di non raccontare nulla e di non infangare la memoria dei compagni morti. E i due, come mossi da una sadica vendetta finale, al culmine della follia loro e di tutta la situazione la sodomizzano al grido di “Finnegans wake” con Gertie oltremodo inviperita per quell’ultimo atto “illegittimo”.
Così quando sbarca il Commodoro Cartwright e Gertie, con stupore del Commodoro, lo accoglie in verginale abito da sposa, alla domanda che lui gli rivolge: “- Cara, scusa se ti faccio questa domanda, ma i ribelli, sono stati…come dire…corretti con te?”, lei risponderà “- No, – disse Gertie. – Hanno voluto ad ogni costo sollevarmi il mio bell’abito bianco per guardarmi le caviglie” E, dato quel “gesto immondo”, così come lo definirà il Commodoro, che li condanna a morire “…come cani, con la coscienza sporca e gonfia di disperazione”, sempre parole del Commodoro, i nostri verranno fucilati sul posto. Ma prima di morire, richiesti di dire qualcosa, mentre Gertie, da dietro le spalle di Cartwright, guardandoli gli tirava fuori la lingua, pronunceranno la loro sentenza conclusiva: “- Si è sempre troppo buoni con le donne”.
Ho modificato un post dove c’era un suo commento che purtroppo non trovo più, mi scuso.
Un saluto t
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Non si preoccupi. Comunque grazie.
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