Per spiegarmi il Pavese di “Feria d’agosto” ho trovato utile adoperare come riferimento il cinema italiano anni 40/50. La lettura di Feria d’agosto mi ha infatti evocato atmosfere e dimensioni che rimandano all’ immaginario e alla visività che venivano suscitate, nel cinema di quegli anni, dalla cinematografia riconducibile al cosiddetto neorealismo.
Vi è infatti in queste pagine pavesiane quella stessa fisicità, materialità e passionalità che c’erano nei film di De Sica, Rossellini, Antonioni, Visconti, ecc, quegli stessi squarci struggenti e dolorosi, quelle stesse ambientazioni popolari proletarie e contadine, sia che si ‘parli dei racconti ambientati nella natia campagna di Pavese identificabile in larga misura con la Langa, sia che si parli di quelli ambientati in città, identificabile in larga misura con Torino. In questo senso si può quindi definire Pavese un contemporaneo del Neorealismo, avendo peraltro egli prodotto il “grosso” della sua opera proprio nel decennio dei ’40, allorquando il Neorealismo si afferma.
Ma se il neorealismo conteneva in sé un forte elemento di denuncia sociale e di impegno civile e politico, metteva a fuoco soprattutto la situazione economica e morale del dopoguerra italiano, e rifletteva i cambiamenti nei sentimenti e e nelle condizioni di vita: speranza, riscatto, desiderio di lasciarsi il passato alle spalle e di cominciare una nuova vita, in Pavese e in questi racconti in particolare, questi aspetti sono del tutto assenti. Quella apparente vicinanza al neorealismo di fatto si dilegua, segnando ciò una profonda differenza ed anzi ponendo Pavese oltre il neorealismo stesso.
Vi è infatti in Pavese e “Feria d’agosto” lo testimonia bene, una carica emotiva e sentimentale che va oltre qualsiasi questione ideologica o politico sociale. Possono essere analoghe al neorealismo le ambientazioni e i pathos ma non il senso profondo a cui si mira con ciò che si dice e si racconta, in altre parole la matrice che genera la narrazione. Pavese è, in modo del tutto evidente, interessato alle interiorizzazioni che le vicende che egli narra implicano, sia in quanto vissute e riferite ai personaggi delle sue storie, sia in quanto suscitate e indotte nel lettore. In Pavese i veri temi sono la malinconia, il rimpianto, le disillusioni, la perdita, il desiderio infranto di fuga e di libertà, la giovinezza con i suoi scacchi, il selvaggio e l’ancestrale, l’amore come sconfitta, la tragicità e le tragedie che la vita porta con sé.
Pavese nel superare l’impostazione classica neorealistica si colloca in una dimensione che resta assi più contemporanea ed universale, alludendo e lavorando a quel mondo degli affetti le cui vulnerabilità persistono a prescindere dal tempo e dallo spazio perché connaturate alla natura umana. Siamo quindi in una dimensione squisitamente esistenziale, che va oltre la storia e le volontà individuali, alla ricerca delle ragioni ultime del vivere e del morire, codificate poi com’è noto nel concetto pavesiano di Mito, alla ricerca casomai di archetipi che rimandano più all’ antropologia e all’ etnografia.
Le “storie” narrate in “Feria d’agosto” contengono quindi “in nuce” tutti i temi tipicamente pavesiani. Stilisticamente, data la loro brevità, hanno il pregio dell’immediatezza e dell’essenzialità, sono come dei cortometraggi forti e a loro modo talora persino brutali e inesorabili nel loro svolgimento e nella loro conclusione. Vi è però sempre questo lirismo e questa poeticità nel dire e nel raccontare che attutisce la violenza, la stempera e la umanizza.
Gli avvenimenti sembrano sempre inscritti in un loro destino, già stabilito da qualche parte, e nulla alla fine sembra accadere per caso. E, in questo senso, portando alle estreme conseguenze la lettura del non conformismo di Pavese al Neorealismo, si percepisce in Pavese una vena metafisica che riesce, sistematicamente, a tradurre in astrazione poetica, fissandola simbolicamente, quella concretezza materiale e fisica di cui è fatto il suo narrare.