“Poema a fumetti” – Dino Buzzati

Pur nel clima crepuscolare ed orfeiano, pur nel suo figurativismo metafisico ed esistenzialista, pur nelle tenebrosità gotiche e surrealiste, pur nelle cupezze favolistiche e pseudoingenue, pur nelle irragiugibilità, emananti desiderio, di quei corpi femminili nudi nelle loro rotondità sensuali, pur nelle amare descrizioni di ciò che ci aspetta a ricordarci ciò che abbiamo (poco ma meglio che il nulla) “Poema a fumetti” si libra leggero, portato in alto dalle ali, una volta tanto legittime e degne, del piacere, inteso come il piacere dell’artista il quale prova e ci fa provare piacere.

E’ vero “scrivere è anche un piacere, ma per caso. Non si scrive per provare piacere” come ha scritto Anna Maria Ortese (“Da Moby Dick all’Orsa Bianca” – Adelphi – 2011). Ma il Buzzati di “Poema a Fumetti” fa del piacere un linguaggio, un uso veicolante del narrare e nel narrare, una cifra che dà senso all’immaginazione e al pensiero. E nella invenzione che fonde visività e parola si costituisce a tutti gli effetti, un’operazione di arte concettuale, senza darsi come concettuale, ma essendola nell’idea che la fonda e la genera.

Un’esperimento, una trasgressione, un’incursione tra le arti e i suoi confini, un superamento di generi e approcci codificati. Perché più che un fumetto, oltre il fumetto, con “Poema a Fumetti” Buzzati travalica la didascalicità e la didascalia del fumetto, il suo realismo e la sua sequenzialità, l’aderenza meccanica e streotipata di immagini e parole e lo trasforma in un vero e proprio “Poema……a fumetti”

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