In “Tempo di uccidere” accade ciò che spesso capita nella realtà, sia nelle piccole cose quotidiane che in quelle grandi e importanti della vita, e di cui non ci rendiamo mai abbastanza conto. E cioè che tanto più ci aspettiamo che una cosa accada in un certo modo, in un certo momento, in un certo contesto, bella o brutta che essa sia, tanto più capita che questa cosa accada in tutt’altro modo, momento, contesto di come ci attendevamo che accadesse.
Il caso, l’imponderabile, l’imprevisto e gli imprevisti finiscono, infatti, per indirizzare, molte volte, il corso delle cose e degli eventi più di quanto noi stessi ce ne rendiamo conto. Ed è, in questi casi, che diciamo quelle tipiche frasi: ma chi se lo sarebbe mai aspettato, oppure, la realtà che supera la fantasia, oppure ancora: ma neanche a volerlo fare apposta. Ed è questo quello che accade in “Tempo di uccidere”. Una sequenza, quasi un gioco di eventi che apparentemente indirizzati e resi tali dal protagonista narrante, in realtà si svolgono con una loro autonomia e imprevedibilità, irridendone la sua volontà e le sue intenzioni o facendosi beffe delle sue premeditazioni.
La conseguenza, mirabilmente descritta e sviluppata da Flaiano è il dilatarsi dell’iniziale frustrazione e smarrimento del protagonista, in un crescendo di paura, angoscia, panico, demoralizzazione, isolamento e fuga dal mondo, nella convinzione che ormai non c’è più nulla da fare ed il proprio destino è segnato, senza possibilità di salvezza, né di redenzione.Ma coerentemente con l’impianto anzidetto, basato sull’ imprevedibilità e i colpi di scena, anche la disperazione, i sensi di colpa, i cupi e foschi scenari, in cui sprofonda il protagonista, risulteranno, alla fine, vanamente e inutilmente vissuti. E un destino che sembrava segnato in una certa direzione, ne prende una del tutto opposta e il male sofferto, nell’attesa scontata che il peggio fosse lì lì per arrivare, si vanifica, quasi banalizzato, e la salvezza inattesa assume quasi i toni di una grottesca liberazione.
Le sofferenze vissute finiranno per risultare una doverosa espiazione, il minimo contraccambio alle colpe e alle responsabilità non assunte dal protagonista che esausto dallo sfuggire ad esse e già pronto alla condanna del mondo in realtà se ne troverà assolto per effetto della fortuità del caso e delle circostanze.
Se pure esposto al rischio di esasperare e cadere nel dato psicologico e introspettivo, “Tempo di uccidere” mantiene invece un forte ancoraggio alla realtà, riuscendo costantemente a dare il senso dell’azione anche quando apparentemente non accade nulla. E vi si svolge una trama lineare nelle descrizioni di luoghi, avvenimenti, personaggi ma, al tempo stesso, intensa sul piano emotivo per ciò che riguarda i legami, le forze che attraversano le relazioni fra i personaggi e fra i personaggi e gli avvenimenti che accadono, riuscendo ad evocare energie sotterranee, quasi che il non detto divenga talora più evocativo e potente di quello che è l’effettivamente detto.
Leggendo “Tempo di uccidere” mi è venuto spesso in mente Simenon,(penso per esempio a “Cargo” o “Al clan dei Mahè”) per l’analoga magistrale capacità di “incastrare” i personaggi, infilandoli in veri e propri vicoli ciechi, di farli diventare parti di ingranaggi più grandi e più potenti di loro. Di come, in altre parole, il singolo, l’individuo sia fondamentalmente solo nel fronteggiare gli eventi della vita e più lo è e più finisce per diventarlo.
Grazie Raffaele per rendere giustizia a questo gioiello narrativo. Per molti versi unico. Ci sono momenti nel romanzo che evocano altra grande letteratura dove l’espiazione – o meglio la ricerca di un’espiazione – prende tutta la scena.
Aggiungo un mio piccolo contributo. Pur essendo il percorso accidentato di un uomo solo, in un tempo dove uccidere non sembra più peccato, che proprio dalla più improbabile delle uccisioni deriva il proprio senso di colpa, col romanzo Flaiano crea un nugolo di altri grandi personaggi. Uno tra tutti: il padre (forse) della sua vittima. La fase del romanzo in cui, ancora per un puro caso, il protagonista dipende da questo’ uomo per la propria sopravvivenza, assume un valore simbolico, quasi religioso.
Il rispecchiamento della vicenda nel paesaggio e viceversa – vedi l’attesa di un passaggio nave a Massaua, materializzazione dell’angoscia – mi sembra un altro dei colpi da maestro del libro.
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Grazie a te e grazie per il tuo puntuale contributo.
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