“…il romanziere (l’immaginario romanziere di Kawabata) vive in solitudine, senza rapporto con la realtà, interamente dedito alla propria arte. Nella sua vita non esiste che la carta e la penna…
Mentre scrive…l’artista annulla l’io, purifica le passioni, fa il vuoto mentale in se stesso, resta quieto, dimentica, si immerge totalmente nella mano che muove la penna…contempla il Vuoto del cosmo. La sua arte non è né un pensiero filosofico, né una scienza, né una fede religiosa: soltanto un’arte dei segni…
Come il buddhismo gli ha insegnato, Kawabata sa che la vita è leggera, fluida e trasparente: qualcosa che fluttua senza fine; e le nostre sensazioni sono quasi evanescenti. Non ama il romanzo europeo: Balzac e Dostoevskij devono sembrargli pesanti. Perciò fa in modo che le pagine dei suoi libri fluttuino e si spostino come le nuvole dei cieli e le acque dei fiumi. Ama i piccoli tocchi, le superfici nitide, i sentimenti nascosti e indefinibili, che non dicono il proprio nome.
Sebbene i suoi libri siano spesso appassionati e strazianti, esecra tutto ciò che è sentimentale, cioè vistosamente psicologico. Evita la costruzione del romanzo occidentale: mette insieme i suoi libri raccogliendo esili brani, lascia che assumano molte forme e possibilità, evita di scrivere la parola fine, perché, nello spazio delle nuvole e delle acque, nessuna storia ha una conclusione. Ma la nitidezza delle sue superfici è un fondale…dietro di esse si nasconde, ora soave ora minaccioso, il grande Vuoto, dove tutte le cose comunicano liberamente, senza limiti né confini…
Tutti i romanzi di Kawabata sono imbevuti di un intensissimo sentimento erotico…Questo sentimento non ha quasi bisogno di venire consumato, traducendosi in atti sessuali, perché pervade l’universo…Tutto odora di eros, finché l’eros si trasforma in ogni senso: sguardo, suono, profumo, colore. Le sensazioni tenui e lievi si intrecciano: l’acqua che bolle, il vento che fruscia, il tintinnio di un campanello, il piede che si avvicina…
Come Borges, Kawabata ama i riflessi. Quando il protagonista del “Paese delle nevi” è in treno, vede riflesso nel vetro del finestrino l’occhio di una ragazza seduta accanto a lui, che gli ricorda l’occhio di un’altra ragazza che forse ama: il volto femminile reso immateriale dalla trasparenza, il paesaggio fuori dal treno che scorre nell’oscurità, il ricordo della donna amata, una luce che si accende nei monti e si riverbera nel finestrino, formano un’immagine sola…
Come scriveva Mishima, nessuno scrittore giapponese ha mai rappresentato con tanta attenzione e tenerezza l’anima femminile del Giappone. Quanti visi e corpi di donne incontriamo nei romanzi di Kawabata: grandi occhi dalle iridi nere e lucenti, palpebre leggiadrissime, carnagioni luminose, pelli delicate e soavi, capezzoli rosa, orecchi minuscoli. Il puro fascino della vita sembra non avere altro luogo dove posarsi…L’ultimo segreto della bellezza femminile è la tristezza: le donne diceva Mishima, sono “avvolte dalla tristezza, come da una lieve foschia”, che respira silenziosamente nelle ombre dei corpi…
Anche la neve è femminile. Nel “Paese delle nevi”, tutto è bianco, gelido e diafano: la neve dell’alto paese di montagna imbeve il racconto – il paesaggio, i fatti, i sentimenti, la pelle, i tessuti, finché leggendo sentiamo respirare soltanto neve. Quando è inverno, le ragazze preparano il lino chijm, impiegato per i freschissimi kimono estivi. “Il filo viene filato nella neve, la tela tessuta nella neve, lavata in acqua di neve e lasciata sbiancare nella neve”. I lini sono lasciati sulla neve alta e, ogni mattina, colpiti dal sole nascente, li tingono di una sfumatura scarlatta. Allora la scena, dicono gli appassionati giunti da ogni parte del Giappone, è “di una bellezza incomparabile”.
Nessun maschio prepara i lini: solo ragazze tra i quattordici e i ventiquattro anni , che hanno imparato l’arte sin da bambine; se superano i ventiquattro anni, il tessuto perde la sua lucentezza e freschezza…La neve bianca, i lini bianchi: tutto ciò allude alla purezza, alla verginità e alla morte (il bianco, in Giappone, è anche il segno del lutto), che accompagnano il mondo femminile…
A prima vista i libri di Kawabata risvegliano un’impressione di perfezione, compattezza e luce…Ma, a un tratto, non sappiamo per quale ragione, i demoni si risvegliano, si scatenano, infuriano, sconvolgono terribilmente i suoi libri, che diventano il nascosto inno funebre del Giappone. Nel “Paese delle nevi” lo spazio dei riflessi si spezza: il fuoco infuria: la neve è cancellata; la via Lattea scende sibilando sulla terra, portando rovina.”
( Libera riduzione di un articolo di Pietro Citati apparso su “Repubblica” del 30.5.2003)