“L’uomo nell’Olocene” – Max Frisch

Se si volesse sintetizzare in una parola “L’uomo nell’ Olocene”, dandogli un nuovo titolo, quello per me più appropriato sarebbe erosione. Perché ne “L’uomo nell’ Olocene” non solo ci vengono descritte tutta una serie di manifestazioni che hanno a che vedere con i fenomeni fisici dell’erosione ma è l’idea stessa dell’esistere che è ricondotta al concetto di erosione. Al punto che tutto – noi compresi – appare in fondo soggetto nient’altro che un lento e inesorabile processo di erosione che noi contrastiamo con tutto il nostro istinto vitale ma che nonostante noi e indipendentemente da noi ci consuma e si consuma.

La parola erosione, ne “L’uomo nell’ Olocene”, appare svariate volte, per la precisione cinque e il suo apparire avviene seguendo una sorta di crescendo fino ad essere esplicitata, nella sua pienezza definitoria, nell’ultima delle sue apparizioni, a libro ormai quasi finito: “Erosione, f. (dal lat.: erodere) in senso lato i processi relativi alla costituzione delle forme superficiali della terra (erosione fluviale, eolica, glaciale); in senso stretto l’opera di escavazione e di incisione dell’acqua corrente. L’intensità dell’e. dipende dalla forza d’urto dell’acqua, dalla resistenza della roccia e dalla configurazione del paesaggio”.

L’erosione è quindi prima di tutto un fenomeno naturale ed ha precipuamente a che vedere con l’azione dell’acqua e con le relative modificazioni che la sua penetrazione produce nella morfologia degli ambienti con cui entra in contatto. E tale accezione, diciamo idrogeologica, di erosione è quella a cui si fa riferimento anche nelle apparizioni, precedenti a questa, che di essa vi sono nel libro. Ora, come è noto, i fenomeni naturali determinati dall’erosione così intesa, dai primordi ad oggi, hanno determinato anche catastrofi di cui massimo simbolo e manifestazione è il “diluvio” o, se si vuole, più prosaicamente e scientificamente, i diluvi. Tuttavia, dal punto di vista della natura, il concetto di catastrofe non ha alcun senso, essendo esso concepito e concepibile solo da noi umani: “- le catastrofi le conosce solo l’uomo, nella misura in cui ne esce vivo; la natura non conosce catastrofi.”

L’erosione che si manifesta per effetto dell’irrompere di masse d’acqua, può quindi essere percepita e vissuta come una più o meno imminente catastrofe, inducendoci a combattere il suo avverarsi e a difenderci da essa. Ed è questo che si metterà a fare il signor Geiser, l’assoluto protagonista nonché, di fatto, unico personaggio de “L’ uomo nell’ Olocene”. La sua personale e solitaria lotta contro quella che assumerà per lui le sembianze di una imminente catastrofe trasformerà quella sua lotta in una vicenda dai caratteri a suo modo epici ma che, al tempo stesso, lo trascinerà nelle prosaiche evenienze della sua sopravvivenza rendendo quella vicende teneramente comiche e grandemente umane. Perché quella lotta si rivelerà per il signor Geiser più di tutto una lotta con se stesso, contro la sua erosione, quella del suo corpo e soprattutto, assi più impietosamente, quella della sua mente: “Evidentemente alcune cellule cerebrali cessano di funzionare”.

Così l’erosione da fenomeno fisico-naturale si estende e si trasforma, ne “L’uomo nell’ Olocene”, in fenomeno umano: quello dell’erosione che scava e avanza contro la nostra volontà. Ed è di questa volontà, del suo non voler venire meno, del suo inventarsi continue strategie per non venire piegata che il signor Geiser si fa eroico e al tempo stesso antieroico protagonista. Mostrando come è quella volontà che ci rende diversi dalla natura di fronte all’erosione a cui, anche noi, siamo soggetti. Così questo piccolo libro – piccolo nel suo minimalismo narrativo e stilistico – diventa un grande libro che, nel cogliere l’universalità di ciò a cui anche noi apparteniamo, ci mostra quanto sia forte quell’istinto di sopravvivenza del quale quell’aggrapparsi alla mente, al logos, alla conoscenza che farà il signor Geiser nel corso della sua vicenda ne è la strenua manifestazione.

In quella valle, dalle parti della Val Maggia, Canton Ticino, in cui il signor Geiser si è trasferito e dove, in un isolato paesino, egli vive, piove a dirotto da giorni.

“…il signor Geiser va per i settantaquattro”, è vedovo ed è in pensione. Aveva una sua ditta a Basilea, la sua città, dove ci vive tutt’ora sua figlia Corinne. Nel complesso fisicamente sta bene, conduce una vita regolare e tranquilla, ha qualche frequentazione lì in paese ma non particolarmente importante: quindi oltre che vivere da solo diciamo che vive anche solitariamente. Si dedica più che altro al giardinaggio, un po’ alla lettura, ma non legge romanzi bensì preferisce “le documentazioni”: enciclopedie, dizionari enciclopedici, libri e guide su varie materie: “geologiche, climatiche, storiche”, in passato si dedicava anche alla lettura della Bibbia.

Adesso però tutta quella pioggia sta turbando e disorientando il signor Geiser. Un senso di incertezza lo pervade: “Il crollo di un muretto a secco, costruito con le proprie mani da un pensionato che in vita sua faceva tutt’altro, non significa ancora che l’intero pendio stia per franare.”, pensa fra sé e sé il signor Geiser. Si, perché quella pioggia sta cominciando a fare danni, a creare disagi, a produrre qua e là delle erosioni: “la corriera postale non viaggia”, giacché la strada è interrotta; la luce manca e quindi il campanello di casa non suona e “Naturalmente ammutolisce anche il televisore”; e poi ci sono segnali di frane, come quel “muretto a secco” tirato su dal signor Geiser nel suo giardino che è venuto giù.

Eppure, sebbene il signor Geiser si dica che nessuno – così come ha sentito in paese – pensa che “l’intera montagna possa mai franare”, né che “Nessuno si aspetta un diluvio universale”, né che egli stesso “…crede a un diluvio”, tuttavia il signor Geiser comincia a pensare e ad agire come se quel diluvio egli lo dovesse fronteggiare per davvero. Si legge le relative pagine bibliche; i dati e le date su piene e inondazioni a seguito di piogge avvenute nella zona; i confronti fra gli andamenti della piovosità nel ticinese e quella nello zurighese. Poi si accerta di quanta legna c’è in casa, va a rifornirsi di fiammiferi per averne di riserva, osserva col binocolo se si formano crepe “attraverso il terreno” e fenditure fra le rocce.

Perché quello che il signor Geiser sta cercando di fare è di rassicurare se stesso. Di gestire ciò che quella situazione gli sta creando e cioè la perdita del controllo della situazione. Lo scontro in atto per il signor Geiser è infatti proprio tra normalità, prevedibilità, controllabilità delle cose e del loro svolgersi e quella che invece è l’anormalità, l’imprevedibilità, l’incontrollabilità che esse hanno assunto per lui in quel momento. E, di fronte a ciò, il signor Geiser si scopre e si sente vulnerabile, sente la sua fragilità e la sua precarietà, per quegli eventi che incombono ma che non sono dominabili. Il signor Geiser non solo vuole ma deve dare razionalità a sé e al mondo laddove, invece, in quel momento vi è un’oggettiva condizione di irrazionalità con cui bisogna fare i conti e ciò, laconicamente, ma con un senso di sottile angoscia lui stesso lo registra: “Anche l’orologio del campanile è fermo”; “Nessuna idea di quel che succede nel mondo”; “Bisogna essere pronti a tutto”.

E’ come se il tempo, massima espressione di razionalità del mondo, per il signor Geiger si fosse fermato ed egli si trovasse sospeso e in sospeso, privo di coordinate. In un luogo poi che da familiare sta mutando per lui in un luogo fuori dal mondo: “Quando la strada non è bloccata a causa del maltempo, Basilea è raggiungibile in cinque ore, Milano in tre ore, la farmacia più vicina in una mezz’oretta –

Non siamo mica in capo al mondo!

(- come Elsbeth diceva spesso).” dice a se stesso evocando parole di sua moglie.

Il signor Geiser deve quindi reinventarsi lui un suo tempo e un suo mondo a quale rimanere attaccato. Ha bisogno perciò di punti di riferimento, di punti cardinali, di bussole. E, per procurarsele, si aggrappa in tutti i sensi alla memoria. Che, nel suo caso, significa, prima di tutto, circondarsi di quelle cognizioni che egli trae da quelle sue enciclopedie e da quei suoi dizionari, in altre parole, circondarsi della memoria del mondo.

In un primo momento legge e sottolinea soltanto, poi ne prende nota e ricopia, poi inizia ritagliare dalle pagine di quei suoi libri: “ Trascrivere a mano cose già stampate (di sera a lume di candela) è un’idiozia. Perché non ritagliare con le forbici ciò ch’è degno d’essere saputo?” Perché il sapere per il signor Geiser significa restare attaccato alla vita, è darsi una tranquillità in un momento di assoluta mancanza di tranquillità. E non perché siano notizie utili per la sua sopravvivenza ma perché consentono al signor Geiser di opporre la razionalità delle conoscenze all’irrazionalità del momento, il certo all’incerto, una parvenza di fiducia sull’esistenza del mondo nel momento in cui questo sembra crollargli addosso. Come quando si mette a calcolare la sezione aurea, seguendo le spiegazioni dell’enciclopedia per osservare poi che: “Al momento il signor Geiser non ha bisogno di alcuna sezione aurea, ma il sapere tranquillizza”. E così, come fosse una sorta di ultimo uomo che deve ricostruire la genealogia del genere umano il signor Geiser si domanda pure: “Quando è comparso l’uomo, e come mai?” e trascrivendo una dietro l’altra le diverse ere geologiche e le loro caratteristiche può ritrovarsi e stabilire dov’è: “…il presente geologico si svolge nell’Olocene”.

Ma perché il signor Geiser inizialmente trascrive poi, come abbiamo visto, ritaglia quello che ritiene importante di ciò che legge, non gli basterebbe soltanto leggerlo. E qui l’aggrapparsi alla memoria per esorcizzare l’estinzione, come può essere considerato il modo in cui Frisch fa fare al signor Geiser uso di quella memoria del mondo, diventa un aggrapparsi alla memoria per combatterne l’erosione, cioè la sua perdita. Diventa cioè la manifestazione concreta della fragilità e della vulnerabilità del signor Geiser, la sua personale lotta con quei sintomi della vecchiaia che sono preludio della morte che è la vera catastrofe che aleggia e con cui il signor Geiser senza dirlo ma sapendolo combatte senza illusioni ma anche senza demordere, testardo e cocciuto nella sua voglia di non mollare.

Perché il signor Geiser si è accorto che quelle “…cose degne d’essere sapute dopo un’ora appena uno se le ricorda solo approssimativamente; soprattutto i nomi e le date non restano impressi” e quindi attacca quei fogli e foglietti – su cui ha trascritto o che ha ritagliato – alle pareti di casa per averli sempre di fronte: “…attaccare i foglietti alla parete, puntine in casa ce ne sono abbastanza”. Così si muoverà tra masse di foglietti sparsi dappertutto perché ogni nozione, ogni ricordo che riesce ad entrare nel suo campo visuale diventa per lui importante e vitale per acquisire stabilità e sicurezza.

E anche noi vediamo questi fogli e foglietti perché Frissch inserisce nel testo gli “originali” di quelle annotazioni che il signor Geiser trae dai suoi libri creando una sorta di patchwork fatto di tutti questi “ritagli” che danno visibilità a tutto quell’apparato cognitivo fatto di frammenti che il signor Geiser ha intorno a sé. Il testo diventa quindi esso stesso un insieme di frammenti dove le riflessioni e la autoriflessioni che Geiser fa a partire da ciò che sta accadendo e su ciò che può accadere, su che fare e non fare – pensieri già essi stessi frammentati e frammentari – si intercalano con quella congerie di notizie sulla storia del mondo e degli uomini messe lì come testimoni inesorabili del suo bisogno di mettere un argine alle sue paure e alla sua smemoratezza: “A togliere dalla parete il ritratto (a olio) di Elsbeth per far posto ad altri foglietti, il signor Geiser ha esitato fino ad oggi. Ma non c’è altro da fare…..A volte il signor Geiser scrive su un foglietto anche ciò che crede di sapere senza enciclopedia e il cui posto è ugualmente la parete, affinché il signor Geiser non se ne dimentichi” E, in mezzo, fra queste due descrizioni delle azioni del signor Geiser, troviamo la riproduzione del foglietto in cui si descrive la distinzione “In psicopatologia” tra “debolezza di memoria e debolezza di memorizzazione “. Insomma quello che il signor Geiser ritaglia e appende Frisch sa dove metterlo e come graffiti su un muro tutti questi materiali si compongono in un collage fisico e visivo di ciò che accade nella mente del signor Geiser, i quali si mischiano con il suo racconto o meglio con il racconto su di lui che pur nel distanziamento che crea la terza persona suona come se fosse il suo.

Ma arriva un punto in cui il tempo non passa più: “Guardare l’orologio da polso, per convincersi che il tempo passa è insensato” e così senso e non senso si mischiano e si confondono e non è più chiaro dove stia l’uno e dove l’altro. Il signor Geiser a stare lì, chiuso in quella casa, non ce la fa più:

“passi in casa, i propri

Che uno monti su una sedia e attacchi le sue bretelle alla trave del soffitto e si impicchi per non sentire più i suoi passi, il signor Geiser può figurarselo.

Notte senza pioggia-

All’alba…il signor Geiser ha preso lo zaino preparato, inoltre cappello, impermeabile e ombrello…nessuno del paese l’ha visto e gli ha chiesto dove mai il signor Geiser se ne vada a spasso col suo zaino, e su per la montagna e con questo tempo”

E così il signor Geiser parte per fare quella che “ancora dieci anni fa…e col sole era una passeggiata, una gita di due ore e mezza tra andata e ritorno”. Ma, naturalmente, quella che era una passeggiata adesso, in quella situazione, si trasformerà per il signor Geiser in un’epopea fra boschi grondanti acqua – anche perché “La pioggia non si è calmata” -, torrenti ribollenti da attraversare, sentieri divenuti improbabili, erte impegnative da superare e da ridiscendere, rischi di vario genere: “All’affanno si aggiungono la paura, la fretta, la rabbia contro se stessi e il sudore, e dove il folto si dirada il pendio si fa ancora più ripido; camminare eretti è ormai quasi impossibile”.

Solo, in mezzo ad una natura impassibile e fredda, il signor Geiser si aggirerà cercando di fare affidamento sulla sua memoria per raccapezzarsi in quei luoghi divenuti minacciosi. Il non senso di quell’avventura sarà, di fatto, per il signor Geiser una prova estrema di resistenza e di reazione e dopo aver impiegato l’intera giornata ed essere rimasto in giro anche con il buio, farà rientro a casa: “Il paese dormiva, era mezzanotte passata quando il signor Geiser, non visto da alcuno, è arrivato a casa” e l’esserne uscito vivo non si sa alla fine se è una vittoria o uno scampato pericolo.

Ma è tutta la scansione di quell’immersione in sé pazzesca che Geiser fa in quell’ambiente ostile che eleva la narrazione dal suo apparente nulla al suo essere registrazione umanissima della fragilità coraggiosa e, al tempo stesso, incosciente di Geiser, di quel suo procedere senza abbandonarsi al panico come per accertarsi di quello di cui è ancora capace, trasportato poi alla fine più dalla fortuna che da se stesso: “Nelle ultime due ore il signor Geiser si è limitato a camminare, senza voler sapere dove si trovasse”. E sono quel senso di delicata e affettuosa ironia che Frisch dà al personaggio e, al contempo, di tenera autoironia che irradia da esso che danno leggerezza e un che di picaresco ad una vicenda in sé folle e fanno di Geiser un personaggio pieno di dignità nella sua disarmante semplicità, ma anche pieno, in fondo, di una grande voglia di vivere. Perché tutto quello che ha sin qui fatto il signor Geiser è in realtà una lotta per vivere.

Dopo tutto questo resta solo la palpebra a sinistra paralizzata e l’angolo della bocca pure, “Per il resto non è successo niente”. Spezzoni di cose accadute si affollano nella mente del signor Geiser, e così gli viene in mente il ricordo di quella volta che solo la fortuna e la bravura di suo fratello avevano evitato una tragedia durante quella loro escursione sul Cervino. Perché poi in fondo è forse solo il caso che decide tutto.

Il tempo si è rimesso al bello e Corinne è arrivata: “Quando porta il tè, Corinne ha gli occhi umidi senza aver l’aria di saperlo, inoltre sorride come un’infermiera e parla a suo padre come a un bambino”. Intanto fuori tutto ha ripreso a pulsare, la natura ha ripreso a pulsare, d’altro canto la natura non ha consapevolezza della (sua) erosione, “- le catastrofi le conosce solo l’uomo, nella misura in cui ne esce vivo; la natura non conosce catastrofi.”

4 risposte a "“L’uomo nell’Olocene” – Max Frisch"

  1. Alessandra 9 novembre 2017 / 12:34

    Di Max Frisch non ho letto nulla. Interessante il concetto di inglobare a tutto spiano nozioni su nozioni per attaccarsi alla memoria, per combatterne la perdita, l’erosione. Che poi è un modo, come hai scritto, per illudersi di sconfiggere la vecchiaia, la morte. Una storia che comunque finisce bene, se non ho capito male, dove alla fine vince comunque la voglia di vivere, non quella di sopravvivere. Bella e scorrevole la tua analisi (come sempre), letta tutta d’un fiato.

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    • ilcollezionistadiletture 9 novembre 2017 / 13:27

      Grazie Alessandra ma il merito è di Frisch che ha scritto un piccolo grande libro che si legge tutto d’un fiato e quindi nel parlarne si finisce per venire tirati dentro il suo modo di raccontare.
      Si, sicuramente questo è un libro in cui c’è l’affermazione della vita sulla morte pur nella consapevolezza della morte, ma senza sentimentalismi né tragicità, in equilibrio tra la sobrietà e l’intensità, tra il distacco e le emozioni.
      Dove vediamo in fondo noi stessi nel nostro destino di esseri predestinati all’erosione ma anche nella nostra volontà di reagirvi e di contrastarla più che possiamo.
      Molti, anche autorevoli critici, dicono che sia il migliore libro di Frisch.
      A me era piaciuto molto anche “Guglielmo Tell per la scuola”. Comunque questo è davvero bello e, se ti capita, te lo consiglio perché non solo è originale ma è leggero e profondo insieme.
      Ancora grazie e un carissimo saluto.
      Raffaele

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  2. giacinta 11 novembre 2017 / 9:26

    Molto bella la tua recensione e affettuosa nei confronti del protagonista e della sua ” umanissima fragilità coraggiosa”. Parli anche del ruolo del caso, un ulteriore fattore, che, come la Natura, determina il destino umano…
    Cari saluti e grazie per la segnalazione:-)

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    • ilcollezionistadiletture 12 novembre 2017 / 8:34

      Ciao Giacinta, grazie. Si, Geiser è un personaggio che suscita una grande tenerezza e una grande comprensione, perché, in fondo rispecchia quello che siamo sia in generale come umani e sia, in particolare, come esseri; esposti, peraltro, come siamo e come hai giustamente osservato, alla Natura e al caso.
      Grazie ancora, un carissimo saluto e buona domenica.
      Raffaele

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