“Lenz” – Georg Büchner

“…una volta, era seduto, e a un tratto gli venne paura, balzò in piedi, camminò su e giù. La porta era mezzo aperta, e così udì la ragazza di servizio cantare, dapprima non fu chiaro, poi gli giunsero le parole:

<<A questo mondo non ho alcuna gioia, soltanto il mio amato, ed è lontano>>

Ne fu colpito, quasi si sentì mancare a quelle note. Madame Oberlin lo guardava. Lui si fece coraggio, non poteva più tacere, doveva parlarne. <<Carissima Madame Oberlin, non può dirmi cosa fa la signorina la cui sorte tanto mi pesa sul cuore?>>.(1)

<<Ma, signor Lenz, io non ne so niente>>. Egli tacque di nuovo e camminò in fretta su e giù per la stanza; poi riprese:<<Ecco, voglio andare; o Dio, voi siete ancora gli unici esseri umani con i quali potrei resistere, eppure…eppure io devo andare, andare da lei, ma non posso, non mi è consentito>>. Era fortemente commosso e uscì.

Frattanto il suo stato era divenuto sempre più disperato, tutto quel po’ di pace ch’egli aveva attinto dalla vicinanza di Oberlin e dalla tranquillità della valle era scomparso; quel mondo di cui aveva voluto profittare recava un’immane scissura; egli non aveva odio, non amore, non speranza, solo un vuoto spaventoso e insieme un’ansia torturante di colmarlo. Non aveva nulla. Quel che faceva lo faceva consapevolmente, eppure vi era costretto da un istinto interiore. Quand’era solo, tutto era per lui così orribilmente solitario ch’egli parlava di continuo con se stesso ad alta voce, gridava, e poi si spaventava ancora e gli sembrava che una voce estranea avesse parlato con lui.

Una volta era seduto vicino a Oberlin, il gatto era sdraiato sulla sedia di fronte; improvvisamente sbarrò gli occhi, li tenne immobili sull’animale, poi scivolò lentamente giù dalla sedia; il gatto fece lo stesso, era come incantato da quello sguardo, fu preso dal terrore, rizzò il pelo; Lenz emetteva gli stessi versi, il viso paurosamente alterato: come colti da disperazione si gettarono l’uno su l’altro, e allora infine Madame Oberlin si alzò a dividerli. Dopo, fu preso di nuovo da una profonda vergogna.

Gli sembrava di esistere lui solo e che il mondo consistesse soltanto nella sua immaginazione, che nulla ci fosse al di fuori di lui, e di essere il dannato in eterno, Satana; tutto solo con le sue torturanti fantasie. Percorreva la propria vita a velocità frenetica e poi diceva: <<Conseguente, conseguente>>; se qualcuno gli parlava: <<Inconseguente, inconseguente>>; era l’abisso della follia irrimediabile, di una follia per l’eternità.

Verso sera Oberlin fu chiamato presso un malato a Bellefosse. Il tempo era mite, c’era la luna. Sulla via del ritorno incontrò Lenz. Sembrava del tutto ragionevole e parlò calmo e cordiale con Oberlin. Questi lo pregò di non andare troppo lontano, e lui lo promise. Nell’allontanarsi egli si voltò di colpo, tornò vicinissimo a Oberlin e disse precipitoso: <<Vede, signor parroco, se soltanto potessi non udir più questo, starei meglio>>. <<Ma cosa, caro amico?>>. <<Dunque lei non sente nulla, non sente la voce terribile che grida per tutto l’orizzonte e che di solito chiamano silenzio?…>>

Oberlin tornò a Waldbach, e voleva farlo seguire da qualcuno, quando lo udì salire nella sua camera. Dopo un attimo qualcosa stramazzò nel cortile con un rumore così forte che a Oberlin parve impossibile che provenisse dalla caduta di un uomo. Venne la bambinaia, pallidissima, e tremando tutta.

Era seduto nella carrozza con fredda rassegnazione mentre risalivano la valle verso occidente. Non gli importava dove lo conducessero;…

Diveniva buio quanto più si avvicinavano a Strasburgo;…Dovettero sostare; allora fece di nuovo qualche tentativo di togliersi la vita, ma era troppo attentamente sorvegliato. Il mattino seguente, con un tempo fosco e piovoso, arrivò a Strasburgo. Pareva del tutto ragionevole e parlò con la gente; faceva tutto come facevano gli altri, ma c’era un vuoto orribile in lui, non sentiva più alcuna paura, alcun desiderio; la sua esistenza gli era un peso necessario. – -Così continuò a vivere.”

(1)<<La signorina>> è Friederike Brion (1752-1813). Lenz aveva sperato di prendere, accanto a lei, il posto lasciato da Goethe. La delusione amorosa fu, secondo alcuni biografi di Lenz, <<la vera origine>> della sua follia.

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Italo Alighiero Chiusano nel suo “Il teatro tedesco dal naturalismo all’espressionismo (1889 – 1925)” così inquadra e definisce Georg Büchner: “Ai margini del Romanticismo, troviamo alcuni drammaturghi di eccezionale importanza: il rabbioso, demoniaco Kleist, che si apre a oasi di splendida soavità e di penetrante chiaroveggenza psichica; l’allucinato e insieme realistico Büchner, che precorre non solo il realismo sociale del teatro di sinistra, ma – d’un secolo o poco meno – i lampeggianti deliri dell’ Espressionismo.”

Perché Georg Büchner è, prima di tutto, quell’autore di opere quali “La morte di Danton”, “Woyzeck” e “Leonce e Lena”che, oltre ad essere testi teatrali considerati assoluti capolavori del teatro tedesco – di cui Büchner è autore cardine lungo un asse che parte da Kleist, passa da Büchner, prosegue con Wedekind, per giungere a Brecht – sono, più in generale, testi considerati a tutt’oggi fondamentali nel teatro contemporaneo.

E ci si continua a chiedere che cosa avrebbe potuto ancora scrivere Büchner se non fosse prematuramente morto a soli 23 anni, il 19 febbraio 1837.

Nell’ambito della sua produzione si inserisce la novella “Lenz”, rimasta interrotta per la soppressione della rivista che la pubblicava, nella quale Büchner, con una prosa allucinata e allucinante, riproduce i sintomi della pazzia che devastò la mente del giovane poeta dello Sturm und Drang, Reinhold Lenz (1751-1792). Basandosi sugli appunti del pastore Oberlin, che aveva ospitato per qualche tempo Lenz, Büchner descrive il fenomeno della pazzia di Lenz nel contesto della sua dolente e drammatica sofferenza e nella lotta serrata e disperata che egli conduce con i suoi sintomi, facendone la vicenda della vita interiore di un uomo infelice. Utilizzando una prosa che nella sua geniale violenza ha una forza che la rende straordinaria e assolutamente moderna.

4 risposte a "“Lenz” – Georg Büchner"

  1. dietroleparole 30 settembre 2017 / 18:20

    Come sai, anch’io, anche se ben più modestamente, ho scritti di Chiusano come riferimento. Così seguo anche i sassolini che lasci come tracce nei tuoi percorsi. E trovo una bella definizione di Buchner come “ragazzo profetico”, un entusiastico apprezzamento del “Lenz”, “questa dannata meraviglia”, e questa chiusa:

    “L’intellettuale moderno, avviato alla schizofrenia e a una sorta di abulico ma anche rabbioso fatalismo, in quest’opera è disegnato con una nitidezza alonata di stregoneria. Come faceva, quel ragazzo, a sapere tutto di ciò che sarebbe venuto dopo, dandoci quasi l’impressione che stia origliando i nostri colloqui, captando i nostri pensieri più segreti?”
    (I.A. Chiusano, “Buchner, ragazzo profetico”, in “Literatur”)

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    • ilcollezionistadiletture 1 ottobre 2017 / 6:34

      Bellissimi la definizione di Büchner e il giudizio sul “Lenz” di Chiusano. E, soprattutto, come non condividere l’interrogarsi, quasi smarrito, di Chiusano di fronte alla grandezza profetico/anticipatrice nonché artistica di Büchner. C’è da restare veramente esterrefatti di fronte a tale grandezza maturata così presto, un vero prodigio. E quella morte assurda sembra essere venuta apposta per esaltare ancora di più quella grandezza precoce.
      Grazie di cuore per questo contributo puntuale, ricco e arricchente che, attraverso le competenti parole di Chiusano, aiuta ulteriormente a illuminare Büchner e il “Lenz”.

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  2. viducoli 15 ottobre 2017 / 18:52

    Ciao Raffaele, e grazie per questa esplorazione di un autore davvero fondamentale, uno dei grandi precursori.
    All’albero genealogico da te indicato mi permetto di aggiungere un altro ramoscello, cresciuto quasi parallelamente alla grande branca di Brecht e spezzatosi presto, di lui forse meno conosciuto, ma secondo me altrettanto grande, almeno per ciò che ho letto sinora: Ödön von Horváth.

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    • ilcollezionistadiletture 16 ottobre 2017 / 6:57

      Ciao Vittorio,
      e grazie per il tuo graditissimo contributo. Si, Büchner è stato proprio un grande precursore perché è stato capace di essere già “dentro” il ‘900, pur vivendo nel primo ‘800.
      Ödön von Horvath lo conosco solo come romanziere, ho letto il suo “Gioventù senza Dio”, non come drammaturgo anche se so che la sua opera teatrale è significativa.
      Purtroppo, come dici tu, anche lui ha avuto la sua vita prematuramente spezzata, chissà, anche lui, cosa ci avrebbe potuto, ancora, riservare.
      Un carissimo saluto.
      Raffaele

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