“Rapporto dalla città assediata” – Zbigniew Herbert

Zbigniew Herbert – “Rapporto dalla città assediata” – Traduzione e Postfazione di Pietro Marchesani – Introduzione di Iosif Brodskij – Adelphi – 1993

Herbert nacque il 29 ottobre del 1924 a Leopoli, allora città polacca, già capitale della Galizia austroungarica, con forti minoranze etniche e religiose (specie ucraini ed ebrei). Il padre direttore di banca e professore d’economia. Una famiglia agiata, con ascendenze cosmopolite (<<La mia famiglia proviene in realtà dall’ Inghilterra, ma attraverso l’Austria…>>) e colta (<<Il babbo mi raccontava l’ Odissea quando avevo tre anni. Non dovevo cercare nel dizionario chi fosse Polifemo: per me era chiaro, c’ero semplicemente cresciuto>>), immessa in una realtà cittadina ugualmente colta, ancora imbevuta di tradizione austriaca.

Questo Eden familiare va bruscamente in frantumi sotto l’urto della guerra, che in questi territori assume proporzioni e forme devastanti, come dice Herbert stesso in un’intervista del 1981: <<Io sono passato attraverso due catastrofi. La prima fu nel 1939. A tutti noi, allora molto giovani, sembrava che lo Stato polacco fosse uno Stato potente…Invece la disfatta dell’esercito polacco, le schiere di soldati che vedevo avviate verso i campi di concentramento, per me furono cose sconvolgenti…Poi, ancora al tempo dell’occupazione, ci fu la speranza che la Polonia non sarebbe tornata all’ordine delle cose che era esistito, ma ci sarebbe stata l’indipendenza. Il crollo di queste speranze fu la seconda catastrofe per me molto evidente>>.

Il poeta conosce presto anche il volto del totalitarismo sovietico, allorché l’ URSS si impadronisce, in base al patto Ribbentrop-Molotov, di Leopoli….Nel 1941 Leopoli passa in mano tedesca , e Herbert entra nelle file dell’ Esercito Nazionale, la maggiore organizzazione della Resistenza in Polonia…Completa gli studi liceali nei corsi clandestini e inizia gli studi di filologia polacca , sempre clandestinamente…Nel frattempo la guerra è finita , ma – come ha dichiarato Herbert in un’altra intervista nel 1985 – <<quelli come me ritenevano che il ’45 non fosse affatto una liberazione , ma semplicemente un’invasione, un’ulteriore, più lunga occupazione, assai più difficile da sopportare moralmente. Io avevo l’esperienza di Leopoli. Era stata una lezione dimostrativa dopo cui in effetti non restava dubbio alcuno sui propositi, il colore del potere e le sue intenzioni. Per me si trattava semplicemente d’una variante del fascismo>>.

Nel 1950 Herbert si trasferisce a Varsavia, dove continua a studiare filosofia, lavorando – in condizioni di indigenza estrema – come redattore di giornali di economia, impiegato di banca, commesso, contabile, calcolatore-cronometrista in una cooperativa…Lo stesso Herbert, ricostruendo le sue esperienze di quegli anni, scrive: <<Per tutto il periodo dello stalinismo, cioè anche dopo la morte di Stalin, fino al 1957, non riuscivo a trovare lavoro in nessun posto. Dopo tre mesi mi buttavano fuori da vari miseri uffici di torbiere, cooperative di invalidi, eccetera, come nemico di classe…La cosa peggiore a quei tempi era la visione acuta dell’assurdità di tutta quella vita, l’isolamento completo, i dubbi che si presentavano che Loro avessero ragione>>. Malgrado ciò il rifiuto di compromessi e collaborazioni si conferma totale.

Herbert comincia – secondo la sua stessa testimonianza – a scrivere poesie nel 1943, ma pubblica le prime solo nel 1950…[Intanto] Si tiene in disparte dalla vita letteraria polacca negli anni dell’imperante dogmatismo stalinista; nel 1951 si dimette anzi spontaneamente dall’ Associazione degli Scrittori Polacchi…[Nel] 1956 appare la sua prima raccolta di poesie, “Corda di luce”, accolta – come i successivi “Hermes, il cane e la stella”, 1957 e “Studio dell’oggetto”, 1961 – con uguale favore, anche al di là dei confini polacchi…Verso la metà degli anni Settanta si stabilisce a Berlino Ovest. Escono intanto una nuova raccolta di poesie, “Iscrizione”, 1969, a cui segue “Il Signor Cogito”, 1974.

Nel 1981 ritorna in Polonia…La diffusione della sua opera in Polonia viene in quegli anni ostacolata ma non impedita dalle autorità. Nel 1983 appare a Cracovia , in edizione <<non censurata>>, una sua raccolta di di diciotto poesie, incluse poi in quella più ampia apparsa a Parigi nello stesso anno col titolo “Rapporto dalla città assediata”…In Polonia il debutto poetico di Herbert fu un avvenimento che gli valse una durevole attenzione di critica e pubblico, malgrado la difficoltà di reperire le sue opere…Adam Michnik , uno dei maggiori intellettuali polacchi e figura storica dell’opposizione…ricordava che le poesie del “Signor Cogito” <<venivano lette ad alta voce e di nascosto, la mattina e la sera,…Ad esse tornavamo spesso nelle discussioni e nei pensieri, chiedendoci quale fosse il loro segreto>>

Un successo e un prestigio alimentati in definitiva dalla sola materia poetica, distribuita con estrema parsimonia in un ampio arco di tempo. Herbert è scrittore parco, quasi avaro: in oltre trentacinque anni la sua produzione si compone infatti di sole otto raccolte di poesie…. A questa <<discrezione>> sul piano creativo – consonante con il programma poetico di Milosz: <<Perché è lecito scrivere versi di rado e controvoglia,/spinti da una costrizione insopportabile e solo con la speranza/che spiriti buoni,non maligni, facciano di noi il loro strumento>>, (Ars poetica?) -, se ne accompagna una analoga sul piano del comportamento, contraddistinto sempre da una riservatezza che rasenta la scontrosità, dal rifiuto di ogni ufficialità o manipolazione.

In un mondo che della relatività ha fatto il suo dogma, paradossalmente proprio la conradiana fedeltà ai valori che percorre tutta la poesia di Herbert – e che trova nel Messaggio del Signor Cogito la sua paradigmatica formulazione – è forse ciò che ne costituisce oggi l’elemento di più intensa fascinazione….Segnato anch’egli, come tutti quelli della sua generazione, dalle atrocità della seconda guerra mondiale…Herbert non ha fatto della disperazione la sua cifra. Non si è abbandonato al catastrofismo, alla negazione di un qualunque senso alla storia e all’esistere. Neppure ha cercato asilo nel regno della memoria, nei domini dell’immaginazione, non ha fatto luogo privilegiato del suo poetare i meandri del proprio Io…o i giochi dell’invenzione sterile.

E’ difficile ricondurre a una formula la complessità intellettuale e artistica di queste poesie, e ogni tentativo in tal senso si è rivelato parziale o insoddisfacente…Parziale appare anche quella che negli anni fra l’80 e il il ’90 ha voluto farne il più alto simbolo della resistenza civile e politica al regime comunista. Una lettura a cui ha grandemente contribuito proprio Michnik, esaltando la matrice patriottica e resistenziale della poesia di Herbert…Ma una lettura che volesse fare propria in toto quella…di Michnik,…sarebbe quanto mai fuorviante. Il viaggio di Herbert è un viaggio sotto il segno della storia, ma un viaggio <<totale>>, dove storia e cultura appaiono come un continuum di fondo, attualizzato, smitizzato, interrogato.

Nel bagaglio Herbert ha con sé un’arma affilata a agile, quella dell’ironia, e uno stile estremamente asciutto, misurato, che rifugge da ogni forma di pathos…I suoi versi distillano, essenzializzano al massimo il linguaggio…[ma]nell’apparente semplicità, confinante con la povertà, di questa poesia, si celano in effetti assai complessi meccanismi intellettuali…Lo stesso dicasi per la tecnica compositiva, non limitata al solo uso del verso libero…Egli infatti non rigetta la tradizione, nei cui confronti chiede invece <<un atteggiamento attivo>>, per l’obbligo che ci deriva dall’essere <<un anello nella grande catena delle generazioni>>:”Si dice comunemente eredità della cultura. Ma la cultura non si eredita meccanicamente, come ad esempio la casa lasciataci dai genitori. Bisogna invece elaborarla col sudore della fronte, conquistarla per sé, confermarla per se stessa”

Pessimista lucido, ma non disperato…[Herbert] resta fedele all’umano…Il Signor Cogito…ironico e autoironico alter ego o portavoce dell’autore, si dichiara <<non idoneo al servizio celeste>>. Il Signor Cogito si sente solidale con <<l’uomo comune>>…con chi viene umiliato e percosso…Un messaggio intriso dunque di profonda eticità, a cui si assomma l’umile consapevolezza dei limiti dell’arte. Come ha dichiarato Herbert, <<L’arte non può e non dovrebbe cercare di mutare radicalmente e in fretta nulla nella vita. L’ambito dell’artista, il suo unico ambito, è la coscienza umana, il tentativo di rendere sensibili nei confronti dell’ingiustizia e dell’umiliazione inflitte al concittadino>>…poiché l’assedio della Città continua…essendo ogni uomo un cittadino racchiuso fra le mura di quella medesima Città assediata – dalla pochezza e dalla volgarità del cuore umano, dalla tragicità dell’esistere”

(Libera riduzione dalla Postfazione:”La Polonia ossia ovunque” di Pietro Marchesani)

Rigore è ciò che contrassegna la sigla di Herbert. E’ un poeta di straordinaria economia. Nei suoi versi non c’è niente di retorico o di esortativo, il loro tessuto è quanto mai funzionale: è brusco piuttosto che <<ricco>>. La mia impressione complessiva delle sue poesie è sempre stata quella di una nitida figura geometrica (un triangolo? un romboide? un trapezio?) incuneata a forza nella gelatina della mia materia cerebrale. Più che ricordare i suoi versi, il lettore se li ritrova marchiati nella mente con la loro glaciale lucidità. Né gli succederà di recitarli: le cadenze del suo linguaggio cedono, semplicemente, al timbro piano, quasi neutro, di Herbert, alla tonalità della sua discrezione”

(Dall’ Introduzione di Iosif Brodskij)

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Da <<Corda di luce>>

 

Due gocce

 

I boschi bruciavano –

e loro

s’intrecciavano le mani intorno al collo

come mazzi di rose

 

la gente correva nei rifugi –

lui diceva mia moglie ha capelli

in cui ci si può nascondere

 

avvolti nella stessa coperta

sussurravano parole prive di vergogna

litania d’innamorati

 

Quando il pericolo era grande

si saltavano negli occhi

chiudendoli forte

 

così forte da non sentire il fuoco

che gli arrivava alle ciglia

 

fino alla fine coraggiosi

fino alla fine fedeli

fino alla fine somiglianti

come due gocce

sospese sull’orlo di un viso

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Da <<Hermes, il cane e la stella>>

 

I cinque

 

1.

Li conducono fuori il mattino

nel cortile lastricato

e li mettono contro il muro

 

cinque uomini

due molto giovani

gli altri adulti

 

niente di più

si può dire di loro

 

2.

quando il plotone

punta i fucili

tutto d’improvviso appare

nella luce abbagliante

dell’evidenza

 

il muro giallo

il freddo azzurro

il nero filo spinato sul muro

al posto dell’orizzonte

 

questo è il momento

in cui i cinque sensi si ribellano

fuggirebbero volentieri

come topi da una nave che affonda

 

prima che la palla giunga a destinazione

l’occhio percepirà il proiettile in volo

l’udito registrerà il fruscio dell’acciaio

le narici si riempiranno di fumo acre

un petalo di sangue sfiorerà il palato

e il tutto si contrarrà e rilasserà

 

ora giacciono a terra

coperti fino agli occhi dall’ombra

il plotone se ne va

i loro bottoni cinghie

e gli elmi d’acciaio

sono più vivi

di quelli che giacciono ai piedi del muro

 

3.

non l’ho appreso oggi

lo so non da ieri

perché dunque ho scritto

futili poesie sui fiori

 

di cosa parlarono i cinque

la notte prima dell’esecuzione

 

di sogni profetici

di una scappata al bordello

di pezzi d’automobile

di un viaggio in mare

del fatto che quando aveva picche

non avrebbe dovuto aprire

del fatto che la vodka è migliore

che il vino fa venire il mal di testa

di ragazze

di frutta

della vita

 

e allora è lecito

usare in poesia nomi di pastori greci

tentare di fissare i colori di un cielo mattutino

scrivere d’amore

e anche

una volta ancora

con serietà mortale

offrire al mondo tradito

una rosa

*

Fiaba russa

Stava invecchiando lo zar piccolo padre, stava invecchiando. Con le sue mani non riusciva più a strozzare neanche un piccioncino. Dorato e freddo sedeva sul trono. Soltanto la barba gli cresceva fino al pavimento e più in giù.

Qualcun altro governava allora, non si sa chi. Il popolo curioso sbirciava dentro il palazzo attraverso la finestra, ma Krivonosov le fece coprire con forche. Per questo soltanto gli impiccati riuscivano a vedere qualcosa.

Alla fine lo zar piccolo padre morì per davvero. Le campane suonavano, ma il corpo non veniva portato via. Lo zar si era attaccato al trono. I piedi del trono si erano mescolati con quelli dello zar. La mano era penetrata nel bracciolo. Non lo si poteva staccare. E sotterrare lo zar col trono d’oro – dispiaceva.

————————————————————-

Da <<Studio dell’oggetto>>

 

La nostra paura

 

La nostra paura

non porta camicia da notte

non ha occhi di civetta

non solleva il coperchio della bara

non spegne la candela

 

non ha neppure la faccia d’un morto

 

la nostra paura

è un biglietto

trovato in tasca

<<avvertire Wójcik

il nascondiglio di via Dluga scotta>>

 

la nostra paura

non vola sulle ali della tempesta

non si posa sulla torre d’una chiesa

è terraterra

 

ha la forma d’un fagotto

avvoltolato in fretta

con indumenti caldi

provviste

e un’arma

 

la nostra paura

non ha il viso d’un morto

i morti per noi sono benevoli

 

li portiamo sulle spalle

dormiamo sotto la stessa coperta

chiudiamo loro gli occhi

gli aggiustiamo la bocca

scegliamo un luogo asciutto

e li seppelliamo

 

non troppo in profondità

non troppo in superficie

————————————————————-

Da <<Iscrizione>>

 

L’interrogatorio dell’angelo

 

Quando sta davanti a loro

nell’ombra del sospetto

è ancora tutto

fatto di luce

 

gli eoni dei suoi capelli

sono raccolti in un boccolo

d’innocenza

 

dopo la prima domanda

il sangue affluisce alle guance

 

strumenti e interrogatorio

distribuiscono il sangue

 

con il ferro la verga

il fuoco vivo

vengono definiti i confini

del suo corpo

 

un colpo sulla sua schiena

fissa la spina dorsale

tra pozzanghera e nuvola

 

dopo qualche notte

l’opera è compiuta

la gola di cuoio dell’angelo

è piena di vischioso consenso

 

com’è bello il momento

in cui cade in ginocchio

incarnato nella colpa

saturo di contenuto

 

la lingua esita

tra i denti spezzati

e la confessione

 

lo appendono a testa in giù

 

dai capelli dell’angelo

colano gocce di cera

e formano sul pavimento

una semplice profezia

*

Cosa accadrà

 

cosa accadrà

quando le mani

si staccheranno dai versi

 

quando su altri monti

berrò acqua arida

 

dovrebbe essermi indifferente

ma non lo è

 

che ne sarà dei versi

quando se ne andrà il respiro

e verrà respinta

la grazia della voce

 

lascerò il tavolo

e scenderò nella valle

dove rimbomba

un nuovo riso

sotto un cupo bosco?

————————————————————

Da <<Il signor Cogito>>

 

Il Signor Cogito medita sulla sofferenza

 

Tutti i tentativi di allontanare

il cosiddetto calice amaro –

con la riflessione

l’impegno frenetico a favore dei gatti randagi

gli esercizi di respirazione

la religione –

sono falliti

 

bisogna accettare

chinare mitemente il capo

non torcersi le mani

ricorrere alla sofferenza con misura e dolcezza

come una protesi

senza falso pudore

ma anche senza inutile orgoglio

 

non sventolare il moncherino

sulle teste degli altri

non picchiare col bastone bianco

alle finestre dei sazi

 

bere l’estratto d’erbe amare

ma non fino in fondo

lasciarne avvedutamente

qualche sorso per l’avvenire

 

accettare

ma al tempo stesso

distinguere dentro di sé

e possibilmente

trasformare la materia della sofferenza

in qualcosa o qualcuno

 

giocare

con essa

ovviamente

giocarci

 

scherzare con essa

con grande cautela

come con un bambino malato

per strappare alla fine

con sciocchi giochetti

un esile

sorriso

*

Il Signor Cogito e la posizione eretta

 

1

A Utica

i cittadini

non vogliono difendersi

 

in città è scoppiata un’epidemia

di istinto di conservazione

 

il tempio della libertà

è stato trasformato in mercato delle pulci

 

il senato dibatte sul come fare

a non essere più senato

 

i cittadini

non vogliono difendersi

seguono corsi accelerati

di genuflessione

 

attendono passivamente il nemico

scrivono discorsi di leale sudditanza

sotterrano l’oro

 

cuciono nuove bandiere

innocentemente bianche

insegnano ai bambini a mentire

hanno aperto le porte della città

attraverso cui entra adesso

una colonna di sabbia

 

per il resto come al solito

commercio e copula

 

2

Il Signor Cogito

vorrebbe essere

all’altezza della situazione

 

cioè

guardare dritto negli occhi

il destino

 

come Catone l’Uticense

vedi Le vite parallele

 

tuttavia non ha

né spada

né occasione

di inviare la famiglia oltremare

 

attende dunque come gli altri

passeggia per la stanza insonne

 

a dispetto dei consigli degli stoici

vorrebbe avere un corpo di diamante

e ali

 

guarda dalla finestra

il sole della Repubblica

volgere al tramonto

 

non gli resta molto

per l’esattezza solo

la scelta della posizione

in cui vuole morire

 

la scelta del gesto

la scelta dell’ultima parola

 

così non si corica

nel letto

per non essere soffocato

nel sonno

 

vorrebbe essere fino in fondo

all’altezza della situazione

 

il destino lo guarda negli occhi

là dov’era

la sua testa

———————————————————–

Da <<Rapporto dalla città assediata e altre poesie>>

 

Il Signor Cogito – Ritorno

 

1

Il Signor Cogito

ha deciso di tornare

nel grembo pietroso

della patria

 

la decisione è drammatica

se ne pentirà amaramente

 

però non ne può più

delle locuzioni colloquiali

– comment allez-vous

– wie geht’s

– how are you

 

domande all’apparenza semplici

esigono una risposta complicata

 

il Signor Cogito strappa

le bende della benevola indifferenza

 

ha smesso di credere nel progresso

gli importa la propria ferita

 

le esposizioni di abbondanza

lo riempiono di noia

 

si è affezionato soltanto

a una colonna dorica

della chiesa di San Clemente

al ritratto di una certa dama

a un libro che non è riuscito a finire

e a qualche altra inezia

 

e allora torna

 

vede già

il confine

il campo arato

le micidiali torrette di guardia

i fitti cespugli di filo spinato

 

senza un fruscio

la porta blindata

si chiude lentamente alle sue spalle

 

ed è

ormai

solo

nello scrigno

di tutte le sventure

 

2

quindi perché torna

chiedono gli amici

del mondo migliore

 

potrebbe restar qui

in qualche modo sistemarsi

 

affidare la ferita

a smacchiatori chimici

 

lasciarla nella sala d’attesa

dei grandi aeroporti

 

quindi perché torna

– all’acqua dell’infanzia

– alle radici aggrovigliate

– all’abbraccio della memoria

– alla mano al volto

arsi sulle graticole del tempo

 

domande all’apparenza semplici

esigono una risposta complicata

 

forse il Signor Cogito torna

per dare risposta

 

alle istigazioni della paura

alla felicità impossibile

alla percossa improvvisa

alla domanda assassina

*

Abbandonato

 

1

Non ho fatto in tempo

per l’ultimo trasporto

sono rimasto nella città

che non è una città

 

senza giornali del mattino

senza edizioni della sera

 

niente

prigioni

orologi

acqua

 

godo di

lunghe vacanze

fuori dal tempo

 

girovago a lungo

per viali di case bruciate

viali di zucchero

vetro frantumato

riso

 

potrei scrivere un trattato

sulla repentina trasformazione

della vita in archeologia

 

2

c’è un gran silenzio

 

l’artiglieria nei sobborghi

si è soffocata con il proprio valore

 

a momenti

si sente solo

il rintocco dei muri che crollano

 

e il tuono leggero

della lamiera dondolante nell’aria

 

c’è un gran silenzio

prima della notte dei predatori

 

ogni tanto

compare in cielo

un assurdo aeroplano

 

getta volantini

invitanti alla resa

 

mi arrenderei volentieri

ma non so a chi

 

3

ora abito

nel miglior albergo

 

il portiere ucciso

è sempre al suo posto nella loggia

 

dalla collina di macerie

salgo direttamente

al primo piano

 

negli appartamenti

dell’ex-amante

dell’ex-capo della polizia

 

dormo su una coltre di giornali

mi copro con un manifesto

che annunzia la vittoria finale

 

nel bar sono rimaste

le medicine per la solitudine

 

bottiglie con un liquido giallo

e un’etichetta simbolica

 

– Johnnie

sollevando il cilindro

si allontana svelto verso Occidente

 

non serbo rancore a nessuno

per essere stato abbandonato

 

mi sono mancate

fortuna

e man destra

 

sul soffitto

la lampadina

ricorda un teschio rovesciato

 

attendo i vincitori

bevo ai caduti

bevo ai disertori

 

mi sono liberato

dei cattivi pensieri

 

mi ha abbandonato perfino

il presentimento della morte

5 risposte a "“Rapporto dalla città assediata” – Zbigniew Herbert"

  1. Alessandra 29 marzo 2022 / 14:23

    Avevo notato in libreria la raccolta “L’epilogo della tempesta”, pubblicata da Adelphi, ma ero indecisa, un po’esitante…. non conoscendo nulla dell’autore. Mi hai tolto ogni dubbio, merita certamente di essere approfondito. Stile sobrio, lapidario, ma molto intenso per immagini, colpisce non poco. Certo che vivere sulla propria pelle, a quei tempi in Polonia, prima l’invasione nazista e poi anche l’occupazione stalinista, altrettanto pesante sotto ogni aspetto, non dev’essere stato per niente facile.

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    • ilcollezionistadiletture 29 marzo 2022 / 18:43

      Grazie Alessandra per la visita e per le tue considerazioni. Mi fa piacere che queste poesie di Herbert abbiano suscitato il tuo interesse. Colpisce quanto esse siano ancora attuali nel rappresentare esperienze così tragiche come quelle da lui vissute. Esperienze che, per certi aspetti, altri al suo posto oggi, in quegli stessi luoghi, stanno vivendo. Poesie che esprimono una sensibilità lucida, scarna, ma profondamente umana, in cui convivono coraggio, lotta, resistenza, ma anche distacco, ironia e il valore della poesia e della sua bellezza. Peraltro Herbert con Milosz e la Szymborska è stato ormai consacrato come il più importante poeta polacco del ‘900 ed uno dei più importanti in Europa. “L’epilogo della tempesta” raccoglie le sue poesie degli anni ’90 e quindi consente di avere un ulteriore punto di vista dell’opera di Herbert. Penso che siano anch’esse molto belle.
      Grazie ancora e un carissimo saluto.
      Raffaele

      Piace a 1 persona

      • Alessandra 29 marzo 2022 / 20:24

        Coraggio, lotta, resistenza, parole quanto mai attuali. Grazie a te, Raffaele, un abbraccio.

        Piace a 1 persona

  2. crisbiecoach 31 marzo 2022 / 20:57

    Grazie per avermi fatto conoscere questo autore. Sicuramente comprerò una sua opera, è molto profondo, diretto e adatto all’attuale contesto storico.

    Piace a 1 persona

    • ilcollezionistadiletture 1 aprile 2022 / 8:13

      Grazie della visita e grazie a te per avere apprezzato queste poesie di Zbigniew Herbert che proprio leggendole oggi e alla luce dell’oggi rivelano ancora di più tutta la loro forza, tutta la loro bellezza e tutta la loro intramontabilità.
      Raffaele

      Piace a 1 persona

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