“Il fondamentalista riluttante” – Mohsin Hamid

Letto per dovere. D’altro canto, fosse stato per me, non mi sarebbe mai venuto in mente di leggere una roba del genere. Peggio di quanto pensassi. Megatema: lo scontro di civiltà, affrontato in modo così esile e superficiale da ridurlo a una questione di buoni e cattivi.

Con gli americani cattivi e gli altri, in questo caso i pakistani, giacché pakistano è l’autore e pakistano è il protagonista, il quale non è altro che l’autore sotto mentite spoglie (la biografia dell’autore coincide con quella del protagonista) i buoni, in quanto vittime dell’odioso impero americano. E così al manicheismo americano antislamico gli si contrappone un manicheismo antiamericano con buona pace dei dilemmi e delle contraddizioni che ci sono dietro a tutta questa questione.

Ma oltre a questo il peggio è che qui non c’è proprio la letteratura. Proponendosi programmaticamente come racconto e narrazione: il protagonista dice subito al suo interlocutore, a cui poi si rivolgerà in forma monologante fino alla fine: “devo raccontarle una storia”, ci si aspetterebbe un pathos e una forza narrativa proporzionate al tema.

Ci troviamo invece propinata una storia tipo S.Paolo sulla via di Damasco, in cui giovane pakistano neolaureato a Princeton viene preso da esclusiva e ambita società finanziaria che lo lancia in una carriera di sicuro successo a cui lui aderisce felicemente e acriticamente. Ma arriva l’11/9 e cosa fa costui alla vista delle torri che crollano: “soorride”, attraversato dal primo dubbio sull’ onnipotenza americana che ben presto si trasformerà in aperto risentimento, in proporzione all’ allargarsi della reazione americana, facendogliene crollare il mito in cui aveva vissuto sin lì.

Il tutto condito da una storia con una wasp doc (la quale storia, come non bastasse, occupa alla fine buona parte del racconto) che, ahimè per il nostro pakistano, è innamorata perdutamente del suo ex il quale, piccolo particolare, è deceduto, ma lei lo ama ancora e non sapendo come fare a darsi pace non trova di meglio che scomparire non si sa dove.

Insomma, per farla breve, il nostro in preda a definitiva crisi geo – politico – esistenziale lascia su due piedi, a seguito di casuale quanto improvvisato incontro con personaggio messo lì a bella posta per dare il colpo di grazia alla sua coscienza, successo, carriera, soldi, società finanziaria, la wasp e l’America e se ne torna nel natio Pakistan cercando di educare giovani compatrioti a ritrovare il perduto orgoglio nazionale e a reagire all’ americana prepotenza.

Come se alla fine il problema si risolvesse nello stare di qua o nello stare di là, laddove sarebbe stato più interessante ipotizzare il non stare né di qua né di là con tutti i tormenti che questo comportava, ma con l’autenticità letteraria che avrebbe potuto avere e che invece questo libro non ha.

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