Ci sono testi che sfuggono ad una immediata comprensione, celati, come essi sono, in una loro misteriosa attrazione. Testi in sé esili e impalpabili e, purtuttavia, pregni di una loro densità la quale costringe a riflettere, a porsi domande, a cercare di carpirne il segreto e i segreti. Testi che si rendono accattivanti per la loro scrittura lieve e apparentemente inoffensiva ma che contengono una loro perentoria durezza che li rende taglienti e stranianti. Testi che se pure si sottraggono tuttavia affascinano, che se pure sono intrisi di non detto tuttavia si imprimono per la laconicità di ciò che vi è detto, che se pure sono immersi nel silenzio tuttavia risuonano di echi profondi.
Letteratura giapponese
“Il fucile da caccia” – Inoue Yasushi
“…in quel periodo, in seguito ad un evento casuale, ero stato colpito dal nesso tra un fucile da caccia e la solitudine umana…”. Lo strano simbolismo contenuto in quel nesso si traduce, poco dopo, in una poesia in cui vi è l’evocazione della figura di un solitario cacciatore a cui “Il suo fucile da caccia, lucido e splendente, gli preme sul fianco, scavando nello spirito solitario, nella carne solitaria.”
“Il paese delle nevi” – Yasunari Kawabata
“…il romanziere (l’immaginario romanziere di Kawabata) vive in solitudine, senza rapporto con la realtà, interamente dedito alla propria arte. Nella sua vita non esiste che la carta e la penna… Continua a leggere