L’ impressione prevalente che ho avuto nel leggere “Avviso ai naviganti” è stata quella dello stupore. Uno stupore derivante non dal fatto che le cose che vi sono narrate siano fantasiose o immaginarie bensì, all’ opposto, uno stupore derivante proprio dal fatto che gli eventi e le circostanze narrate sono molto reali e realistiche eppure suscitano un senso costante di sorpresa e di affascinazione che le fa sembrare irreali e misteriose.
In “Avviso ai naviganti” il tema della sfida è il tema conduttore. Una sfida che è in prima istanza con l’ ambiente in senso naturale e con gli ambienti in senso sociale in cui i personaggi sono inseriti e in cui si muovono. Ma una sfida che “sale” ad un livello superiore allorché si comprende che la sfida che si gioca in “Avviso ai naviganti” è nei confronti della vita e dell’ esistenza per cercare di sopravvivere alle sconfitte e ai fallimenti, alle avversità e al destino, e trovare, in qualche modo, un proprio posto nel mondo. Reagendo a ciò a cui la vita e l’ esistenza mettono di fronte che accade indipendentemente dalla propria volontà e contro la propria volontà. In altre parole fronteggiando quel “mistero della vita” nei confronti del quale è assai difficile, spesse volte impossibile, darsi delle spiegazioni.
E, per parlare di tutto ciò, Annie Proulx compie, in modo mirabile, quell’ operazione suscitatrice di stupore, consumando un altro tipo di sfida, una sfida squisitamente letteraria, quella cioè di parlare della realtà facendocela percepire altra e diversa dall’ essere solo e semplicemente la realtà delle cose, ma narrandola in modo tale da trasfigurarla costantemente, facendoci percepire la presenza di quel mistero e di quell’ inspiegabile che in essa si annidano. In questo modo Annie Proulx sfida essa stessa la realtà portando dentro il testo questa sfida e ciò dando alle cose e ai fatti narrati una loro dimensione che ha i caratteri e l’ incedere dell’ epica, superando le evidenze realistiche e generando, in tal modo, quella misteriosità che ce ne fa scorgere la sua intrinseca inafferrabilità.
Annie Proulx è ormai unanimemente consacrata come una delle più grandi scrittrici americane di sempre, acclamata come tale sin dall’ uscita, avvenuta nel 1993, di “Avviso ai naviganti”, il suo secondo romanzo, per il quale le furono conferiti sia il Pulitzer che il National Book Award, risultando, in tal senso, uno dei pochi romanzi, nella storia della letteratura americana, ad avere ottenuto i due premi letterari più importanti degli Stati Uniti. Nella scrittura di Annie Proulx si coglie, in modo immediato, che il suo narrare ha i caratteri della grande letteratura, per il convivere in esso di dimensioni molteplici e opposte che rispecchiano il fluire della vita in tutte le sue polarità.
In “Avviso ai naviganti” colpisce la capacità della Proulx nel far coesistere descrizioni di cruda quotidianità con inserti di inattesa tenerezza, spietatezze che non concedono alcuna pietà con risvolti tragicamente comici che le rendono quasi farsesche, momenti di impotente disperazione con squarci intrinsecamente poetici, l’assenza di ogni retorica con l’autentica compassione, indicibili dolorosità con silenziose e tenaci rinascite e insperati risorgimenti. In altre parole nelle sue pagine non vi è mai solo una cosa, bensì vi è un senso di circolarità, di inizio e di fine continuo delle cose che accadono nelle vicende umane, un nascere e un morire che si susseguono e si alternano così come avviene nella vita.
E nell’accadere delle cose non vi è necessariamente un motivo, una causa, una spiegazione per cui le cose accadono in quel determinato modo ma vi è una sorta di ineluttabile che le fa accadere. E quindi per la Proulx, se vi è una qualche salvezza, essa non è necessariamente ascrivibile a ciò che si è fatto per raggiungerla. Non è una questione di giustizia o ingiustizia, di bene o male quanto piuttosto di inevitabilità, così come avviene per i fenomeni naturali. Vi è, in questo senso, nel mondo della Proulx un’ “amoralità” degli eventi, laddove la cattiva sorte può colpire in modo “indifferente” un colpevole e un innocente, “…una sorta di casualità sinistra e ingannevole” l’ha definita Joyce Carol Oates, la quale ha così descritto la traiettoria narrativa di Annie Proulx: “…il ‘disastro’ tende a essere annotato con un distacco quasi ironico, come la caduta di un passero, un evento come tanti altri nel cuore duro e implacabile della natura. Il rapporto tra individuo e natura, lo scontro tra un mondo segnato dai guasti della convivenza civile e un paesaggio spietato e mai consolatorio, che proprio perché non offre facili rassicurazioni garantisce ai personaggi una rigenerazione più dolorosa e duratura, sta al cuore dell’intera traiettoria narrativa di Annie Proulx.“ (Joyce Carol Oates – “In Rough Country: Essays and Reviews” – Ecco Edition – 2010)
Coerentemente a ciò si può dire che la prima di tutte le sfide presente in “Avviso ai naviganti” è quella con la natura, una natura ostile e violenta che condiziona e decide i destini degli uomini. Come è stato infatti osservato, Annie Proulx “…stabilisce una connessione con tutto ciò che è a prima vista ostico e remoto. Ci si familiarizza con i fenomeni naturali estremi – albe e tramonti apocalittici, uragani, tormente di neve – verso i quali Proulx ha una forma di venerazione che non esiterei a definire omerica, perché innalza sempre il livello della scrittura a vertici di lirismo…” (Alessandra Sarchi – “Tradurre Annie Proulx” – Articolo pubblicato il 13.9.2019 sul sito “La letteratura e noi”)
E infatti in “Avviso ai naviganti” tali dimensioni trovano riscontro nella particolare ambientazione del romanzo che si svolge in larga parte sull’isola canadese di Terranova nella quale – nonostante il consolidato radicamento umano e la presenza di tutto ciò a cui siamo abituati nella nostra civiltà – il mare, le scogliere, le strade dissestate, gli strapiombi, il vento, le tempeste di neve sono parte integrante dell’esistenza e lo stare al mondo in un luogo del genere è di per se stesso una sfida. La Proulx infatti ci descrive una terra inospitale, per il suo clima rigido, per la sua natura selvaggia e aspra, nella quale l’affascinazione per il mare e per l’andare per mare, che chi lì vive nutre, convive con la premonizione terribile e inesorabile della morte che quel mare può continuamente dare, la quale aleggia anche su chi quel mare affronta e frequenta.
L’isola di Terranova diventa quindi teatro e simbolo di quella lotta per lo stare al mondo che i protagonisti del romanzo combattono, laddove alla lotta con la natura fa da contraltare, nonché da fondamento di tutto il romanzo, la lotta durissima e, a suo modo, eroica di chi – a partire da Quoyle che, del romanzo, ne è il protagonista indiscusso – sarà obbligato a lottare per trovare se stesso. Perché per tutti i personaggi del romanzo la loro esistenza si rivelerà un corpo a corpo con la vita, dove nulla sarà lineare e scontato, previsto e prevedibile, ma tutti passeranno da eventi e avvenimenti che li metteranno alla prova e che muteranno il corso della loro vita.
Ma il raccontare della Proulx, sebbene focalizzato sui singoli personaggi, richiama sempre una dimensione collettiva. E ciò avviene in primo luogo in senso orizzontale, laddove i personaggi risultano legati e connessi da vincoli e relazioni che li tengono insieme anche oltre la loro stessa volontà, per effetto di forze e pulsioni che li attirano e li catturano. Ma avviene anche in senso verticale cioè come risalita lungo le catene generazionali nelle quali la Proulx fa affondare narrazioni che rimandano a dimensioni selvagge ed ancestrali, primitive e mitiche. Tutto ciò conferisce al narrare della Proulx un epos che è tale sia quando le vicende si svolgono nel presente e nel contemporaneo, sia quando rimandano ad un passato remoto ed antico dove leggenda e verità si mischiano e si confondono.
In questo modo il romanzo si fa contenitore non solo della storia che esso narra, ma anche e soprattutto delle storie che a partire dal torso della storia principale si dipanano, senza generare per questo alcun effetto di dispersione. Infatti le possibili spinte centrifughe, che le varie “porte” narrative che la Proulx apre all’interno del romanzo potrebbero generare, vengono “risolte” dall’intrinseca omogeneità che il mondo nel quale la Proulx si muove e muove i suoi personaggi ha. Omogeneità data dal fatto che non solo la terra, i luoghi, gli ambienti sono inospitali ed estremi nel mondo della Proulx ma è la vita stessa ad esserlo. Una vita dove tutto deve essere conquistato e riconquistato continuamente, soggetta, come essa è, a lacerazioni e rotture violente, a perdite e lutti inaccettabili che però, nonostante la disperazione, si devono accettare. E’ un agonismo di fatto quello a cui si è costretti nel mondo della Proulx ma non per conquistare vittorie ed affermazioni, ma per riuscire prima a sopravvivere alle avversità e poi a vivere.
E in questo suo mondo deromanticizzato la Proulx compie anche un’opera di demistificazione dei tradizionali miti americani e, più in generale, del mito americano in sé. Il mondo di “Avviso ai naviganti” è popolato da personaggi che hanno dovuto convivere con la condizione del looser, del perdente, subendone ferite, umiliazioni, frustrazioni. Una condizione nella quale finisce che ti trovi – come era capitato a Quoyle già nella sua giovinezza – a non poter fare “affidamento su nulla” e ad essere costretto a fare affidamento solo su te stesso. Ma in ciò non vi è l’intento di “smontare” o di attaccare il mito americano in sé, bensì di mettere a fuoco l’intrinseca debolezza dell’essere umano che è tale dovunque. Una debolezza a cui gli esseri umani resistono e reagiscono per istinto ma che comporta il dover pagare prezzi anche molto alti.
E così come può accadere in ogni luogo del mondo anche nei luoghi di questo romanzo bisogna fare fronte alla propria vulnerabilità, al proprio essere indifesi, alla propria fragilità, alla propria natura, alla propria innocenza, convivendo con una costante sensazione di pericolo, con il rischio del naufragio, con l’impressione di non essere mai al sicuro, stando in un equilibrio sempre precario. E pure il passato, inteso come fondazione delle proprie origini, lungi dall’essere luogo rassicurante che evoca tradizione, sicurezza, radici svela invece esistenze ed esperienze fatte di segreti oscuri, di fame, di isolamento, di degenerazione, di incesto. Il mito pioneristico si rivela infatti torbido e brutale, fatto di messe al bando e di peregrinazioni sovrumane, di antenati violenti, di vite feroci.
Vittima di una inadeguatezza congenita che lo rende perennemente gregario, sottoposto come egli è, sin dall’infanzia, ad una condizione di sottomissione, Quoyle ne diverrà totalmente prigioniero allorché si innamora e sposa Petal, una donna pessima che gli imporrà, da subito, un rapporto basato sulla sottomissione. Che egli accetta, amandola forse proprio per questo, al punto da rendere, alla stessa Petal, la sottomissione di Quoyle, insopportabile. Tuttavia all’interno di questo luogo infernale che è il loro matrimonio Quoyle e Petal mettono al mondo due bambine a cui Quoyle farà da padre e da madre – essendo Petal del tutto assente – che egli curerà e accudirà sempre con totale dedizione. Le quali bambine daranno un senso, l’unico, alla fine di quel matrimonio che avverrà con la tragica e mortale fuga di lei con l’ultimo dei suoi amanti. E così da Brooklyn dove viveva e dove faceva il giornalista per caso, “ A trentasei anni, in lutto e in preda al dolore per il suo amore perduto, Quoyle aveva virato verso Terranova, l’isola dei suoi antenati, un luogo che non aveva mai visitato, né mai aveva pensato di visitare”.
A determinare quell’ improbabile trasferimento è lo sgretolarsi definitivo di ciò su cui si basava la vita di Quoyle. Alla perdita di Petal si aggiungerà la perdita del lavoro. Quel lavoro di giornalista iniziato senza alcun background e in modo del tutto fortuito, svolto tra licenziamenti e riassunzioni, sempre da parte dello stesso giornale, fino al licenziamento definitivo. Ed infine, ad azzerare tutti i legami di Quoyle, ci si metterà anche il suicidio congiunto dei suoi genitori che lascerà praticamente Quoyle solo al mondo e con due figlie di cui occuparsi.
Ma questa condizione di sradicato in cui Quoyle si viene a trovare è in realtà l’esito di legami malsani, di relazioni tossiche, di rapporti utilitaristici quali sono stati quelli con i suoi genitori e con suo fratello, con Petal, con il giornale, nei quali Quoyle è stato, fino a quel momento della sua vita, imprigionato, soffocato, schiacciato, determinando tutto ciò quella “umiliante incertezza” che lo contraddistingue. In questo senso i legami, le relazioni, i nodi che possono unire e tenere salde cose e persone ma, al tempo stesso, possono stritolarle, sono figure chiave in “Avviso ai naviganti”. Legami, fili, nodi, sono infatti immagini e, al tempo stesso, simboli ricorrenti nel romanzo e la tessitura, la varietà e le combinazioni che possono assumere tali nodi è testimoniata dalla scelta fatta dalla Proulx di iniziare quasi tutti i 39 capitoli di cui è composto il libro con la descrizione e l’immagine di uno specifico tipo di nodo tratta da “Il libro dei nodi” di Clifford W. Ashley che, in apertura del libro, la Proulx cita e ringrazia espressamente: “…senza l’ispirazione fornitami da Clifford W. Ashley con la sua splendida opera del 1944, “Il libro dei nodi”, che ho avuto la fortuna di acquistare a una svendita per un quarto di dollaro, questo libro sarebbe rimasto solo il filo di un’idea”.
E quanto possano essere innumerevoli e imprevedibili le conseguenze a cui può portare l’intrecciare un nodo in un modo piuttosto che in un altro la Proulx lo evidenzia da subito in epigrafe: “<<In un nodo con otto incroci, un numero che si può ritenere medio, sono possibili 256 combinazioni. Basta un cambiamento nella sequenza di questi incroci, e il risultato è un nodo completamente diverso, oppure il nodo si disfa del tutto>> IL LIBRO DEI NODI.” Questa metafora dei nodi rispecchia, con tutta evidenza, l’idea stessa della vita della Proulx, un’idea della vita fatta di fili che si intrecciano ma le cui combinazioni e i relativi esiti possono essere appunto innumerevoli e imprevedibili non essendovi alcunchè di scontato nel modo in cui possono avvenire tali intrecci.
E a combinazioni valide un tempo se ne possono sempre sostituire altre, nuove e diverse: “<<Ci sono molti nodi vecchi, che nessuno ricorda più, e sino a quando sorgeranno nuove necessità, ci saranno nuovi nodi da inventare>> IL LIBRO DEI NODI”, la quale citazione, non a caso, è apposta all’inizio dell’ ultimo capitolo del libro a significare ulteriormente il continuo evolversi che possono assumere le configurazioni dei nodi dell’esistenza. C’è quindi uno scorrere e un fluire incessante nel tempo e nello spazio che lega cose e persone in modi e circostanze che possono essere completamente diverse a seconda della sequenza con cui le cose avvengono. E come un nodo può salvare può anche uccidere: “<<In passato reti magiche, trappole e nodi erano usati come armi letali e, in alcuni casi, lo sono ancora.>>I NODI DEI QUIPU E DELLE STREGHE” , così come recita questa citazione posta nell’intestazione del capitolo 33.
Trovatosi quindi con tutti i nodi della sua vita scioltisi – suo malgrado – violentemente, Quoyle avrà dalla sua un inatteso destino che lo porterà a stringere, dal nulla, un nodo del tutto nuovo: quello con una sua vecchia zia, la zia Agnis, sorella di suo padre, apparsa sulla scena allorquando, contattata da Quoyle per darle notizia della morte del padre, si presenta in casa di Quoyle e, con decisa naturalezza, ne prenderà in mano le redini della sua vita. “In quel momento difficile, Quoyle si trovò davanti una donna saggia e coraggiosa. La sua unica parente donna. <<Resta qui con noi >>, le disse. <<Io non so proprio cosa fare.>> Si aspettava che la zia scuotesse il capo, rispondendo che no, non poteva, doveva tornare a casa, poteva trattenersi ancora qualche minuto. E invece la zia annuì. <<Magari per qualche giorno. Giusto il tempo di sistemare le cose.>> Si sfregò le mani, come se un cameriere le avesse appena servito una pietanza prelibata. <<Guardala da questo punto di vista>>, gli disse. <<Hai la possibilità di ripartire da zero. Un posto nuovo, nuova gente, un ambiente diverso. Un taglio netto è quello che ti ci vuole. Se ricominci tutto da capo, puoi riuscire a realizzare qualsiasi cosa desideri. In un certo senso, è quello che sto facendo anch’io.>>”
E così quella improvvisa e sottile comunanza di intenti “legherà” Quoyle e Agnis annodando, da quel momento, le loro vite. Ed è in quel modo che nasce l’ idea e il progetto di trasferirsi a Terranova, luogo di origine dei Quoyle, dove Agnis era nata e vissuta fino a 17 anni quando, nel ’47, la sua famiglia si trasferì negli USA, ad eccezione di suo padre “…morto un mese prima della partenza, ucciso da un nodo lento mentre scaricava barili di chiodi“, rievoca Agnis.
E sarà la sua voce e il suo racconto a “riesumare” la terribilità che quel luogo aveva avuto nel suo passato: “In seguito alcuni presero a considerarlo un luogo infestato da spiriti maligni. L’inedia primaverile mostrava visi scheletrici e giunture nodose sotto la pelle. Che impresa disperata, riuscire a sopravvivere. Aggrapparsi alla vita con le unghie e con i denti per superare le terribili difficoltà. Il mare, come un alchimista, trasformava i pescatori in cumuli di ossa bagnate, spingeva le barche alla deriva tra i banchi di merluzzi per abbandonarle poi sulla battigia. La zia ricordava le storie narrate dalla voce degli anziani: il padre che aveva ucciso i figli più grandi, e se stesso, affinché il resto della famiglia potesse vivere della poca farina avanzata; i cacciatori di foche accovacciati su un banco di ghiaccio galleggiante che affondava lentamente, finché uno dei due non decideva di saltare in acqua; i lunghi viaggi attraverso le tempeste di neve in cerca di medicinali – spesso sbagliati e, comunque, tardivi – per il malcapitato in preda alle convulsioni. Non aveva più attraversato quelle acque da quando era ancora una ragazza, ma ora tutto le tornava alla mente: il gorgoglio ipnotico del mare, l’odore di sangue, di maltempo e di sale, di teste di pesce tagliate, di legno di abete bruciato e di ascelle maleodoranti. Il sibilo delle onde contro gli scogli affioranti, le urie, il sapore del pane secco bagnato nella zuppa di pesce e maiale, la stanza da letto sotto la gronda.”
Ma se all’inizio sarà Agnis a tirare le fila di quella loro nuova vita a Terranova – una vita che dovrà fare i conti con difficoltà dai risvolti epici, acuite dal contrasto tra i volitivi e ambiziosi progetti di Agnis e le condizioni estreme e selvagge di quel luogo – successivamente e progressivamente sarà Quoyle a riprendere in mano le redini della sua vita, divenendo parte di tutta una serie di relazioni con varie persone con cui, per vari motivi, entrerà in contatto. Egli si troverà infatti costretto a confrontarsi con persone che lo metteranno alla prova ma che, a differenza di quelle con cui aveva avuto a che fare nella sua vita precedente, non avevano quella pulsione a sottomettere di cui Quoyle era stato da sempre vittima. L’universo umano che Quoyle incontrerà a Terranova fatto a prima vista di abitanti scontrosi e solitari, sarà in realtà fatto di persone che, come lui, avevano avuto, nella loro vita, fallimenti, lutti, ferite, perdite e sconfitte dalle quali si erano duramente e faticosamente risollevati. Avendo vissuto, chi più chi meno, così come era accaduto a Quoyle, l’esperienza della morte e del dolore con cui dover fare i conti.
Esistenze perciò segnate da sfide con la vita nel contesto di quella sfida con la natura che il vivere in quel luogo comportava. E, in tutto ciò, Quoyle troverà le condizioni per poter esprimere parti di sé stesso inespresse, da sempre soffocate dentro quei rapporti tossici e malsani in cui aveva vissuto. I “nodi” che intreccerà si riveleranno per lui vitali prima per la sua sopravvivenza a Terranova, poi per la sua esistenza. Sarà quindi una metamorfosi la sua che lo introdurrà dentro un mondo “affettivamente” nuovo e che lo porterà a vivere una esperienza nuova di che cosa vuol dire amare, un’esperienza non più basata sulla sofferenza e sul dolore.
Lavoro, amicizie, affetti diverranno per Quoyle ambiti evolutivi ma senza determinare un suo snaturamento, senza renderlo superficiale e insignificante. La sua sensibilità e le sue sensibilità resteranno inalterate e invece che produrgli ferite gli consentiranno di esprimere la sua umanità senza subirla, finendo per acquisire una sua dignità che gli procurerà rispetto. E, in virtù di questa crescita di Quoyle e di questo suo risorgimento “Avviso ai naviganti” lo si può considerare un romanzo di formazione laddove Quoyle troverà un proprio posto nel mondo pur restando sempre estraneo a qualsiasi tipo di protagonismo. La vicenda di Quoyle non è quindi ascrivibile all’affermarsi di un forza della volontà che di punto in bianco si impone nella sua vita, essa rivela invece quanto il mistero della vita sia complesso e imprevedibile e come le sequenze degli eventi ne possano determinare gli esiti. In questo senso la Proulx nel contesto di una narrazione basata su un realismo di fondo la costella di resoconti, episodi, fatti e avvenimenti nei quali, il loro svolgersi, contiene circostanze assurde e impensabili, enigmatiche e irreali, a prescindere che il loro esito sia stato tragico o grottesco. E ciò a rimarcare quell’intrinseca misteriosità che la vita e il mondo contengono che non ha spiegazioni, né possibili predizioni.
E sarà di fronte al mistero della vita e della morte che Annie Proulx ci condurrà alla fine di questo suo libro, allestendo, nell’ultimo capitolo, una vera e propria resurrezione. Reale nel suo svolgersi e attendibile nella sua ricostruzione, per come erano andate le cose, ma, non per questo, meno misteriosa e stupefacente nel suo miracoloso avverarsi: “Perché alcuni venivano risparmiati e altri no? E perché solo alcuni resuscitavano? Ah, potrei trascorrere anni interi a cercare di fornire quelle risposte, senza tuttavia riuscire a chiarire il mistero”, farà dire la Proulx, a mo’ di alter ego, ad uno dei personaggi che avevano assistito a quel trapasso non già dalla vita alla morte ma dalla morte (presunta) alla vita.
Con una prosa ironica, asciutta, disincantata ma, al tempo stesso, palpitante, autentica, viva, la Proulx realizza, in “Avviso ai naviganti”, un grande affresco sul tema della sfida a cui gli uomini sono costretti dalla vita per poter stare al mondo, sfida i cui esiti e i cui risvolti sono e restano del tutto imponderabili potendo tradursi una volta in una maledizione in un’altra in una liberazione. Vi è quindi un suo “avviso ai naviganti” in ciò che ci comunica la Proulx, mettendoci di fronte a quella trama dell’esistenza nella quale i nodi che la intrecciano possono dar vita, in ogni momento, ad ogni tipo di stupore.