Thomas Bernhard – “Sotto il ferro della luna” – Traduzione di Samir Thabet – Crocetti Editore – 2015
1
Quest’anno è come l’anno di mille anni fa,
noi portiamo la brocca e sferziamo la schiena della vacca,
falciamo e non sappiamo nulla dell’inverno,
beviamo mosto e non sappiamo nulla,
presto saremo dimenticati
e i versi svaniranno come neve davanti alla casa.
Quest’anno è come l’anno di mille anni fa,
guardiamo nel bosco come nella stalla del mondo,
mentiamo e intrecciamo cesti per mele e pere,
dormiamo mentre le intemperie consumano
davanti alla porta le nostre scarpe infangate.
Quest’anno è come l’anno di mille anni fa,
non sappiamo nulla,
non sappiamo nulla del declino,
delle città sprofondate, del vortice in cui sono affogati
cavalli e uomini.
8
I bianchi germogli della primavera
germogliano nel sangue,
solo lutto alita la mia morte per i deserti,
solo col canto l’erba sa scrivere in cielo le note
dove grevi nubi piangono il marzo di giorni scuri,
mai più ci nascerà un orecchio nel fiume e una preghiera
nella pietra,
il rematore delle stelle muore,
gli asini blu vanno allegramente con brocche vuote
attraverso il fogliame marrone.
Quando mi dirà il mio Dio dove e quando
il tempo affonda l’aculeo nella carne?
La notte m’abbrucia le ore,
le mura mi saccheggiano il cuore,
voglio sparire nel vento,
il mio gelo pende con le foglie, sonno in case
straniere,
folle nella valle la luce perfora la mia preghiera
di stanchezza,
e lo spirito innalza l’estate
e, sulla tomba, la morte
dove gli infermi soli delle mie labbra ferite
stendono, sopra il mondo verde con dormienti di cenere
rossa,
un panno intessuto di luna e latte e vento e pianto.
14
Ascolta, nel vento si agitano
paure,
gli occhi di molti fanciulli
si chiudono
in ruscelli inquieti.
Più selvaggio grida
l’uccello
del mio morire,
ascolta,
nel vento si agitano
paure,
infreddolito
torna a me
ciò che avevo perduto,
nella morte molti si alzano
con mani di sangue
che reggono
bianche vele
di stelle stanche
e di compiante estati,
ascolta, fratello mio
sorella,
ascolta,
nel vento si agitano
paure.
19
Il ferro lucido della luna
ti ucciderà e il duro
piede dell’uccello gigante
cui hai confidato
il tuo lutto
in inverno.
Il bosco avvolgerà le sue ossa
nell’irrequietezza
e ti butterà giù
il vento
che spinge
dal bianco nascondiglio
di caprioli sfasciati.
Il sole seppellirà
la sua piaga
dietro i tronchi morenti
e il fuoco delle tue labbra
fiammeggerà
germogli ghignanti
di morte.
25
Dio sente la mia preghiera anche
al mattino nel campo di grano
dove il vento
chiama a raccolta i figli del mezzodì
e i defunti
si riposano dai loro cervelli
al muro.
Dio mi sente
nella tenebra della pioggia
e sulle vie
di prati amari e di pietre lucide
sopra i teschi della notte
che, per la paura, s’infrangono
nei miei sogni.
Dio mi sente
in ogni angolo del mondo.
35
Dimenticami nelle stanze,
spegnimi sulla porta,
lascia che la neve da bianche cime
si spinga nel mio invecchiare,
oh dimenticami,
senza foga la mia morte
sfiorerà le città del Sud
con il vento le torri dei bei giorni,
oh dimenticami,
in marzo sarò già cosa di ieri
e con il detto dell’albero
che ogni giorno muore
dietro i monti
sepolto dalla neve,
dimenticami,
domani rimane di ieri
solo il fumo
che viene da mille bocche
di tetti neri,
morte,
dimenticami.
Oh dimenticami
come inverno, nelle valli,
rivolta a tetri cuori
e a sogni
come il notturno battito d’ali
del gabbiano.
36
Novembre arrivò dovunque
dovunque
da boschi infreddoliti
una musica triste da tombe
svuotate
che parlano tra loro
finché la luna, calando tardi
sopra il campanile,
serrò il suo velo.
Novembre arrivò dovunque
dovunque;
così, forse, sulla guancia
si scioglierà la neve quando le
campane
scuoteranno il gelo,
e attraverso il mare imprecante, i nostri
mattini
guarderanno nell’inamovibile conchiglia della primavera.
54
Quanta fatica per proferire una parola
a chi è corrotto
e non sa distinguere un sogno
dai robusti rami del pero.
Quanta fatica per una parola
su questa strada polverosa,
nemica delle mie scarpe
più che il sole per la neve
e l’acqua per il deserto.
Quanta fatica per una parola
a mio padre e a mia madre,
quanta fatica per una parola
a tutti quelli che vedono me che invecchio
in un trafitto autunno.
Quanta fatica per una parola
in questi giorni che sono smemorati.
Quanta fatica per una parola.
Hai letto questo libro. E mi sembra ancora più bello.
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Anche a me, tutte le volte che lo leggo, sembra più bello.
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Vedi, non sapevo avesse scritto anche poesie. Suggestive. Però, per comprenderle meglio, penso sia necessario sapere qualcosa di più dell’autore… Dovendo ancora approcciare i suoi romanzi e la biografia, molto mi rimane purtroppo oscuro.
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Grazie Alessandra della visita e dell’attenzione. Si, Bernhard come poeta è poco noto anche se ha una produzione poetica non secondaria articolata, come essa è, in cinque raccolte di cui una è appunto “Sotto il ferro della luna”. E’ tuttavia una produzione concentrata negli anni della sua gioventù, avendo a un certo punto abbandonato la poesia, dedicandosi solo alla prosa.
La poesia di Bernhard è una poesia antilirica nel senso che smonta e rivisita i simboli della lirica, come in questo caso quello della luna, inserendoli in un contesto segnato da lacerazioni e tormenti. E, in questo, c’è un legame con il resto della sua opera, in quanto proprio da questo suo approccio antilirico emerge quel mettersi in contrasto e procedere per contrasto che è un po’ il canone dell’opera di Bernhard e il suo modo di stare al mondo. Anche se non è mai gratuito ma esprime sempre un sentire e un dirsi senza remore, spietato e “inconsolabile”. Un altro modo, queste poesie, per avvicinare e scoprire Bernhard in tutta la ricchezza del suo linguaggio. E poi, come avevi appena scritto nel tuo ultimo articolo nel tuo blog, in merito alla riscoperta in corso della poesia che avevi notato, anch’io sto facendo un recupero della poesia. Sia di quella prodotta da scrittori e poeti che amo sia di quella di autori che sto avvicinando solo adesso. E quindi questa “uscita” con queste poesie di Bernhard è un po’ l’inizio di un percorso che mi riprometto di proseguire.
Grazie di nuovo e un carissimo saluto.
Raffaele
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La tua aggiunta, in questo commento, mi aiuta già a capire meglio “il senso” della sua poesia, quindi non posso che ringraziarti a mia volta. Resta il fatto che è un autore da conoscere e approfondire, e mi ci vorrà del tempo per farlo. Felice di sentire che darai spazio anche alla poesia su queste tue belle pagine, curate sempre con passione.
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Grazie per questo assaggio dell’opera poetica di Bernhard, che non conosco affatto. Fa strano leggere dei testi così diretti, se si considera quanti filtri il Bernhard della prosa frappone fra la narrazione e il lettore. Diretti non nel senso che parli l’uomo Bernhard in senso immediatamente autobiografico, ma nel senso che la poesia (questa poesia) è un’espressione molto più immediata di un io rispetto alla “prosa di romanzo”. C’è anche tutto un aspetto “descrittivo” (=immagini, es. “grevi nubi piangono il marzo di giorni scuri”, “il mondo verde con dormienti di cenere rossa”) che è poi completamente assente nella prosa (mi pare che qualcosa come una traccia di ispirazione lirica si trovi ancora in Amras, ma non ho letto né Gelo né Perturbamento). Immagino che debba essere così, trattandosi appunto di lirica. Però fa un effetto strano.
Grazie ancora per la condivisione del testo e buona domenica!
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Secondo me Benhard si è sempre “detto”, non ha taciuto mai, giungendo anche all’esasperazione, quello che era il suo sentire e il suo vivere le cose. Una sorta di ipersensibilità le cui catene, che in certo senso lo imprigionavano, ha cercato di rompere dando voce a quella sua ipersensibilità attraverso la scrittura e, in tal modo, attuando una sorta di liberazione attraverso la sua opera. Come uno svuotarsi per alleggerirsi di ciò che gravava dentro di lui. Questa sensibilità forte di un io che preme, soffre, palpita, si dilania, ma in realtà anche combatte e afferma se stesso, mi sembra una traiettoria che attraversa queste poesie, ritorna nelle sue prose, i protagonisti delle quali sono in gran parte degli io all’ennesima potenza (da Reger in “Antchi maestri” a Strauch in “Gelo”, al principe di Saurau in “Perturbamento”, al Rudolf di “Cemento”solo per citare quelli che conosco di più) per trovare, infine, un esplicito suggello nelle sue pagine autobiografiche che, come sappiamo, sono tante e importanti nel loro dirsi e nel loro darsi. Insomma, pur nel mutare delle forme, del loro affinamento e della loro potenza espressiva che, nelle prose è sicuramente maggiore ed evoluta, lo spirito e l’arte di Bernhard restano quelli, a testimoniare una coerenza e un rigore sia sul piano umano che su quello artistico e della sua poetica solidissimi.
L’accenno poi che fai alle “immagini” presenti in queste poesie mi dà lo spunto per evidenziare come queste immagini sono sempre decontestualizzate dal canone lirico in cui tradizionalmente sono immesse e riportate dentro descrizioni segnate da un turbamento emotivo che ne stravolge e ne demistifica il senso abusato e consolidato. Penso per es. alla chiusa di 35 affidata all’immagine del gabbiano ma il cui “notturno battito d’ali” del relativo verso distrugge il canonico candore del gabbiano e lo ricolloca in un contesto differente che ne coglie tutta un’altra realtà
Insomma le cose da dire su Bernhard più si va avanti più ce ne sono e, in questo senso, ti ringrazio di avere condiviso a tua volta e di avermi dato, come sempre, stimoli e spunti di riflessione che aiutano, prima di tutto me, a capire di più e meglio le cose.
Un carissimo saluto e buona domenica anche a te.
Raffaele
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Conosco troppo poco (anzi, niente) la poesia di Bernhard e le sue prime opere in prosa per esprimere più di un’impressione. Mi pare tuttavia – fermo restando la sostanziale coerenza dell’autore e dell’uomo – che l’intenzione sia diversa – il modo di porsi di fronte al proprio testo. Questo può essere una banalità, dal momento che poesia e romanzo richiedono due atteggiamenti diversissimi tra loro, però non mi pare un caso che a un certo punto Bernhard abbia abbandonato la poesia per passare alla prosa. Mi sembra uno stacco netto, come se si fosse reso conto che l’atteggiamento da romanzo (sempre più mediato e ironico) era quello giusto per lui, e la poesia un giovanile sentiero interrotto.
Grazie dell’attenzione e a presto
Elena
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Infatti è così. Secondo me i moventi e i motivi dell’ispirazione di B. non cambiano, sono i mezzi espressivi che cambiano essendosi sicuramente accorto che la forma romanzo gli consentiva di dispiegare in modo più potente il suo sentire. Dandogli la prosa quella possibilità di andare oltre la tragedia, che domina nelle sue poesie, traghettando la tragedia dalle parti della commedia senza però che quella tragedia sia perduta di vista restando motivo ispiratore anche nei suoi romanzi che non sono certo allegri.
Per questo poesie e prose sono secondo me in continuità tra loro, ma avendo le prose un in più che è quello “smentire” la tragedia, esasperandola al punto da renderla comica o, se si vuole, tragicomica.
Ma sempre tragedia resta che è e resta la natura profonda di B.
Questo altresì gli consente di sviluppare proprio dentro l’opera il meccanismo del contrasto, perché, come ho scritto nel commento ad “Antichi maestri”: “in Bernhard quasi mai si dà una cosa sola. O si dà una cosa e il suo opposto… o si dà una cosa e il suo doppio.” E questo nelle poesie non avviene.
Grazie come sempre. A presto.
Raffaele
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Grazie per questa lettura. Devo dire che accedo più naturalmente e piacevolmente al Bernhard poeta che al romanziere. Le immagini e gli ossimori perfetti, i refrain e la reiterazione di esortativi rimandano alla condizione umana del sempre e dell’oggi in modo netto, senza sconti. Ho pensato all’Eliot della Waste land, leggendo, anche se il modo che Bernhard ha di assolutizzare la condizione d’essere è molto diverso dal metodo mitico eliotiano.
Un caro saluto:-)
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Ma fa piacere che queste poesie di Bernahrd ti siano piaciute e che tu le abbia apprezzate proprio per quel loro essere “senza sconti”, prive di consolazione.
Si, c’è un senso di assoluto e di inesplicabile, di lamento che si fa preghiera, nella consapevolezza di un’impossibile liberazione, che è quel dolente elemento metafisico che ricorre in Bernhard.
Il riferimento che fai a Eliot è quanto mai appropriato essendo Eliot presente a Bernhard tanto da averne messo, in epigrafe di “Ave Virgilio” un’altra delle sue raccolte poetiche, i versi.
Grazie come sempre, della visita, dell’attenzione e dei tuoi bei contributi.
Un caro saluto
Raffaele
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