“Memorie di Adriano” – Marguerite Yourcenar

“Poco a poco, questa lettera cominciata per informarti dei progressi del mio male è diventata lo sfogo di un uomo che non ha più l’energia necessaria per applicarsi a lungo agli affari dello Stato; la meditazione scritta di un malato che dà udienza ai ricordi. Ora, mi propongo ancor più: ho concepito il progetto di raccontarti la mia vita.” Con queste parole, poste poco dopo l’inizio del primo dei sei capitoli in cui sono suddivise le “Memorie di Adriano”, l’imperatore Adriano esplicita l’intento che ha assunto per lui quella lettera che egli sta scrivendo e indirizzando a Marco Aurelio, suo nipote adottivo nonché futuro erede dell’Impero, e cioè l’intento di raccontargli la propria vita nel momento in cui quella sua vita sta ormai giungendo al suo termine.

E’ così che Marguerite Yourcenar dà avvio a quella “frase continua”, a quell’ininterrotto monologo interiore fatto pronunciare ad Adriano con cui egli, in prima persona, ripercorre la sua esistenza ricostruendone, attraverso il suo svolgersi, le verità umane e interiori da essa in lui suscitate. Mediante un’introspezione svolta in modo analitico e mediante il tono di confessione-bilancio che la Yourcenar dà al racconto su di sé che Adriano fa, tale racconto assume ben presto il valore di un testamento spirituale. Dove le vicende personali e i fatti storici sono ricondotti dentro un quadro di significati e di considerazioni che travalicano la specificità di quelle vicende e di quei fatti e assurgono a motivo di riflessione sull’esistenza umana.

Le “Memorie di Adriano” – uscite nel 1951, ma concepite e iniziate dalla Yourcenar nel 1924, a cui quindi ella lavorò, se pur a più riprese, per quasi trent’anni – si configura come un’opera unica nel suo genere perché oltrepassa i canoni del romanzo storico, del saggio a sfondo filosofico, così come quelli dell’opera di natura classicamente biografica per giungere, traendo ispirazione dalle circostanze della vita di Adriano, ad una meditazione sul destino umano di ogni tempo, in una forma, a suo modo, profondamente poetica.

E ciò attraverso la dilatazione della nozione di uomo che la Yourcenar opera in quanto Adriano da singolo uomo partecipe e artefice del suo tempo diventa via via, nello svolgersi dei suoi pensieri, un uomo che, rivolgendosi idealmente alla generalità degli uomini, riflette sulla vita umana in sé tale da assumere quella riflessione un valore universale. Così, nel suo racconto, la sua vita e la sua opera da contingenti e transitorie si protendono verso una ricerca di eternità capace di farsi patrimonio umano e, in quanto tale, capace di esistere indipendentemente da lui.

In tal senso in Adriano si congiungono l’aspirazione a mantenere vivo il più possibile quanto di positivo e soprattutto di “bello” quella civiltà di cui egli è stato uno dei massimi interpreti ha prodotto con la consapevolezza del tramontare inesorabile a cui quella civiltà è pur tuttavia destinata. Ed è in questa continua ricerca di senso e di valore che Adriano dà alle cose, alle esperienze e alle azioni, a fronte delle inquietudini che lo attraversano, conscio di quanto di effimero e vano vi sia nell’esistenza umana che si fonda la grandezza del personaggio e la ricerca della Yourcenar.

Lungi infatti da qualsiasi aspirazione alla gloria in sé, Adriano rifugge da ogni vanità, contrapponendovi una sete di elevazione protesa verso la “bellezza” intesa sia in senso spirituale ed esistenziale che estetico ed artistico e sorretta da un rigore morale difeso come superiore ad ogni cosa. Vi è quindi in Adriano un’umiltà che lo rende capace di vivere il distacco e il disincanto che derivano dalla consapevolezza dello sfuggire che le cose hanno da cui quella sottile vena di malinconia che il flusso delle sue parole ha: “Fu allora che mi strinse il cuore la malinconia d’un istante: pensai che le parole adempimento, perfezione, contengono in sé la parola fine: forse, non avevo fatto che offrire una nuova preda al Tempo divoratore”.

Tuttavia Adriano e, tramite lui la Yourcenar, rifiutandosi di assoggettarsi all’inesorabilità dell’oblio in cui tutto scompare e quindi della morte, affermano – e il concepimento stesso delle “Memorie” e il loro contenuto lo attestano – la possibilità ma anche la necessità che l’uomo continui a vivere a prescindere da sé, ricongiungendosi a un’idea di uomo che non cessa di esistere in quanto, lungi dal restare prigioniero della Storia, si protende oltre essa, da cui il senso che l’idea di eternità qui assume:”Ho ricostruito molto: e ricostruire significa collaborare con il tempo nel suo aspetto di “passato”, coglierne lo spirito o modificarlo, protenderlo, quasi, verso un più lungo avvenire”, dice Adriano.

D’ altro canto le “Memorie di Adriano” furono ispirate, in modo decisivo, alla Yourcenar, da una frase da lei letta in Flaubert – che ella riporta nei “Taccuini di appunti” che seguono il testo – e da lei stessa definita “indimenticabile”: “Quando gli dei non c’erano più e Cristo non ancora, tra Cicerone e Marco Aurelio, c’è stato un momento unico in cui è esistito l’uomo, solo” E, in relazione alla quale, ella aggiunge: “Avrei trascorso una gran parte della mia vita a cercar di definire, e poi descrivere, quest’uomo solo e, d’altro canto, legato a tutto”.

Ora per la Yourcenar la figura di Adriano è esemplare proprio in quanto egli regnò in quel II sec. d. C., il cosiddetto secolo aureo, che fu il più prospero dell’impero romano, al quale Adriano assicurò pace e stabilità e in relazione a ciò la Yourcenar non a caso, sempre nei “Taccuini”, precisa che: “Se quest’uomo non avesse conservato la pace nel mondo e rinnovato l’economia dell’impero, le sue gioie, le sue sventure mi interesserebbero meno”. Ma quel secolo fu anche epoca di transizione tra il decadere della religione tradizionale e l’affermarsi del cristianesimo e quindi un’epoca che vede al suo centro quell’ ”uomo, solo.” cioè l’uomo in sé nella sua essenza, inteso come parte ed espressione degli uomini di tutte le epoche da cui quel “legato a tutto” usato dalla Yourcenar.

Adriano quindi in punto di morte non si illude in nulla, ma nel passare in rassegna ciò che ha fatto e ciò che sta lasciando è già oltre la morte. Vi è nella sua “voce” una pacatezza e una pazienza che sono state e restano la sua forza e che sono, a loro volta, lo stile peculiare della Yourcenar la quale riesce a dare alla sua prosa un ritmo quasi ipnotico. Ella si cala totalmente in Adriano scomparendo dalla scena ma, in realtà, trasferendo al personaggio un calore e un affetto che nutrono la scrittura e suggeriscono la sua presenza.

E’ la grande capacità di equilibrio che colpisce in Adriano, il suo rigore e il suo impegno nel ricercare e conciliare metodo e felicità, intelligenza e umanità, così come il suo senso del limite e dei limiti, la sua visione generale delle cose e degli uomini, la sua raffinata sensibilità di uomo colto come quella interiore per i sentimenti suoi e altrui, la capacità di bilanciare la percezione del nulla con l’esaltazione dell’essere, in altre parole il suo consapevole e continuo affinamento interiore come antidoto all’angoscia della morte.

In questo senso, in Adriano non vi è antagonismo tra lui e la sua vita, quasi che la vita lo attraversasse pur essendone il protagonista. Tutto in Adriano appare “indimenticabile” nel suo limpido dispiegarsi ma tutto è anche sorretto da un’armonica disciplina che ne guida le azioni ma che lo educa altresì a sopportare le avversità. Adriano narra della sua giovinezza, dei suoi viaggi, della sua ascesa che lo ha portato a divenire imperatore, delle sue conquiste militari e del suo impegno a rafforzare l’impero, delle “arti” e delle occupazioni a cui si è dedicato, del suo amore per i libri e la poesia, dell’importanza e del fascino che la Grecia e l’ellenismo hanno avuto per lui, dell’ambiente di corte, dei suoi amici e dei suoi nemici, dei suoi rapporti con i culti e le religioni del suo tempo e, non da ultimo, si sofferma sul diletto amoroso perché “di tutti i nostri giochi, questo è il solo che rischi di sconvolgere l’anima”, da cui le sue riflessioni sull’amore umano, di rara intensità.

Anche alla luce di quell’amore esclusivo nutrito verso il giovane Antinoo che lo catturerà rendendolo felice: “questo bel levriero avido di carezze e di ordini si accucciò nella mia vita”, ma che anche lo segnerà per il suicidio di Antinoo, la cui memoria egli trasformerà in un vero e proprio culto, in un convivere di amore carnale e spirituale. E, in questo suo abbandonarsi al sentimento amoroso, vivendone e patendone le emozioni, tanto più acuite da quella perdita, Adriano incarna la sua parte emotiva che egli non negherà riconoscendosi in essa, come quando afferma: “…la mia natura, già di per se stessa composita, formata in parti eguali di cultura e d’istinto”. Rifuggendo quindi da qualsiasi esteriorità e sottolineando la sua ricchezza ma anche la sua nudità di uomo.

E, come detto all’inizio, è l’incombere della morte l’ultimo appuntamento a cui Adriano è chiamato dalla vita ed è ad esso che egli dedica le sue ultime riflessioni. Ma. a differenza di chi, come era stato per Traiano, il suo predecessore, il quale, all’approssimarsi della morte, “Era giunto in quella fase dell’esistenza, variabile per ciascuno, in cui l’essere umano si abbandona al suo demone o al suo genio, segue una legge misteriosa che gli ingiunge di distruggere o superare se stesso”, Adriano, proprio con quella sua lunga appassionata lettera rivela che si sta avvicinando vigile alla morte, estraneo a derive ed eccessi, ed estraneo anche a interpretazioni in merito alla sua vita, dispiegandola semplicemente così come essa è stata e si è svolta.

“Cerchiamo d’entrare nella morte ad occhi aperti…” dirà Adriano alla fine della sua lettera e in quelle sue parole si racchiude non solo l’accoglienza della morte che, in questo modo, è come quasi egli la volesse anticipare ma, ancor più, sembra racchiudersi la volontà di esorcizzare quel vuoto e quel nulla al quale si è opposto in tutta la sua vita e che adesso si predispone ad affrontare giunto di fronte ad esso libero dalla paura.

8 risposte a "“Memorie di Adriano” – Marguerite Yourcenar"

  1. giacinta 26 dicembre 2016 / 16:20

    Molto bella e puntuale la tua sintesi. Non è semplice tradurre in parole ciò che si prova leggendo Le memorie di Adriano e ho ritrovato nel tuo scritto quell’incredibile coincidenza di particolare e universale che porta l’imperatore vicino al lettore al di là del tempo e di ogni tipo di distanza.
    Ciao! 🙂

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    • ilcollezionistadiletture 27 dicembre 2016 / 8:27

      Grazie Giacynta per l’attenzione e l’apprezzamento. Trovo anch’io che la migliore sintesi nell’ Adriano della Yourcenar sta proprio in quell’essere un Grande uomo che riesce sempre a restare prima di tutto Uomo.
      Ciao!!

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  2. vengodalmare 7 gennaio 2017 / 1:33

    Bello come descrivi la bellezza di questo libro e la grandezza di Adriano che, come giustamente affermi, consisteva nell’essere soprattutto un Uomo.

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  3. ilcollezionistadiletture 20 aprile 2017 / 6:34

    Ciao Pina. Ti ringrazio molto per il tuo apprezzamento. Si, le “Memorie” è un libro unico in tutti i sensi, verso il quale non si finisce mai di provare ammirazione.
    Ancora grazie e un carissimo saluto.
    Raffaele

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  4. Deanna Fogliati 29 ottobre 2018 / 6:34

    La profonda solitudine di un uomo davanti alla moltitudine (di genti, razze, guerre, ecc), nello svolgersi di una vita che, seppur lontana dalla verità storica, ci fa appassionare ad un uomo in costante crescita interiore. E che la tua recensione disvela magistralmente. TL

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    • ilcollezionistadiletture 29 ottobre 2018 / 7:03

      Grazie per questo bel commento che coglie in pieno lo spirito e la bellezza del personaggio e il corretto valore di quest’opera….e grazie per l’apprezzamento.
      Raffaele

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