“Lo straniero” – Albert Camus

Meursault dice la verità, tutta la verità. Al funerale della mamma – morta nell’ ospizio in cui era ricoverata – si diceva che avesse <<…dato prova di insensibilità>> in quanto aveva dato la sensazione che non fosse rimasto particolarmente turbato per quella morte. Vi aveva assistito a quel funerale non vi aveva “partecipato”.

E questo Meursault non lo nega: “Naturalmente volevo bene alla mamma, ma questo non significava nulla. Tutte le persone normali…hanno una volta o l’altro desiderato la morte di coloro che amano” Questa affermazione che Meursault fa al suo avvocato, che lo deve difendere in quel processo in cui Meursault è accusato di omicidio appare subito, al suo stesso avvocato, sgradevole e allarmante tanto che si raccomanda con Meursault “di non dire questo, né durante l’udienza, né al giudice istruttore”. Poi gli chiede se quel giorno si potesse almeno dire che “aveva soffocato i suoi sentimenti naturali” e Meursault gli risponde: <<No, perché non sarebbe vero>>. L’avvocato – riferisce Meursault – “mi ha guardato in maniera strana, come se gli ispirassi un certo disgusto”

Perché questi atteggiamenti e comportamenti di Meursault suscitano queste reazioni e queste preoccupazioni? Camus stesso, su questo punto, ebbe ad esprimersi. Ponendolo, come lui disse, in modo “molto paradossale”, alla base de “Lo straniero”: “Ho riassunto Lo straniero, molto tempo fa, con una frase che riconosco essere molto paradossale: “Nella nostra società qualsiasi uomo che non pianga alla sepoltura della propria madre rischia di essere condannato a morte”. Volevo dire soltanto che l’eroe del libro è condannato perché si sottrae ad ogni gioco. In questo senso, è straniero alla società dove egli vive, erra, emarginato, nei suburbi di una vita privata, isolata. Ed è per questo che dei lettori sono stati tentati di considerarlo come un relitto. Meursault non sta al gioco. La risposta è semplice: rifiuta di mentire”.

Meursault quindi dice la “sua” verità e non la verità che gli altri vorrebbero che lui dicesse. Ma in questo suo non negare e non venire a patti con il suo sé Meurseault genera una ferita disturbante che crea un immediato rigetto, e che si ritorce contro di lui. Meursault suscita un conflitto insostenibile perché solleva e afferma un principio di non assimilazione rispetto a cui, il mondo che lo circonda, per proteggersi e riafermare a sua volta la sua coesione, attua una risposta violenta e inesorabile: elimina Meurseault e la minaccia che egli rappresenta. E’ implicito che questo significa decretare una limitazione della libertà, presupporre che esista una verità superiore: omologante, unificante, impersonale, una verità a cui bisogna conformarsi e non tante verità quante ognuno ne possa avere.

Mauresault, lo straniero, è dunque straniero a tutto e a tutti nel senso che è estraneo a tutto e a tutti. Etranger, in francese, ha, peraltro, questo duplice significato. In questa sua intransigenza distaccata e inerme Mauresault esprime quindi una sua istintiva non sottomissione, un suo non aderire che lo rende indifeso e indifendibile, che lo rende incapace di salvarsi perché del tutto disinteressato a salvarsi: “liberato dalla speranza” e aperto “alla dolce indifferenza del mondo” come dirà lui stesso. Perché per Camus “Crearsi un’arte di vivere per sopravvivere, come ci consiglia la morale borghese, è vile: è vile ogni comodo “accordo con la vita”” ( G. Macchia – “Camus e la letteratura del dissenso” in G. Macchia . “Il mito di Parigi” – Einaudi – 1995 – p.271)

Maresault nel suo grido muto esprime quindi una volontà di liberazione che è individuale ma non è individualistica, che rimette al centro l’uomo e l’umano nella sua essenzialità. In questo senso è ancora una volta lo stesso Camus a declinare con assoluta chiarezza questo punto: “Meursault per me non è dunque un relitto, ma un uomo povero e nudo, innamorato di un sole che non fa ombra. Lungi dall’esser privo di qualsiasi sensibilità, è attanagliato da una passione profonda: la passione dell’assoluto e della verità. Mi è accaduto di dire anche, e sempre paradossalmente, che avevo provato a raffigurare nel mio personaggio l’unico Cristo che meritiamo”

“In un universo senza Dio….com’è quello di Camus” (G. Macchia, cit.p.270) Maurseault è quindi un “uomo” che ci mostra quanto sia arduo, per chi non vuole giustificarsi, stare al mondo. Per chi, rifiutandosi di accettare gli stessi valori, gli stessi pensieri che gli altri accettano per paura di restare soli, si ritrova lui sì veramente e definitivamente solo. Mauresault è quindi un “diverso” ma non è né un insensibile né un solitario. Alla solitudine viene “costretto” dall’ opposizione degli altri, assumendosene tutte le responsabilità, senza nulla chiedere e senza nulla pretendere e nella solitudine viene “recluso” per colpa di quella sua diversità che nasce dalla sua consapevolezza, lucida e senza mediazioni, “che la vita non val la pena di essere vissuta, e…che importa poco morire a trent’anni oppure a settanta…dal momento che si muore, come e quando non importa, è evidente”.

Questo tipo di affermazione potrebbe indurre a considerare Maresault come l’interpreta e il profeta di una cultura del suicidio e, in questo senso, come osserva G. Macchia, alcuni “…riconobbero [in Camus] un autore che riusciva a schiudere orizzonti di suicidio. In verità solo il nichilismo assoluto accetta di “legittimare il suicidio”. Il ragionamento assurdo – come lo stesso Camus chiarì – è in effetti il rifiuto del suicidio e la conservazione del confronto disperato tra l’interrogazione umana e il silenzio del mondo”. E qui, operando un’ulteriore estensione interpretativa, viene in mente un concetto e una figura che, se pur derivata da altri ambiti e contesti letterari, trova notevoli analogie con la figura di Maresault.

Mi riferisco al cosiddetto “eroe del diniego”, di cui parla Claudio Magris, il quale lo definisce come colui che “ come Odisseo, cerca di non essere nessuno, per salvare dalla presa del potere qualcosa di proprio, una vita sua: inappariscente, nascosta, marginale, ma sua. L’eroe del diniego… deve reificarsi, farsi irraggiungibile e impenetrabile come un oggetto, assomigliare a quei vuoti, a quei momenti di pura negatività che nessuna totalità, nessuna costruzione positiva possono integrare. L’eroe del diniego assoluto non può essere veramente un eroe, l’attivo protagonista di una storia; … Si rifugia nella debolezza, nella disfatta, nell’ ombra;… per non venire identificato e reclutato nei ranghi del Weltgeist, ossia uniformato nei ranghi dell’identico.” (Claudio Magris – “La nuova innocenza” in “L’anello di Clarisse” – Einaudi Tascabili – 1999 – pgg.384,385).  Ben lungi quindi dall’ essere un potenziale suicida l’ “eroe del diniego” ha bisogno di esistere per potersi annullare, solo esistendo può attuare e realizzare quell’ istanza di differenziazione che lo legittima e gli dà identità.

Così Maresault non dice che gli fa schifo la vita, non c’è in Maresault un disprezzo per la vita. Egli sta al mondo finché può, finché glielo consentono, ma a modo suo e quando non sarà più possibile amen. Ma è l’ostinazione di stare comunque al mondo che rende Maresault vivo, senza illusioni e nel più totale disincanto.E quella sua progressiva e inesorabile perdita dell’innocenza, che tale appare agli occhi del mondo e che ne decreta la condanna, contiene paradossalmente in sé un fondo di innocenza assoluta. Perché Maresault è quanto di più lontano ci possa essere dalla violenza del mondo e da ogni sua forma premeditata o meno che sia.

E’ il luccichio della lama del coltello che l’arabo mulina di fronte a lui, sotto quel sole accecante e senz’ ombra, che induce Maresault a sparare e a ucciderlo. Ma questo è un gesto, non è un atto di volontà, è una reazione. Maresault infatti non prova alcuna colpa perché è estraneo non solo a quella specifica colpa, ma all’ idea stessa di colpa, e questo proprio perché è e sa di essere un puro, un “innocente” e proprio perché sa di esserlo non ha bisogno di dirlo. E così come il personaggio anche il linguaggio de “Lo straniero” esprime annullamento, assenza, è, in sostanza, espressione esso stesso di uno stato neutro e inerte.

In conclusione, Maresault, che appare a tutti come un uomo privo di coscienza, pagherà proprio per avere voluto fino in fondo affermare e rispettare la sua coscienza, perché, come ha affermato Claudio Magris in un suo articolo, Camus ci insegna che “è con un no, con una posizione “contro” qualcosa che cominciano la libertà e la dignità”.

3 risposte a "“Lo straniero” – Albert Camus"

  1. giacinta 28 novembre 2016 / 21:20

    Grazie per la bella lettura! Non conoscevo le acute osservazioni di Magris su Maresault: “…cerca di non essere nessuno, per salvare dalla presa del potere qualcosa di proprio, una vita sua: inappariscente, nascosta, marginale, ma sua. ( … )Si rifugia nella debolezza, nella disfatta, nell’ ombra;… per non venire identificato e reclutato nei ranghi del Weltgeist, ossia uniformato nei ranghi dell’identico.”

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    • ilcollezionistadiletture 29 novembre 2016 / 7:50

      Grazie Giacinta per l’attenzione e l’apprezzamento. Quelle considerazioni di Magris non sono fatte da Magris con riferimento specifico a Maresault ma, come dico nel commento, “operando un’ulteriore estensione interpretativa, viene in mente un concetto e una figura che, se pur derivata da altri ambiti e contesti letterari, trova notevoli analogie con la figura di Maresault”. Sono quindi una mia estensione interpretativa del pensiero di Magris. Chiedo venia per l’equivoco.

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  2. giacinta 29 novembre 2016 / 14:13

    Chiedo venia io..:-) e mi congratulo con te per aver trovato una relazione assolutamente appropriata e illumunante..

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